Home » Recensioni » Due occhi diabolici (1990): Poooe-poe-poe-poe poe-poe-poooooe!

Due occhi diabolici (1990): Poooe-poe-poe-poe poe-poe-poooooe!

Nella vita è importante avere degli amici, qualcuno con gli
amici esce a bersi una birra, altri invece, dirigono film ad episodi, come
quello protagonista del nuovo capitolo della rubrica… Lui è leggenda!

Edgar Allan Poe.

Ha davvero bisogno di presentazioni? Ma soprattutto si
merita un’introduzione sulle sue opere scritta da un cagnaccio come me? Direi proprio
di no, le opere di Poe hanno avuto un’influenza incredibile sulla letteratura e
la cultura popolare, inoltre i suoi lavori sono una specie di tappa obbligata, se
non proprio un rito d’iniziazione per ogni appassionato di Horror. L’unica cosa
che davvero non è mai stata già scritta su Edgar Allan Poe è il mio primo
incontro con l’autore, e non è stata mai scritta perché non frega niente a
nessuno (storia vera) ma è la più concreta occasione che avrò e poi mi tornerà
utile nel resto del post, quindi ve la beccate. Flashback in arrivo!
Da qualche parte nel mezzo delle scuole elementari, un
giorno la signora maestra decise di regalare ad ognuno dei suoi alunni un
libro, nell’estremo tentativo di far appassionare qualcuno alla lettura,
missione inutile con me, ho avuto la fortuna di crescere in una famiglia che
spargeva libri e libroni per tutta casa, quindi ho sempre avuto un ottimo
rapporto con la lettura, ma l’iniziativa non è da sottovalutare. Tutti i miei
compagni si beccano roba tipo “Le allegre paperelle della fantasia” oppure “I
simpatici orsacchiottini teneroni del bosco”, roba così, al vostro amichevole (e allora molto minorenne) Cassidy di
quartiere cosa arriva in dono? “Racconti del terrore” di Edgar Allan Poe
(storia vera).

Non credo fosse questa edizione, ma comunque ecco come ho conosciuto Poe.

Motivo dell’assegnazione? Provate voi ad ammorbare la maestra
con i film horror visti in tv la sera prima tutte le settimane, ed è molto probabile che vi ritroverete anche voi con un libro di Poe, ok un’edizione per bambini, ma
sempre di Edgar Allan Poe stiamo parlando, e se ve lo state chiedendo, la
risposta è sì, sono sempre stato strambo e macabro fin da bambino! Avete presente il coro basato sulla celebre storpiatura di “Seven
nation army” dei White Stripes? Ecco io la canto a modo mio da allora.

A colpirmi di quel libro furono i racconti sulla
mesmerizzazione (probabilmente si trattava di “Rivelazione mesmerica” 1844) e
sul quantitativo di personaggi che Poe riusciva a far risvegliare dentro una
bara perché creduti erroneamente morti prima del tempo (“La sepoltura prematura”
1844) non so quanto abbia influito sul nome di questo blog il fascino oscuro di
quelle storie (forse un po’) ma il volume terminava di sicuro con il più
celebre racconto di Poe forse di sempre che non preveda un corvo (NEVERMORE)
ovvero “Il gatto nero” (1843).
Nel tempo crescendo (oltre a non essere migliorato in fatto
di macabra stranezza) ho letto tutto il possibile su Poe, quindi potete
immaginare cosa poteva rappresentare per il me stesso adolescente una cosina
come “Due occhi diabolici” due grandi maestri del cinema Horror, che rendono
omaggio ad Edgar Allan Poe dirigendo due dei suoi racconti, e se Dario Argento ancora
oggi mi piace con riserve, George A. Romero è sempre stato uno dei miei
preferiti.

“Che stai facendo Dario?”, “L’imitazione del gatto nero… Miao! Miaaaao!”.

Ma il primo problema di “Due occhi diabolici” è proprio qui,
l’aspettativa è piuttosto grossa viste le premesse di un progetto che ha dovuto
ridimensionarsi fin dalla sua genesi, si perché il piano originale di Dario
Argento era sì quello di avere un film ad episodi, ma con quattro registi
diversi. Oltre a se stesso e al suo grande amico Romero, con cui è sempre stato
sodale fin dai tempi di Zombi (Dawn of the Dead), il piano era di avere a bordo anche John Carpenter e un altro amicone di Romero, ovvero Stephen King
che avrebbe dovuto tornare dietro la macchina da presa dopo Brivido, ma forse visto lo scarso successo, qualcosa deve essere andato storto per forza.

Non riesco a non immaginarmi la scena di Romero e del suo amico
Italiano seduti ad un tavolo di Hooters, con zio George che chiede: «Ma quando
arrivano Johnny e Stevie?», ed in una scena del tutto simile a questa, Dario
Argento che risponde: «George, Johnny e Stevie non verranno… Un brindisi a
Johnny e Stevie! … George? Dove vai George? Hai dimenticato qualcosa in
macchina? George?».

In questa Gif animata, l’incontenibile gioia di Romero, una volta ricevuta la notizia.

Per altro, gli amanti del gossip parlano di una lavorazione
travagliate e di Argento che pungola Romero a dirigere meno svogliatamente, ho
fatto delle indagini ma non ho trovato riscontri credibili su questo fatto,
quindi lo etichetto come un parere personale forse dettato dal risultato finale, perché dubito fortemente che un regista che ha sempre faticato così tanto a reperire fondi per
i propri film, e una spiccata predilezione per le opere tra amici, una volta
sul set sarebbe andato in giro sbuffando., dai su, non scherziamo. “Two Evil Eyes” ha diversi problemi, ma
questo tipo di gossip lo lascio volentieri a chi è interessato a sfruttarlo.

Rimasti in due a ballare l’hully gull, Dario Argento riesce
a far valere i suoi contatti e insieme al fratello Claudio e al produttore Achille
Manzotti mette insieme i 9 milioni di ex presidenti defunti stampati su carta
verde che permettono a tutti di girare a Pittsburgh, città natale di Romero. I
due amici si dividono equamente i 120 minuti del film, e così farò io per
analizzare i due mediometraggi.
Fatti nella vita del signor Valdemar (regia di George A.
Romero)
La Leggenda sceglie di adattare “La verità sul caso
Valdermar” (1845) un racconto sul mesmerismo forse perché aveva avuto una
maestra a scuola come la mia, in ogni caso per la sua versione della storia,
tiene conto di chi lo ha preceduto, includendo nella trama anche i due amanti
che non sono presenti nel racconto originale, ma tengono banco nella versione
cinematografica presentata da Roger Corman nel suo “I racconti del terrore”
(1961).
Nella versione Romeriana, la bella moglie dell’anziano e
morente Ernest Valdemar (Bingo O’ Malley, e ditemi che non è il nome più bello
del mondo) si chiama Jessica ed è interpretata dalla mitica Adrienne Barbeau al
suo secondo film ad episodi diretto da Romero. La donna è una ex Hostess di
volo che dopo essersi cuccata il ricco bacucco, vorrebbe monetizzare dalla sua
morte, e poi rigettarsi tra le braccia del medico dell’uomo, un vecchio amante
di Jessica molto più giovane ed aitante di nome Robert (Ramy Zada) che tiene il
signor Valdemar in uno stato di costante ipnosi, grazie alle sue conoscenze sulla
mesmerizzazione, considerata dal medico molto più umana nel suo evitare inutile
sofferenze all’uomo.

“L’ultima volta sono finita dentro una scatola, ma questa volta non mi fregate”.

Bisognerà soltanto tenere duro due settimane perché la
burocrazia faccia il suo corso, se Valdemar dovesse tirare i calzini in questo
periodo di tempo, ciao ciao soldoni e bella vita. Sfiga! Il vecchio Ernest
rende l’anima non solo durante questo periodo così critico, ma anche mentre si
trovo ancora in stato d’ipnosi, cosa fare? Una grossa ghiacciata nel sottoscala
è la soluzione, e il cadavere del signor Valdemar viene trasformato in Capitan
Findus.

Capitan Findus, per i capitani zombie di domani.

Situazione in ghiaccio? Più o meno, perché con una spettrale
voce dall’altro mondo, Valdemar ancora si fa sentire e lavora ai fianchi sui
sensi di colpa della donna. Molto azzeccato collocare il corpo congelato (ma
ancora parecchio chiacchierone) dell’uomo al fondo di una lunga scala, un modo
nemmeno troppo velato di rappresentare una discesa nell’inconscio (e nel senso
di colpa) per la nostra Adrienne Barbeau, ma non voglio stare a cavillarci
sopra troppo, perché il problema di questo segmento è un altro.

Romero allunga la tensione ma purtroppo anche il brodo,
inserisce sua moglie Christine Forrest in un ruolo da infermiera quasi identico
a quello di Monkey Shines ma
purtroppo l’episodio in sé resta piatto, a tratti davvero troppo televisivo,
ahimè uno dei lavori meno ispirato della Leggenda. Bisogna dire che Romero come
Poe, è stato da sempre attratto dalla linea che separa la vita e la morte, che
questi due grandi autori hanno reso sottilissima con le loro storie, per
entrambi i morti, una volta liberati dalla loro catene, tornano a perseguitare
i veri mostri, ovvero i vivi con tutte le loro idiosincrasie, purtroppo lo “zombie”
del signor Valdemar è uno dei meno incisivi mai sfornati da Romero, che si
ritrova per le mani troppi minuti da gestire, per una trama che con la metà del
minutaggio, sarebbe stata molto più snella ed efficace, l’assenza dei segmenti
diretti da Carpenter e King qui si fa sentire moltissimo.

Il grande Tom Atkins, che tornerà nel corso di questa rubrica.

Di molto chiaro e diretto invece, c’è la critica al
consumismo e al Dio denaro, un altro classico tema Romeriano, che qui è in
bella vista, non mi riferisco solamente al sangue che cola sulla banconote nell’ultima
scena (quella con il mitico Tom Atkins), ma anche il metronomo utilizzato da
Robert per il suo piano, ha una forma che ricorda volutamente la piramide
massonica che è facile trovare raffigurata sui dollari, quindi anche qui la
Leggenda conferma la sua naturale propensione ad utilizzare il genere horror
come critica sociale, ma l’ultima scena, dove proprio quel metronomo diventa
protagonista, sarebbe risultata molto più potente se l’episodio fosse durato la
metà.

Lo so che questa è una rubrica su George A. Romero (lo sapete che la “A” sta per amore? Beh ma io ve lo ripeto lo stesso), ma più
di questo non si può aggiungere, perché a fare la parte del leone in questo
film, è il segmento diretto da Dario Argento. Anzi, più che del leone, fa la parte del gatto, ecco.
Il gatto nero (regia di Dario Argento)
Immagino ricordiate tutti la celebre pubblicità che diceva “Vi
piace vincere facile?” ecco, sarebbe fin troppo semplice usarla per descrivere
quanto fatto da Argento, che si accaparra uno dei racconti più celebri e
memorabili di Edgar Allan Poe, già portato al cinema dal citato Corman (massimo
cantore di Poe al cinema) ma anche dal grande Lucio Fulci nel 1981 con “Black
cat”.
Argento rende ancora più personale il racconto originale,
premendo meno l’acceleratore sulla sua natura claustrofobica, ma lavorando
molto bene sul senso di ineluttabilità che volteggia attorno al protagonista,
il fotografo con basco tipo mimo Francese, Roderick Usher interpretato da un Harvey
Keitel in gran spolvero.

Non me rompe er ca (Cit.)

Usher (si, proprio come “La caduta di casa Usher” ovviamente
di Edgar Allan Poe) è un fotografo di nera abbastanza eccentrico e propenso
alla bottiglia e all’uso della violenza, un cattivo tenente convivente che
fa vedere i sorci verdi alla sua compagna Annabel (Madeleine Potter), che in
tutta risposta porta a casa una gatta nera con una macchia bianca dalla forma
strana sul petto, e che per altro odia Usher con tutte le sue feline forze.

Comprensibile, specialmente quando il fotografo la sottopone
a torture per metterla sulla copertina del suo libro fotografico intitolato “Metropolitan
horror”, mossa che non piace per niente ad Annabel che cerca di mollarlo, ma
finisce morta ammazzata e murata dietro ad una parete di casa. Abbastanza significativo
che il crimine nascosto da entrambi i protagonisti di “Due occhi diabolici” sia per Romero
che per Argento, sia celato al fondo di una scala, che nel caso di Argento non
scende ma sale verso l’alto e per altro la nuova parete ricostruita ad hoc,
viene ricoperta da mensole piene di vhs con tanti classici del cinema.

Se ve lo state chiedendo no, non è il gatto di “Sabrina vita da strega”.

Dario Argento sfrutta molto meglio l’ora di tempo a sua disposizione
sfornando un mediometraggio che forse per i suoi fan della vecchia guardia, è
fin troppo moderato nel mostrare ammazzamenti di sorta, ma che per i lettori di
Poe potrebbe risultare anche troppo. Si perché Darione nazionale sfrutta gli
ottimi effetti speciali di Tom Savini (che fa anche una piccola comparsata nell’episodio)
per portare avanti il suo gusto per la violenza nei film, ma condisce il tutto
con un paio di virtuosismi ben girati (le soggettive del gatto) e continui
rimandi cinematografici mai fastidiosi, ma gustosi da scovare.

“Ma questo è un massacro!”, “No, tecnicamente è una citazione”.

Il primo cadavere fotografato da Usher è una donna tagliata
a metà da una lama gigante inchiodata al soffitto, un palese omaggio a “Il
pozzo e il pendolo” (1961) del solito Roger Corman, ma anche i nomi dei personaggi sono continue citazioni, del
protagonista vi ho già detto, ma aggiungo che uno dei vicini impiccioni si
chiama Pym come il Gordon Pym del romanzo di Poe, ed è interpretato da Martin
Balsam, che basta citarlo per pensare subito a “Psycho” (1960).

Argento traccia un filo rosso tra il gatto nero al centro
della storia, e un tema a lui molto caro
nella sua filmografia, ovvero
le streghe, e senza tirare via la mano sugli
ammazzamenti (la scena dell’impalamento resta una delle più potenti del film) mette
su un episodio davvero riuscito, decisamente più appassionate di quello diretto
dall’amico George A. Romero.

“Ti maledico ad una vita di remake diretti da Luca Guadagnino!”.

“Due occhi diabolici” oltre ad essere un omaggio ad Edgar
Allan Poe sembra un modo per due amici (e guarda caso, anche due maestri dell’Horror) che ha il beffardo destino di essere considerato come l’ultima scintilla, prima di
una fase calante per entrambi i registi, a cui almeno Romero ha saputo mettere
un freno con un titolo ingiustamente sottovalutato e il ritorno ai suoi amati
zombie, mentre per Dario Argento si è trasformato in una caduta libera. Non
sono un tipo scaramantico e non credo alla buffonata per cui i gatti neri
portino sfortuna (i gatti neri sono i più fighi) quindi la conclusione di
questa storia la lascio a voi.

Invece il resto della rubrica è in carico a me, la prossima
settimana sarò ancora in missione per conto di zio George, con quello che in
qualche modo è un rito di passaggio per ogni maestro del cinema horror: L’adattamento
di un romanzo (del suo amico) Stephen King!
0 0 voti
Voto Articolo
Iscriviti
Notificami
guest
0 Commenti
Più votati
Recenti Più Vecchi
Inline Feedbacks
Vedi tutti i commenti
Film del Giorno

L’uomo che non c’era (2001): il principio di indeterminazione dei fratelli Coen

Capelli. Cadono, crescono, vengono tagliati, imbiancano, continuano a crescere anche dopo la morte ed è solo una delle informazioni che ti restano addosso, come i capelli tagliati, quando arrivi ai [...]
Vai al Migliore del Giorno
Categorie
Recensioni Film Horror I Classidy Monografie Recensioni di Serie Recensioni di Fumetti Recensioni di Libri
Chi Scrive sulla Bara?
@2025 La Bara Volante

Creato con orrore 💀 da contentI Marketing