Dico sempre che il giorno in cui riuscirò a scrivere un commento come si deve di “I sette samurai” (1954) di Akira Kurosawa, appenderò la tastiera al chiodo e mi ritirerò a vita privata su una montagna, a tagliere legna, a dar da mangiare ai cerbiatti, ad insegnare alla progenie ad usare i gomiti nel modo più letale possibile, insomma… Le solite cose che fanno gli uomini arrivati quando sono… Beh, arrivati.
Ma la via verso la saggezza è un percorso lungo, sono migliorato, eh! Ho quasi totalmente smesso di far uso di trailer, eppure ci sono altre lezioni che dovrei imparare, ad esempio, quando annunciano un remake, io dovrei sfruttare l’occasione per rivedermi l’originale ed ignorare il nuovo arrivato, se avessi fatto così con Dumbo, sarei stato un passo più vicino alla montagna sacra della pace interiore del cinefilo blogger taglialegna.
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Parliamo subito dell’elefante nella stanza (ah-ah) “Dumbo” non fa schifo come “Alice in Wonderland” (2010) che è un po’ come dire: “Ti ho solo dato uno schiaffo, quando potevo colpirti con i miei gomiti letali… UA-TAA!”. Fatta questa doverosa premessa, passiamo al film, anzi mi tiro su le maniche perché i gomiti ho intenzione di usarli.
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Tim Burton cerca di corrompermi con una scimmia in CGI, ma non basterà! |
Batman? Lui prende l’Uomo Pipistrello, inserisce delle robe che farebbero venire un infarto ad un Nerd (Joker che “crea” Batman con le sue azioni), ma lo rende uno dei suoi scherzi della natura. Il pianeta delle scimmie? Da una lettura veloce e sommaria al racconto originale di Pierre Boulle, ne tira fuori un film dal finale senza alcuna logica. Big Fish? Il libro è bello, il film molto di più proprio perché Burton lo ha riempito di circhi e strambi personaggi portando la storia dove interessava a lui. Avete capito il gioco, no? Tim Burton adatta cose, non importa cosa, tanto lui la ignora se ne sbatte e cerca di trasformare tutto nel suo circo. Con la piccola discriminante che quando entra in zona favola, il suo cinema diventa più plastico e caramelloso, ecco perché Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato è molto più “Burtoniano” (e cattivello) della versione di Burton e con “Dumbo” è successo ancora.
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«A grandi linee? Una roba su un elefante che vola, avrai preferito una bara ma questo chiede Disney» |
Ehren Kruger (autore della sceneggiatura originale) è uno che in carriera ha firmato tante cose celebri, se poi vai a ben guardare, non tutte pesche e crema, ma tanto Tim Burton se ne frega, perché tutto il primo atto della sua versione di Dumbo, non è altro che un modo per sbrigare la pratica, l’originale durava 64 minuti? Bene, noi in meno di quaranta lo rifacciamo tutto e poi passiamo a fare altro.
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L’espressione di Colin, non riesco a guardare altro, è il riassunto del film. |
Voi direte: “Un elefantino volante sbeffeggiato per le grandi orecchie e un umano con una menomazione fisica è la stessa dinamica del primo “Dragon trainer” (2010)”. No, perché Tim Burton se ne frega di tutto, tanto che per il suo Cowboy protagonista, la perdita di un braccio non è un problema, fa esattamente le stesse cose di prima, al massimo ogni tanto ci scherza su, quelli che sentite in sottofondo sono gli scricchiolii della poetica dei freak di Burton, ma il vero colpo di genio arriva adesso.
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Fatemi capire, la cicogna no, ma la parata degli uomini vestiti da pene sì? |
Già, perché la fissazione di sostituire con degli umani, gli animali antropomorfi del film del 1941, crea situazioni assurde. A partire dal cattivo cattivissimo che, per pura e semplice malvagità, le tenta tutte per far arrabbiare la signora Jumbo facendola finire in catene, salvo poi, scomparire per sempre dal film (giuro! PUFF! Sparito) lasciando tutto il pubblico a chiedersi: “Perché quel biondo dalla faccia butterata odiava così tanto gli elefanti? Era rimasto traumatizzato da Dumbo da bambino?”. Non lo sapremo mai.
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Ne ho vedute tante da raccontar, giammai gli elefanti i Tim Burton volar! |
Allo stesso modo: perché la donna cannone (che nell’umorismo di Burton è la donna sirena in versione “Curvy”, meno male che sei sensibile con l’altrui diversità Tim!) dovrebbe cantare “Bimbo mio” il pezzo strappalacrime che fa sudare le palpebre anche ai Rambo là fuori? Quella era la canzone con cui mamma Jumbo consolava il suo piccolo, ma qui da contratto tocca esibirsi in tutte quella scene che non possono mancare in un film su Dumbo, quindi tocca fare anche sta pantomima della canzone.
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Passato dallo champagne allo sniffo. Gioventù bruciata. |
Tra una sniffata svolazzata e l’altra, Dumbo supera la scena dei clown e dell’incendio, diventa l’attrazione numero uno del circo e gli spettacoli fanno il tutto esaurito, un bellissimo spettacolo vecchia scuola che piace tanto al pubblico. Peccato che siamo al minuto quaranta del film e ci sarebbe un’altra ora da riempire ed è qui che Tim Burton mena il suo colpo più duro.
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«Hai finito con ste piume? Ma tu hai un problema serio ragazzo mio!» |
L’offerta è unica: “State facendo soldi a palate con il vostro circo che presto diventerà uno spettacolo fuori moda, perché non venire a fare meno degli stessi soldi che potreste fare da soli, lavorando alle mie dipendenze, cari amici del circo?”.
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Ci sono così tante di quelle battutacce che potrei scrivere qui sotto, che è meglio se evito. |
Eva Green nei panni di Colette Marchant ci viene presentata come una ex trapezista di strada (eh?) e se non bastasse questo, fa riflettere il fatto che Eva Green abbia speso l’intera carriera a ricordare al pianeta di essere fondamentalmente più figa degli altri quasi sette miliardi di abitanti di questo gnocco minerale che ruota attorno al Sole e qui sia costretta a recitare avvinghiata sopra un elefante ricostruito in CGI davanti ad uno schermo verde, un po’ come se stesse domando un toro meccanico. Anzi per dirla ancora meglio, vi riporto l’affermazione della mia Wing-woman: «Sembra Valeria Marini sopra la mortadella». BOOM! Mic drop!
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Una scena del film (certo che con gli effetti speciali fanno proprio di tutto ormai) |
Inutile girarci attorno, Tim Burton è più svogliato del solito nel dirigere tutta questa roba, si vede che inserisce dentro scene “alla Dumbo” solo per motivi contrattuali, in questa versione, poi, la faccenda del nome del personaggio, un crudele gioco di parole con la parola “Dumb” (muto, ma anche scemo) che avevo, con la solita classe che mi rappresenta, suggerito di tradurre con Minchio, qui torna di stretta attualità.
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La domanda del cretino (IO): Non sarebbe stato più logico realizzarlo in stop motion? |
Quando il pubblico inizia a sbeffeggiare l’elefantino, nella versione doppiata del film, viene fuori l’incomprensibile coro «Dumbo sei un dumbo!» che comunque non ha senso, anche se uno dei personaggi un attimo prima afferma qualcosa tipo «Dumbo, vuol dire che è scemo». Voi avete mai messo la testa fuori dal finestrino e urlato a quello che vi ha tagliato la strada: «cosa fai ma sei Dumbo?!?» io personalmente no e visto che trovo improbabile il fatto che le prossime edizioni del film per l’home video verranno rieditate con il titolo di “Minchio” (…un classico Disney), faccio la proposta contraria: adattiamoci noi all’incomprensibile doppiaggio italiano del film e iniziamo ad usare “Dumbo” come insulto, sentite come suona bene… Testa di Dumbo! Vaffandumbo! Grandissimo pezzo di Dumbo! Dài, è fantastico, il mondo diventerebbe subito un posto più tenero e caruccio se ci insultassimo tutti così.
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«Siamo rimasti solo noi Danny, ormai anche Johnny Depp si rifiuta di lavorare per Burton!» |
Eppure, la falce moralizzatrice che nel 1941 per Disney non era certo un problema, nel 2019 è un fattore, secondo voi possono mancare i Rosa elefanti in un film che esce con il titolo “Dumbo”? Proprio no, però non possiamo certo dare degli alcolici ad un elefantino, no? Cioè finché si tratta di dare della “trapezista di strada” ad Eva Green nessun problema, ma gli alcolici? Ed ecco perché nella versione di Tim Burton i Rosa elefanti si riducono ad un semplice esibizione con le bolle di sapone. No, sul serio!? Siamo davvero a questo!? I Rosa elefanti analcolici!? Non serve nemmeno inserire battutine – che in realtà sono strizzatine d’occhio – sul tenere gli alcolici lontani dai bambini, perché porco mondo, ormai è un’espressione di uso comune, vedere gli elefanti rosa è sinonimo di essere ubriachi, puoi creare una versione analcolica? Ditemi una singola cosa nella vita che diventa divertente quando gli aggiungo l’aggettivo “analcolico”, ci provo io: Tim Burton se ti incontro per strada ti tiro una gomitata analcolica, grandissimo testa di Dumbo.
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Rosa elefante che cosa ti hanno fatto? CHE COSA TI HANNO FATTO!?!? |
Il film continua a procede nella noia, anche perché lo sappiamo che fine fanno i parchi di divertimento al cinema, quindi il “Dumbo” di Tim Burton termina senza guizzi come tutto è iniziato, con Max Medici che acchiappa il denaro e torna a fare il suo circo senza più animali – trovata che approvo in pieno, ma proprio come i Rosa eleganti analcolici è figlia dei nostri strambi tempi – ed è qui che tutto mi diventa chiaro. Se il primo tempo di “Dumbo” è Tim Burton che adatta cose senza nessuna vera voglia di farlo e dimostrando di non aver capito il materiale originale, il secondo tempo è una grossa metafora sulla piega presa dalla carriera del regista dai capelli buffi.
Prendere i soldi di un miliardario stile Disney, per continuare a fare quello che faceva prima, portare in scena i suoi circhi guidati da Danny DeVito, sempre più patinati, edulcorati e se possibile analcolici. Tanto a Tim Burton di adattare cose non frega niente, interessa solo la sua poetica che è quasi solo più estetica e basta, una volta avrebbe trasformato il circo di Dumbo in una versione con elefanti di Freaks oggi, invece, Rosa elefanti analcolici per tutti!