Essere innamorati è qualcosa di davvero molto bello, lo dico senza ironia, è bello aver qualcuno con cui condividere gioie e dolori e in qualche caso passioni, se poi si riesce addirittura a lavorare – con tutti i casini che derivano dal lavoro – spalla a spalla con la persona che ami, vuol dire che probabilmente fai parte di una coppia veramente affiatata, di sicuro è quello che va in giro dicendo Neil Marshall del suo rapporto con Charlotte Kirk. Ah! Bentornati al capitolo nuovo di pacca della rubrica Marshall Love!
Perdonatemi, la prendo un po’ alla lontana perché per me non è affatto facile scrivere questo post oggi, dai loro profili Social, si capisce che il Maresciallo e “Captain” Kirk stanno insieme per via del cane, niente storie condivise o profilo di coppia, si vede solo la loro bellissima cavalier king passare da un profilo all’altro anche se poi, è proprio la filmografia del regista inglese a parlare chiaro. “Duchess” è il terzo film in fila scritto dalla coppia e diretto da Marshall dall’inizio del loro sodalizio non solo artistico, dopo The Reckoning e The Lair e ora non so se sia per via dell’assenza dell’articolo nel titolo, ma è anche il peggiore. Da qui il peso che ho sul petto mentre scrivo, perché io di uno come Neil Marshall, non vorrei mai dover scrivere male.
Non vorrei trasformare questa Bara in una pagina di pettegolezzi, anche se poi siamo più in zona fatti, quindi quelli sì, posso riportarli. Che Charlotte Kirk sia controversa si sa, non è chiaro se sia una vittima del sistema di Hollywood, quello che giustifica produttori dalle mani lunghe che offrono provini e ruoli in cambio di favori sessuali, o se sia un’arrivista, che ha sfruttato l’onda del #MeToo prima che diventasse uno Tsunami per portare tutti in tribunale. Sta di fatto che il sospetto più che concreto resta, il fatto che poi Kirk sia molto bella ma non proprio Meryl Streep in termini di talento per la recitazione, non depone certo a suo favore, sta di fatto che ora risulta essere una non proprio grata ad Hollywood, l’unica per lei era tornare nella nativa Albione, dove ha incontrato Neil Marshall.
Il nostro Maresciallo quindi è un altro “Burattino senza fichi” (cit.) nelle mani e in altre parti del corpo di Kirk, oppure davvero siamo davanti ad un caso di grande amore, di noi due contro il mondo (del cinema) a farci i nostri film visto che in un modo o nell’altro, parliamo di due esclusi e cacciati da Hollywood? Questo lo sanno solo Marshall e Kirk, probabilmente anche il loro cane, io sono qui per parlare di fatti e film e questi purtroppo si traducono in “Duchess”.
Di base l’idea sarebbe anche pienamente in zona filmografia di Marshall, un gangster-movie con una tipa tosta come protagonista, che altro non è che il filo rosso che ha unito tutti i film del Maresciallo, ad esclusione del già rinnegato Hellboy. La (triste) realtà è che piuttosto che tornare a dirigere episodi di TUTTE le serie tv americane più famose, o mendicare regie in qualche Blockbuster lavorando alle condizioni di altri, Marshall ha scelto di fare film prodotti dalla Saban e interpretati dalla compagna, quindi qualcuno potrebbe sostenere che ha scelto lui il suo nuovo capo, al netto del risultato, non so se ha avuto una grande idea.
Ultima premessa, poi vi giuro che la smetto di menare il can per l’aia (anche perché non lo farei mai, oltre che cinefilo sono anche cinofilo) e inizierò a scrivere del film di oggi. Voi l’avete mai vista Charlotte Kirk? Ribadisco, sto usando i loro profili Social come termine di paragone, ma proprio lì, Kirk non è mai rilassata, non è mai naturale, ha sempre il capello perfetto, il trucco impeccabile, la luce giusta. Tutte le attrici selezionano il materiale da condividere sui Social (o pagano qualcuno che lo faccia per loro), ma per molte il trucco non si nota, Kirk è così impacciata nel suo fare la diva che quando sceglie una foto da condividere è chiaro che sia l’unica non scartata tra le cento scattate, insomma, un’ansia perenne di risultato che va a braccetto con la sua recitazione, non proprio di prima classe.
“Duchess” ci presenta questa classica ragazza londinese di nome Scarlett Monaghan (ovviamente Charlotte Kirk) bella come una spillatore da birre in un pub inglese e con una boccaccia degna di uno scaricatore di porto, in lingerie sexy e alle prese con un cliente che presto finirà defenestrato, perché Scarlett non è una donnina ad ore ma una tipa tosta, con una missione che scopriremo solo dopo la partenza del lungo flashback che copre i primi due atti di “Duchess”, niente di nuovo ma è la messa in scena a stordire.
In generale questo film sembra un filmino diretto da qualcuno che dopo aver visto troppe volte i film di Guy Ritchie e Quentin Tarantino, si è messo insieme a fidanzata e amici a girare un filmetto il cui scopo ultimo è quello di essere un lungo provino per il talento (vero o presunto) di Charlotte Kirk, che fa la sexy, che fa la dura, che fa la drammatica, che spara, che picchia, che insulta e che in tutti i minuti in cui non è impegnata ad apparire come una fatalona dentro a straccetti che sembrano comprati online su Shein, si occupa anche di fare la voce narrante con dialoghi e voce fuori campo che spesso si gioca frasi come: «Il rispetto è come il cazzo, ha diverse forme e dimensioni» e questa è una delle prime frasi che sentiamo pronunciata nei cinque minuti iniziali, cioè, giusto per darvi l’idea del senso di imbarazzo generale.
“Duchess” è il classico film alla Guy Ritchie, con fermo immagine e nome del personaggio che compare in bella vista sullo schermo, con la sua colonna sonora proto-Shaft che sembra strizzare l’occhio agli anni ’70 del cinema d’azione, ma con il suo prendersi così tanto sul serio, fa a cazzotti con situazioni che sembrano nate per essere la parodia di un film action, un miscuglio di clichè che non è chiaro se siano da prendere sul serio o da bollare come un lungo gioco erotico tra Neil e Charlotte, forse impossibilitati dal loro rapporto a dirsi un candido ma necessario: «Amò ma non ti sembra di aver scritto una cagata?»
Quando dico che parte un lungo flashback, dico proprio che vediamo la “pellicola” riavvolgersi, va bene, Neil Marshall è uno che per esprimerti affetto ti appioppa una pacca sulla schiena da lasciarti senza fiato in termini di uso delle metafore, non è un problema, mi piace questo approccio sanguigno quando è genuino, ma qui pare non solo che abbia proprio smesso di fregarsene di tutto, ma che abbia anche dimenticato lo stile che lo caratterizzava. Le dissolvenze di questo film? Manca davvero solo quella a stella di Homer Simpson e purtroppo non è l’unico problema della messa in scena di “Duchess”.
Per due atti, questo film proto-femminista sembra non avere le idee tanto chiare, sicuramente è una storia di emancipazione femminile, quasi un romanzo di formazione in cui Scarlett sempre pronta a farsi proteggere dal suo uomo, diventa la tosta “Duchessa” del titolo, solo che per farlo prima si passa attraverso i clichè del film di Gangster e poi di quello di vendetta. In discoteca la ragazza conosce l’aitante Robert (Philip Winchester) bello carismatico e trafficante di diamanti con un grosso brillocco da piazzare che gli farà fare il salto. Accanto a lui i suoi compari, tutti ex militari perché a Neil il tema è caro, parliamo di Nilly (Hoji Fortuna) e del pretoriano di Marshall, Danny interpretato dal mitico Sean Pertwee.
Tutte facce giuste che poi, sono anche gli unici a saper davvero recitare, in una scena il papà di Scarlett è interpretato dal grande Colm Meaney, il capo O’Brien di Star Trek, quindi se in The Lair la convinzione di Kirk le permetteva di spiccare tra una banda di soldati recitati così così, qui purtroppo per lei qualche attore di livello con cui fare il confronto diretto c’è, e la differenza di potenziale è abissale. Non devi per forza essere la citata Streep, ci sono facce e corpi da cinema che hanno fatto carriere incredibili senza aver avuto capacità camaleontiche, ma Anderson per lo meno si è sposato una grintosa come Milla Jovovich, Neil Marshall invece ha pescato la pagliuzza più corta, ritrovandosi per le mani (anche se non per forza solo quelle) una che se va bene, potrebbe sembrare la versione da discount di un’altra appestata di Hollywood come Amber Heard.
La storia d’amore e sesso tra Scarlett e Rob sembra la messa in scena di come Kirk e Marshall si vedono, o forse, come Neil Marshall crede che Charlotte Kirk lo veda, peccato che sia tutto così sciatto, televisivo nel senso peggiore del termine (e parliamo di un regista che ha diretto grande televisione, questo fa male), per farci capire che Rob alla fine è uno bravo guaglione, ci mostrano i discorsi da letto dei due, la storia del fratello morto, peccato che la scena in se sia costruita per mostrare il petto oliato di lui e i capelli perfetti di lui, per poi concludersi con Kirk che se ne esce con: «Vado a far la pipì poi puoi scoparmi di nuovo». Delicatissima.
Ci sono passaggi inspiegabili, l’entrata in scena della magheggiona Charlie (Stephanie Beacham), uno che ama tagliare la gola agli spioni e farci passare in mezzo la loro lingua tipo nodo della cravatta, non ci viene mostrata, con Marshall che pudico, stacca e sposta la macchina da presa, quasi dimenticandosi dei suoi trascorsi nel cinema Horror. Per non parlare dei momenti di plastica a Tenerife, con la tigre mangiatrice di uomini che è palesemente su un altro set e montata (malamente) per sembrare nella stessa stanza con i protagonisti, oppure altre soluzioni imbarazzanti, come il “Montage” in stile Scarface, quando i nostri fanno i soldi con i diamanti, che più che altro è un’altra occasione per mostrare quando è figa la Kirk, anche ripresa “a posteriori”.
Quando poi arriva la svolta “revenge”, la Duchessa diventa tale, peccato che le scene d’azione siano tutte svogliate, sembrano uscite da un generico telefilm tedesco, Marshall sembra aver perso ogni idea di composizione dell’immagine, non è chiaro chi stia sparando a chi o anche solo chi stai parlando, le righe di dialogo o la voce fuori campo, sono scritte in maniera così generica che potrebbero essere pronunciati da una tipa tosta o da uno sgherro incazzato, l’unico guizzo Marshall lo ha quando per esigenze di trama, bisogna dirigere scene di tortura.
Quella con il ferro da stiro rovente sopra il pacco del tipo, resta una delle più accurate, forse l’unico guizzo del film, insieme al trapano per la lobotomia, che però arriva in una scena che sembra quella di The reckoning, ma a ruoli quasi invertiti, con Pertwee a sua volta torturato.
La scena finale poi, mi sanguina il cuore scriverlo, ma quell’inguardabile campo e controcampo, quell’illogico salto giù dall’auto, sembra diretto dal peggiore dei René Ferretti, non da uno con lo stile, ruvido quanto volete ma di classe di Neil Marshall. Non so come io abbia fatto ad arrivare ai titoli di coda, se mi avessero detto che questo “Duchess” fosse stato un film tra amici diretto da studenti di cinema spiantati e con un paio di facce note, lo avrei già ritenuto volenteroso ma brutto, ma sapere che lo ha scritto e diretto Neil Marshall è un colpo al cuore, al fegato e forse anche alla milza. Qualcuno mi porti della birra, grazie.
Cosa si salva di questo film? Essenzialmente le scene di tortura che sono l’unico guizzo del Maresciallo, perché Charlotte Kirk ci crede, ci crede tanto, ma fa tenerezza, sia quando ripete le due mossettine che ha imparato sia quando corre, non sembra un’eroina d’azione tosta ma una che si precipita verso l’ultima svendita di Gucci, imbarazzante, come le sue foto in posa sui Social, bellissima, ma nel suo sforzo di sembrare naturale, risulta ancora più posticcia, sempre tesa al suo obbiettivo finale di essere una grande attrice famosa.
Uno dei grandi eroi di Marshall, ovvero il Maestro John Carpenter ha diretto film con la sua allora moglie Adrienne Barbeau, parliamo di uno che ha passato la vita artistica a fare a cornate con Hollywood e i produttori, ma prima di darla su e dedicarsi al divano e alla NBA per quanti anni ha combattuto? Il fatto che Neil Marshall abbia abbracciato questa condizione di “Luna di miele perenne”, sfornando solo più film per far brillare la moglie, potrebbe andarmi bene se i risultati fossero almeno sanguigni e a loro modo divertenti come The Lair, ma questo?
I film della saga di Alien vengono affidati a paraculi mentre uno che un film con Marines e Xenomorfi solido, potrebbe dirigerlo dormendo, come potrebbe fare Neil Marshall, è costretto a questa involuzione artistica, a questa trappola al miele che più che un sodalizio artistico, mi sembra una parabola discendente verso la mediocrità. Anche se per un a volta sarebbe bastato guardare la locandina per valutare il film, Charlotte Kirk sta in una posa imbarazzante anche lì.
Cosa resta di tutto questo a parte l’amarezza? Forse solo Sean Pertwee che mi ha regalato la frase di culto della settimana, quel suo «Click fucking clack», quando scarella la pistola automatica, poco lo so, ma a qualcosa mi devo aggrappare per non sprofondare nello sconforto del vedere uno die miei registi del cuore combinato così, ed ora, una canzone a tema.
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