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Duel (1971): ci serve un’auto più grossa

Il 18 dicembre compie gli anni Steven Spielberg, una ricorrenza che SamSimon mi ha ricordato e che non potevo proprio non onorare, visto che il vecchio Steven è da sempre uno dei miei preferiti, ogni occasione è buona per riportarlo su questa Bara, quindi perché non il suo compleanno? In fondo parliamo di un grande maestro del cinema che ha iniziato la sua carriera… In televisione.

Si perché dopo aver curato la regia del primo episodio di un
telefilm che abbiamo visto tutti prima o poi nella nostra vita, ovvero
“Colombo” (storia vera), l’esordio con un lungometraggio dell’allora 25enne Spielberg è stato
un film per la televisione, andato in onda nel programma antologico “ABC Movie
of the Week” il 13 novembre del 1971. 74 minuti al fulmicotone, tensione allo
stato puro che mescolavano ad atmosfere stradali tipiche della New Hollywood,
generi diversi ma coerenti tra loro come il thriller, il western e l’horror. Un
equilibrio perfetto talmente riuscito e puramente cinematografico da meritarsi
gli schermi giganti delle sale, dove arrivò in una versione gonfiata della
durata 86 minuti che però, non diluiva per niente la tensione costante di
“Duel”. L’esordio di un giovane maestro che però alle spalle ne aveva un altro,
ovvero il grande Richard Matheson.

L’origine di tutto, uno dei più grandi, il Maestro Richard Matheson.

Richard Matheson, senza girarci attorno e parafrasando il
titolo del suo libro più famoso, è leggenda.
I suoi lavori hanno influenzato classici della storia del cinema, e sono
sempre stati ad un passo dall’arrivare al cinema, relegati in tutto il loro
genio in quella che ai tempi era considerata la sala d’aspetto del cinema, oppure il suo cimitero degli elefanti. Proprio in televisione Matheson ha
contribuito alla leggenda di serie come Ai confini della realtà, anche se il magnifico mondo di Hollywood sembrava non
voler proprio accettare il genio del Maestro Matheson, ad esempio nella sfida tra grandi,
la sua idea per la prima bozza di “Gli uccelli” (1963), in cui i minacciosi
pennuti non venivano mai mostrati apertamente, soluzione bocciata da Alfred
Hitchcock, che affidò la sceneggiatura al più canonico Evan Hunter (Storia
vera).

Le lettrici e i lettori della Bara Volante, gli unici che possono vantarsi di essere stati diretti da Steven Spielberg.

Ironico, visto che “Duel” é una storia di tensione, che in più di un
passaggio strizzava l’occhio a trovate Hitchcockiane (il manicotto del
radiatore danneggiato, un’informazione che ci viene fornita nel primo atto ma
diventa fondamentale nel terzo), fosse quella che avrebbe portato Matheson, prima nuovamente in televisione e poi finalmente sul grande schermo, ci voleva
un nuovo giovane maestro di venticinque anni a cogliere al volo il potenziale
di un racconto come “Duel”, anzi per la precisione fu l’assistente di Spielberg
a suggerirgli di leggere la storia pubblicata per la prima volta sulle pagine
di “Playboy”, anche perché un uomo probabilmente, si sarebbe distratto a
guardare le figure, ammettiamolo.

Le storie più semplici il più delle volte, sono anche quelle
più efficaci, “Duel” comincia con un sorpasso, il commesso viaggiatore David
Mann su una stradina semi desertica supera un grosso camion, che per qualche
ragione non ben precisata (perché l’orrore non spiegato che ti piomba addosso
senza motivo, fa anche più paura), decide di lanciarsi in un contro sorpasso.
Poi un colpo di clacson, forse uno sguardo di troppo chi sa, l’autista del
camion non la prende bene e decide che è il momento di cominciare una caccia
all’uomo, l’enorme camion carico di liquido infiammabile contro la piccola
automobile. La scelta dei nomi non è casuale, David Mann, che suona un po’ come
Davide Uomo, l’uomo contro la macchina, ma anche Davide contro un enorme Golia
su gomme.

“Alle 11 e 32 del mattino Mann superò il camion”. Le prime parole del racconto di Matheson diventate cinema.

Il racconto del maestro Matheson sono cinquanta pagine di
tensione pura, un modo per riflettere su come anche un uomo qualunque (David
Mann, nomen omen), messo alle strette e costretto a combattere per la sua vita,
possa tirare fuori gli artigli, dandoci dentro di sgommate e acceleratore. Per
come termina il racconto, quasi un peccato che questa riflessione non sia finita
nelle mani di uno come Sam Peckinpah,
ma per nostra fortuna è arrivato uno come Spielberg, cresciuto con i programmi
televisivi, uno che il cinema lo aveva studiato all’università e con questo
film, non solo ha unito di due mondi, quello televisivo e quello cinematografico, ma ha dimostrato di essere stato anche un
ottimo studente.

“Duel” nelle mani di Spielberg diventa un adattamento quasi
perfetto del racconto, non solo perché a curare la sceneggiatura è stato lo
stesso Richard Matheson, quando più che altro per il fatto che le poche scene
aggiuntive, create apposta per il film, sono perfettamente in linea con il
racconto anche se rompono per qualche minuto l’isolamento di David Mann, ma per
certi versi non fanno che incrementarlo.

“Uscite dall’acqua! Fuori dall’acqua!”, “Ma quale acqua?”, “Scusate, film sbagliato

Ad esempio la scena dello scuolabus fermo a bordo strada,
che David cerca di aiutare a far ripartire, spezza l’isolamento Mathesoniano (esperto di uomini soli contro un mondo circostante avverso, come accadeva al
suo Robert Neville in “Io sono leggenda”). I bambini a correre un pericolo, che
solo il protagonista percepisce nella sua interezza è un tema che Spielberg
avrebbe esplorato ancora nella sua
filmografia, perché a ben guardare “Duel” non è solo un esordio talmente
fulminante da risultare troppo grande per il piccolo schermo, ma conteneva già
tutti gli elementi migliori del cinema con cui Steven Spielberg ci avrebbe
deliziato per anni, a partire dagli inseguimenti.

Se sai dirigere un bell’inseguimento al cinema, vuol dire
che potrai dirigere qualunque cosa senza problemi, infatti “Duel” è il miglior
biglietto da visita possibile. Un lungo inseguimento senza fine, per un regista
che subito dopo ci avrebbe raccontato un’altra corsa disperata (Sugarland
Express) e poi l’inseguimento dell’Orca, quindi
“Duel” per certi versi è il primo grande inseguimento di un regista esperto di questa materia. Ma a ben guardarlo è anche un meccanismo ad orologeria dove
Spielberg ha potuto portare in scena lezioni apprese studiando il cinema di
Orson Wells e quello di Alfred Hitchcock. Da queste parti i film in grado di
creare così tanta iconografia si chiamano Classidy!

Il rischio, con una storia come quella di “Duel” è quello di
perdere forza e credibilità, nel momento esatto in cui il protagonista mette
piede a terra. Un autista probabilmente pazzo senza alcuna ragione, ti
perseguita con il suo enorme camion lungo la strada? Tu esci dalla strada,
rifugiati da qualche parte, lascialo andare via, o magari chiedi aiuto.
Spielberg in maniera incredibilmente intelligente mantiene la tensione
altissima anche quando il suo protagonista David Mann (un perfetto Dennis
Weaver, che recita tutto di tensione, di nervi e di paura), toglie le mani dal
volante.

Dramatic Chipmunk Mann

Nella scena della tavola calda, Spielberg ha ancora bisogno
di ricorrere alla voce narrante del personaggio, che nel racconto di Matheson è
quella che porta avanti la storia e che “sentiamo” nella nostra testa leggendo,
ma che al cinema è una soluzione poco canonica a cui Spielberg ricorre per
rendere una scena statica (David che cerca nei volti anonimi dei camionisti in
sosta ai tavoli, il suo possibile persecutore) qualcosa di assolutamente
dinamico. In maniera molto brillante, Spielberg capisce che il suo personaggio
deve essere in pericolo quando è alla guida, ma ancora di più quando esce dal
guscio della sua auto, scelta da Spielberg tra i modelli più anonimi possibili,
va bene anche una Plymouth Valiant purché rossa, doveva essere rossa per
forza, per spiccare ben visibile sull’asfalto e dallo sfondo di
un’ambientazione desertica (storia vera).

Il rosso era anche il colore che Spielberg aveva abolito dalla spiaggia in Lo Squalo (segni rossi di continuità)

L’altra scena assente dal romanzo, ma potentissima
nell’adattamento vede ancora una volta David fuori dal suo guscio rosso marchiato
Plymouth. Per rendere ancora più coerente la storia, mettendo davvero il povero
David spalle al muro, bisognava trovare il modo di fargli provare a contattare
le autorità (cosa che non avviene nelle tiratissime cinquanta pagine del
racconto di Matheson), la scena della cabina del telefono e della signora con
le teche piene di serpenti, mette in chiaro che il camion ha preso di mira
proprio il nostro protagonista, per assurdo è proprio qui che Spielberg fa il
suo Hitchcockiano cameo, se riuscirete ad aguzzare la vista abbastanza, lo
vedrete riflesso nel vetro della cabina telefonica, un errore che diventa di
colpo la firma del grande autore.

Aguzzate la vista e scovate il regista.

Si perché “Duel” sarebbe già un film fenomenale di suo, se
non fosse che realizzarlo così, con questa competenza dell’uso delle arti
cinematografiche, e per di più una visione così chiara di che tipo di regista
Spielberg avrebbe voluto essere da grande, a venticinque anni, è qualcosa di
ancora più incredibile. Un “bambino prodigio” che con questo film ha saputo portare
al cinema il suo primo grande dinosauro, il suo primo mostro che pesca in pieno
dalle sfide dei duelli western (l’inquadratura sull’auto di David, da sotto le
gambe/gomme del camion, sembra lo scontro finale tra due pistoleri pronti a
mettere mano ai revolver), ma per stessa ammissione di Spielberg, anche dai
film della Toho, infatti l’effetto sonoro che sentiamo emettere al camion
nell’ultima scena (per altro riciclata identica in un episodio della serie tv
“L’incredibile Hulk”, storia vera) veniva da un vecchio film di mostri “Il
mondo perduto” (1925), perché Spielberg voleva che il camion fosse davvero un
mostro gigante a tutti gli effetti. Il fatto che poi Steven in carriera abbia
diretto a sua volta un film intitolato proprio Il mondo perduto, ci offre davvero la dimensione di quanto “Duel”, abbia aperto il campo a tutto il cinema Spielberghiano futuro.

Se questa non è un’inquadratura da Western, mi mangio cappello e speroni.

Se Dennis Weaver è un perfetto protagonista, non è di certo
da meno l’altro “duellante”, Spielberg non aveva a disposizione tanti camion da
utilizzare per il suo piccolo film televisivo, aspettate che li conto, ne aveva
ben… Uno (storia vera). Quando gli è stato concesso di girare scene aggiuntive
per la versione cinematografica, Spielberg ha potuto disporre di sei camion,
che venivano “truccati” con spennellate di vernice per assomigliare il più
possibile a quello utilizzato nella prima versione del film, scherzando Weaver
ha dichiarato che il camion, passava più ore in sala trucco di lui.

Il primo inseguimento, ma anche il primo mostruoso dinosauro della carriera di Spielberg.

Se nel racconto di Matheson la cisterna è bianca e rossa con
la scritta “Keller” (che suona un po’ come “Killer”) su una portiera, nel suo
adattamento Spielberg lo trasforma in un leviatano rugginoso, con multiple
targhe che ne rendono impossibile la localizzazione presso un solo stato, ma
che sembrano anche i denti della creatura, un Golia d’acciaio lanciato su gomme che
mette paura quando compare in scena e per certi versi, terrorizza anche di più
quando non lo vediamo, proprio come avrebbe fatto dopo di lui Bruce.

Il duello a colpi di astuzia, sgommate e colpi di acceleratore
di “Duel” è una sfida infernale che si consuma a colpi di tensione, avrò visto
il film un centinaio di volte e quando quel dannato manicotto del radiatore
salta, mi sento togliere la terra da sotto i piedi, se Matheson era riuscito a
rendere spaventoso un viaggio in aereo (con il suo bellissimo racconto “Incubo a 20.000
piedi”) qui ha saputo rendere terrificanti anche i viaggi in automobile.
Spielberg invece ha fatto montare la tensione tenendoci tutti per il bavero fino a quel
finale che è grandioso, liberatorio, e che il giovane regista ha potuto girare…
Una sola volta.

“Sai Volare testa di cazzo?” (cit.)

Già perché come detto Spielberg disponeva di un solo camion
per girare il gran finale, dopo aver posizionate tutte le macchine da presa,
una in particolare ha ripreso il momento esatto dello schianto, tanto che
Spielberg in sala di montaggio ha dichiarato: «L’operatore meriterebbe una
medaglia!» (storia vera). Se Matheson faceva semplicemente esplodere il camion,
Spielberg fa una scelta da autore, si sofferma con le macchine da presa sui
dettagli, un tubo che perde olio (le gocce di sangue del mostro), lo pneumatico
che continua a ruotare ancora per qualche secondo prima di fermarsi per sempre,
Spielberg ci tiene a renderci testimoni della morte del mostro, facendoci
assistere al suo ultimo respiro.

Se Matheson nel finale del suo racconto lasciava che David
si liberasse in un urlo animalesco di gioia, dopo aver sconfitto il suo nemico,
Spielberg molto più nel suo stile lascia David solo, abbracciato nel calore del
tramonto, a lanciare sassolini finalmente libero dalla paura, il primo dei
tanti uomini ordinari, in situazioni straordinarie della carriera del vecchio
Steven.

Un caldo e consolatorio abbraccio finale (puro Spielberg al 100%)

Girato in soli 13 giorni, “Duel” è talmente pieno di ottimo
cinema da passare dal piccolo schermo a quello grande, per meriti dimostrati
sul campo, anche se parecchi appassionati di cinema nemmeno sospettano che
l’esordio di un grande Maestro come Spielberg sia avvenuto sul piccolo schermo. Televisione e cinema hanno pescato a piene mani dal suo esordio, oltre al già
citato “L’incredibile Hulk”, anche i fumetti e i cartoni animati hanno
omaggiato a più riprese il camion di Spielberg, per non parlare dei film, mi
viene in mente almeno una scena di “Jeepers Creepers” (2001), per non parlare di
“Radio Killer” che era una scopiazzata senza autorizzazione, non a caso firmato
nella sceneggiatura dal maledetto GIEI GIEI, uno che da grande avrebbe voluto
diventare Spielberg ma si è perso lungo il percorso.

Anche se l’omaggio cinematografico più chiaro di tutti, in
questo piccolo ma grandissimo film che ha coinvolto tutti i miei maestri preferiti, per me
resta Brivido, pensate davvero che
uno come Stephen King, che ha eretto la sua bibliografia sull’altare di
Matheson, non si sia ricordato di “Duel”, quando ha provato ad esordire anche lui
come regista al cinema? Io ne sono piuttosto convinto.

Anche se l’ispiratore originale invece, il vero Steven Spielberg che
oggi compie gli anni, è ancora oggi uno dei più grandi registi viventi in
circolazione, uno che che grazie al Maestro Matheson è diventato a sua volta un
Maestro, insegnando a tutti che a volte e meglio rinunciare ad un sorpasso per vivere più tranquilli.

Non dimenticatevi di passare a trovare Sam che oggi ci parlerà di un altro bellissimo film di Spielberg, ovvero L’impero del sole.

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