Quando nel 1977, John Wagner e il leggendario disegnatore Carlos Ezquerra crearono il giudice Dredd, presero l’idea di un personaggio con il volto sempre coperto da Frankenstein, il pilota interpretato da David Carradine nel classico Anno 2000 – La cosa della morte. Sapete chi recitava in quel film nei panni di Machine gun Joe? Sylvester Stallone.
Per zio Sly e il giudice più famoso di Mega City One, il giochino dei sei gradi di separazione è molto semplice, una chiusura del cerchio tra cinema e fumetto, degna di Rupert “Dylan Dog” Everett, che finisce a recitare in “Dellamorte Dellamore” (1994) tratto da un romanzo di Tiziano Sclavi. Con la differenza che quando a Stallone proposero la parte del giudice Dredd, la sua risposta fu: «CHIIII?», visto che non aveva mai sentito parlare del personaggio, popolarissimo in Inghilterra (storia vera).
“Judge Dredd”, da noi in uno strambo Paese a forma di scarpa dimezzato nel titolo solo con il nome del protagonista (come vuole la moda Stalloniana) e appesantito da un sottotitolo frutto del momento più imbarazzante del film, un meme ancora prima che Internet esistesse davvero, frutto della forma della bocca (storta) di Sly e della “zeppa” in bocca del suo storico doppiatore Ferruccio Amendola («Io non ho infranto la legge! IO FONO LA LEGGE!»). Questo film potrebbe essere davvero tutto qui: l’attore perfetto per interpretare il personaggio, mescolato alla sua totale ignoranza sullo stesso. Se a questo aggiungiamo la storica capacità di zio Sly di far valere peso da divo e carisma nelle produzioni a cui ha preso parte, la frittata è pronta per essere servita in tavola.
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Questo è diventato un meme anche nel 1995, quando non sapevamo nemmeno che diavolo fosse un meme. |
Hollywood da metà degli anni ’80 sognava di portare “Judge Dredd” al cinema, ma tra diritti di sfruttamento detenuti dalla rivista 2000 AD e mettere insieme i nomi giusti per sfornare un film, il tempo è trascorso fino ai primi anni ’90, quando la regia venne proposta a quel matto di Renny Harlin, mentre da sotto il casco di Dredd, avremmo dovuto veder spuntare il mento (e i muscoli) di Arnold Schwarzenegger, si proprio lo storico “rivale” di zio Sly.
Ma parliamo dei primi anni ’90, un periodo in cui i film tratti da fumetto non avevano ancora un etichetta come “Cinecomics” ma uscivano, qualche volta spostavano gli equilibri, quindi il progetto passò di mano numerose volte, per dieci minuti venne proposto anche a Richard Stanley, comunque un nome molto più adatto ad un progetto così di che so… i fratelli Coen, che rifiutarono per andare a dirigere “Fargo” (storia vera).
La sceneggiatura del film era stata inizialmente scritta da William Wisher Jr. uno dei preferiti di James Cameron che ha firmato roba tosta come Terminator 2 e Il 13º guerriero, insomma un buon primo passo seguito da un secondo, la scelta di affidare in fine, la regia del film a Danny Cannon regista Inglese in rampa di lancio, che pur di dirigere questo film, rifiutò la regia di Die Hard – Duri a morire per una semplice ragione: da buon Inglese, andava pazzo per Judge Dredd.
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Ricordate tutti i fumetti di Dredd che avete letto? Bene, dimenticateli! |
La prima bozza di sceneggiatura conteneva molta più violenza, anche del tipo esagerato, un modo per adattare al grande schermo il tono satirico del fumetto originale. La scena in cui Rico uccide il giornalista era molto più lunga e violenta, quando il robot da guerra ABC strappa le braccia al giudice Griffin, lo faceva per davvero (e ben inquadrato), ma anche la sentenza di morte di Dredd nei confronti dei cloni del progetto Giano (soldati clonati, ben prima di Episodio II ora che ci penso), veniva applicata per davvero, non con quel paio di colpi sparati nel vuoto che abbiamo visto nella versione finale del film. Tagliata e pesantemente rimaneggiata per non incappare in un divieto ai minori di diciassette anni, ma soprattutto per assecondare i desideri di Stallone, che per questo film sognava una commedia d’azione PG-13. Problema: nel 1995 zio Sly si era ripreso dal periodo di bassa marea della sua carriera, arrivato nell’ultima parte degli anni ’80, ed ora poteva dire la sua sulle produzioni a cui partecipava.
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«Buongiorno signor Stallone sono lo sceneggiatore del fil…» BANG! «Ex sceneggiatore» |
Ecco perché dal famigerato e criticatissimo (dai lettori del fumetto) momento in cui Dredd si toglie il casco, sembra di veder cominciare un secondo film, uno in cui Stallone si toglie quell’insalatiera dalla testa, perché col cavolo che un divo come lui terrà nascosto il suo volto per l’intera durata del film (inventando di fatto la “Sindrome di Robert Downey Jr”. in Iron Man che per correttezza storica dovrebbe chiamarsi “Sindrome Stallone”). Un modo per dire: vi siete divertiti a fare il vostro fumettone? Vi ho lasciati sfogare stando al vostro gioco per venti minuti, ora comincia il MIO film.
Si capisce che “Judge Dredd” dal ventunesimo minuto circa, diventa il parco giochi di zio Sly perché è pieno di facce che arrivano dalla sua filmografia: il giudice Fargo mentore e in qualche modo padre di Dredd è il grande Max von Sydow, il gerarca nazista che applaudiva le belle parate di Stallone in Fuga per la vittoria.
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«Io volevo solo vedere una partita di calcio, guarda cosa mi tocca fare» |
Per la parte del gemellino Rico (questo spiega le distraenti lenti a contatto azzurre che sfoggia anche Sly) direttamente da “Taverna Paradiso” (1978), Stallone si porta dietro Armand Assante ma se vogliamo proprio dirla tutta, il grande Jurgen Prochnow che interpreta il giudice Griffin, nella sua nativa Germania, è stato il doppiatore di Stallone per le versioni locali di Rocky e Rocky II.
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«È dal 1978 che ti aspetto alla vecchia taverna, ti eri dimenticato di me forse?» |
In un film così i personaggi femminili sono poco più che tappezzeria (purtroppo), infatti compaiono affiancate a turno all’eroe oppure alla nemesi, se riescono ad emergere è solo grazie alla bravura delle attrici che le interpretano, prima di completare il loro arco narrativo con una “lotta tra gatte” oppure limonando duro l’eroe. Infatti la bellissima Joan Chen (la prova che questo è un film degli anni ’90, visto che dopo Twin Peaks era lanciatissima) sembra un accessorio di scena attaccato ad Armand Assante, mentre il giudice Hershey emerge come uno dei pochi personaggi con qualcosa di interessante da dire, solo perché è interpretato da quella meraviglia di Diane Lane, che sarebbe rimasta tale anche se l’avessero fatta recitare con casco ed armatura addosso per tutto il tempo.
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Soggetto Diane Lane. Accusa: essere bellissima. Giudizio: colpevole! |
La spalla comica Fergy, ruolo che venne proposto e rifiutato da Joe Pesci (storia vera), è stato assegnato d’ufficio a Rob Schneider libero di spaziare in lungo e in largo (spesso esagerando, ma il suo «È incazzato di brutto!» quando cavalca il robot ABC come se fosse un toro meccanico, a me ha sempre fatto ridere), il classico personaggio che nella trama, serve ad incarnare il punto di vista dello spettatore, infatti l’inizio del film con il suo arrivo a Mega City One sembra fatto apposta per introdurre il mondo di Dredd, un futuro distopico dove l’umanità vive in megalopoli sovrappopolate, circondate dalla terra maledetta, un deserto radioattivo pieno di mutanti cannibali, un posticino tranquillo dove il corpo di polizia dei giudici amministra la legge facendo da giudice, giuria e soprattutto giustiziere.
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I vecchi robot ultra violenti di una volta. |
Si perché questo film ha il compito di introdurre il personaggio agli spettatori, al pubblico americano che lo conosceva poco (Stallone per niente), ma anche agli abitanti di uno strambo Paese a forma di scarpa, dove la rivista 2000 AD non è mai stata pubblicata e come vi ho già raccontato, la prima volta che ho conosciuto Dredd (e i grandiosi disegni di Carlos Ezquerra) è stato grazie all’adattamento a fumetti del film. In compenso, siccome nel 1995 avevo dodici anni, potrei aver costretto mio padre a portarmi al cinema a vederlo (ehm, scusa Pà!) ma dopo averlo costretto a fare lo stesso con “Street Fighter” l’anno prima, alla fine è stata quasi una pacchia, anche se mi rendo conto che entrambi i film avevano lo zampino di uno dei preferiti di questa bara: il grande Steven E. de Souza.
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Spalline esagerate, casco in testa, gruzzo incazzato e de Souza che scrive la battute, cosa potrebbe andare storto? |
Si perché, per raggiungere il suo obbiettivo di trasformare il violento e satirico giudice Dredd in una commedia d’azione, Stallone pensò bene di far venire giù solo il genietto dietro a capolavori come Commando e Trappola di Cristallo. Questo se non altro spiega l’alto quantitativo di “Frasi maschie” ad effetto («Ho scoperto qualcosa sul significato della vita», «Ah sì? Cosa?», «Che finisce» BANG!), alcune anche migliorare dal doppiaggio italiano, come il tormentone «Affermazione prevedibile», ben più banale in originale, ma anche «Questo locale è stato pacificato» che mi è sempre sembrato una mezza strizzata d’occhio all’Esorcista, anche se forse mi sono fatto distrarre dalla presenza di Max von Sydow.
Anche se comunque vi consiglio di togliervi lo sfizio una volta, guardando il film in lingua originale, anche solo per non perdervi il vocione del narratore (James Earl Jones) oppure quello del computer della centrale di polizia (Adrienne Barbeau).
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Statuario e tosto: fino qui, tutto bene… |
Si, non ho problemi ad ammetterlo candidamente, non mi sono certo limitato a costringere mio padre a portarmi al cinema no no! Ho consumato anche la vhs (acquistata con La Stampa) di questo film, tanto che rivedendolo mi sono vergognato (naaaaa!) del numero di battute che conoscevo ancora a memoria. Perché alla fine non conoscendo molto il personaggio dei fumetti, ho sempre potuto godermi quello che dopo i primi gustosi venti minuti, diventa il vostro classico film d’azione di zio Sly, uno che a ben guardarlo sembra un cugino ambientato interamente nel futuro di Demolition Man e proprio con questo titolo (prossimamente su questa Bare) completa la trilogia Stalloniana dei poliziotti accusati ingiustamente.
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Criminali terrorizzati solo con lo sguardo: fino qui tutto bene… |
Ovviamente il primo vertice del triangolo è Tango & Cash, ma sono sicuro che lo sapevate già, è una delle domande che facciamo ai lettori di questo blog, chi non sa rispondere vola giù dalla Bara ma senza le lenti a contatto azzurre di Armand Assante (oppure il paracadute). Ora che ci penso, qui ci sono tutti gli estremi per un Bruttissimo di rete Cassidy!
Mi sembra giusto ricordare che gli intenti di questa non-rubrica sono sempre gli stessi: parlare di quei film che sono ciambelle riuscite senza il buco, ma con carattere da vendere, capaci di fare a loro modo la storia, non una celebrazione del brutto fine a se stessa, ma un modo per ricordarci che anche senza casco, ci si può divertire.
“Judge Dredd” è un film che trasuda anni ’90 ad ogni fotogramma, ha l’aria di non essere costato poco (90 milioni di fogli verdi con sopra le facce di altrettanti ex presidenti che hanno affrontato il lungo cammino defunti) tanto da potersi permettere i pacchiani para-palle disegnati da Gianni Versace, dei costumi vistosi che comunque riescono a riprendere l’idea delle armature grottescamente giganti che i giudici sfoggiano nel fumetto originale.
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Non guardare il para-palle, non guardare il para-pall… Aaargh! L’ho guardato! |
Per essere un film girato quasi tutto in interni poi, la sconfinata Mega City One può fare mostra di sé solo nelle prime scene del film, che però anche rivedendoli oggi sono davvero un gran inizio di film. Grazie alle tonanti musiche di Alan Silvestri (salito a bordo dopo aver sostituito al volo il dimissionario Jerry Goldsmith, storia vera), veniamo catapultati in questa città dove i carcerati arrivano dalla prigione di Aspen, dove puoi trovarti ad una strada all’angolo tra la Abbott e Costello (i nomi assurdi dei quartieri, che nel fumetto abbondano) e dove i Lawmaster, le motociclette volanti dei giudici, sono larghe più dell’automobile su cui avete fatto scuola guida.
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Per parcheggiarla, serve il posteggio degli autobus. |
Se il giudice Dredd è una sorta di Robocop fatto però interamente di carne ed elmetto, che fa riempire i pantaloni dei criminali di una sostanza maleodorante solo pronunciando il suo nome, beh lo vediamo accadere anche qui, proprio ad inizio film. Per fermare un pazzo (uno vero) come James Remar a capo di una banda di rivoltosi armati assediati in un palazzo, arriva Stallone (con il casco ben allacciato in testa) che sfoggiando solo il mento non si cura delle pallottole e scandisce: «Io sono… La legge», per poi andare dentro a prenderli uno per uno, armato del suo Legislatore, un cannone a mano che sembra la pistola di Robocop, solo che in più parla, confermando il tipo di pallottole selezionate dal giudice che lo impugna.
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Un concetto semplice, ma ribadito giusto un paio di volte. |
Insomma, l’inizio di questo film è pura dinamite, la conferma che Danny Cannon aveva davvero intuito come portare al cinema il satirico fumetto di John Wagner e Carlos Ezquerra. Lo si capisce anche da piccoli dettagli, ad esempio il riuscitissimo robot ABC (un animatronico vecchia scuola che fa ancora la sua porca figura) arrivava dritto da un altro fumetto pubblicato sulle pagine di 2000 AD, ovvero “ABC Warriors” scritto dal quel punk di Pat Mills.
Forse Cannon, con uno Stallone un po’ più collaborativo e meno interessato a fare ancora una volta la figura del grande divo, avrebbe potuto tirare fuori un film davvero notevole, anche se lo sappiamo tutti che al momento, la pellicola che per violenza, satira sociale, e protagonista corazzato e pesantemente armato, che più si avvicina al tono del fumetto originale di Wagner ed Ezquerra, resta il Robocop di Paul Verhoeven.
“Judge Dredd” è un film che negli anni ho visto e rivisto moltissime volte, il cui problema principale è che comincia quando Stallone compie l’insano gesto di togliersi il casco (facendo incazzare i fan del fumetto), da quel punto in poi il personaggio di Dredd perde quel livello di minaccia (per i criminali) che aveva sfoggiato nella prima scena, diventando uno che fa battutine, che si porta dietro Rob Schneider per motivi non ben specificati e che per altro, cambia idea su una sua sentenza confessato di potersi essere sbagliato… scordatevelo che il Dredd del fumetto farebbe mai qualcosa del genere!
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Il buddy movie che nessuno aveva richiesto. |
Di fatto una volta libero dal casco, Stallone Stalloneggia più Stalloniano che mai, il risultato è divertente e cazzuto in parti uguali, ci sono passaggi imbarazzanti (la statua della libertà spostata e messa sopra un picco di energia? Davvero!?) e altri davvero riusciti, come la famiglia di cannibali davvero disgustosi con un Mean Machine perfetto, che con il suo braccio multiuso («Hai anche la forchetta incorporata?») sembra uscito dalle pagine del fumetto. Ma ci sono anche passaggi tosti, come Dredd che davanti alla statua della giustizia, giura vendetta ai suoi nemici e regala il grande ritorno dell’eroe, che in un film così non può certo mancare.
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«Giusto una spuntatina alle basette grazie, ho già fatto la barba stamattina» |
Insomma “Dredd – La legge sono io” è ancora uno di quei film che potrei rivedermi con gioia, anche se lo conosco a memoria, eppure ora che ho avuto modo di leggere qualche altra storia a fumetti del personaggio, ho anche la conferma che resta un colpo (di Legislatore) sparato nella direzione giusta, che però ha mancato il bersaglio. Ancora oggi viene considerato un flop perché è riuscito a recuperare i costi di produzione solo mettendo insieme i soldini raggranellati in tutti i botteghini del mondo. Per il pubblico Americano era semplicemente il solito film d’azione di Stallone, leggermente più fumettoso (e pretenzioso) del solito, per certi versi un passo indietro rispetto a “Demolition Man”, forse perché John Spartan era sicuramente un personaggio più nelle corde di Stallone (non indossa nessun casco integrale) e anche più vicino alla (in)sensibilità Americana, ma ne parleremo… vi ho già detto che arriverà a breve su queste Bare? Si vero?
Intervistato da Uncut nel 2008, Stallone ha dichiarato che per lui “Judge Dredd” resta una grande occasione persa, non tanto per il casco e il volto del protagonista (su quello non ha MAI fatto marcia indietro), quando più che altro per la possibilità di esplorare il mondo e le potenzialità del personaggio. Forse nel 1995 erano tutti (Stallone per primo) troppo orientati a risultare belli e alla moda, anche perché altrimenti non mi spiego come mai abbiano deciso di affidare la canzone sui titoli di coda a quei “diversamente allegri” dei Cure. I Cure? Per Dredd? Forse avranno pensato che visto che per Il Corvo (altro film tratto da fumetto) aveva funzionato, bisognava replicare la formula per piacere al pubblico.
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Bisogna dire che con il tema di Alan Silvestri in sottofondo, il finale fa ancora la sua porca figura. |
No sul serio i Cure? Come può venirti in mente che il gruppo di Robert Smith sia quello giusto per un personaggio come il giudice Dredd, specialmente quando hai gli Anthrax già belli che pronti, ecco forse anche in questa (stramba) scelta musicale è riassunto tutto il film. “Dredd – La legge sono io” è come applicare la sensibilità di Smith ad un carro armato umanoide come il giudice Dredd, affascinante quanto volete, ma tutto molto strano.
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«Affermazione prevedibile» |
La prossima settimana invece, esploreremo la seconda sortita del giudice di Mega City One al cinema, non mancante, intanto vi lascio con la colonna sonora giusta, quella che nel 1995 ci hanno negato. Intanto non perdetevi il post di Omniverso dedicato a questo film!