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Dylan Dog no. 383 – Profondo nero: Cinquanta sfumature di Argento

Molto probabilmente sono la persona meno indicata sul
pianeta per lanciarmi in un commento su questo numero di Dylan Dog che a suo
modo, è già nella storia editoriale di uno dei personaggi a fumetti più amati
in questo strambo Paese a forma di scarpa.


Senza esagerare, saranno passati vent’anni dall’ultima volta
che ho acquistato un fumetto di Dylan Dog (Bonelli editore, invoco il vostro
perdono), certo per un periodo ho amato moltissimo il personaggio e mi portavo
a casa tutti gli albi che riuscivo a trovare, ma il più delle volte lo leggendo
dal barbiere (storia vera). Ehm, problema, da altrettanto tempo i miei capelli
sono sempre o troppo lunghi oppure troppo corti per avere un appuntamento fisso
con le forbici quindi beh, è andata così, che volete farci.
Tutta la fase di rilancio del personaggio curata da Roberto
Recchioni l’ho seguita con il binocolo attraverso blogger ben più sul pezzo di
me, tipo Il Cumbrugliume, Cent’anni di nerditudine oppure Omniverso, inoltre il mio rapporto con
il maestro Dario Argento non è sempre stato pesche e crema.
Ci sono alcuni suoi film che apprezzo come “Profondo Rosso”
(1975) (citato nel titolo di questo fumetto) oppure Suspiria, anche se il mio preferito in assoluto resta “Phenomena”
(1985), sugli ultimi film di Argento invece, preferirei sorvolare fischiettando
un motivetto e facendo finta di nulla.

Faccia finta di nulla, come se incrociassi per strada un coniglio gigante.

Ma essendo un ragazzaccio cresciuto a pane e film horror,
non potevo certo perdermi l’incontro ufficiale tra due delle più grandi icone
di questo genere sfornate dal nostro Paese, quindi per certi versi alla fine,
questo numero 383 di Dylan Dog fa al caso mio, non mi scandalizzo se
l’investigatore di Craven Road usa il cellulare, oppure se il poliziotto di
Scotland yard con cui collabora ora si chiama Carpenter, dai sul serio, secondo
voi mi dispiace leggere il nome Carpenter?
A me!?

Forse perché non avevo grosse aspettative, forse perché sono
vent’anni che non leggo più Dylan Dog, ma questo numero è stato come ritornare
a casa e trovare Groucho ancora lì a sparare freddure di ogni tipo, e bisogna
dire che qui la storica spalla di Dylan Dog è particolarmente scatenato, visto
che il tema di base della storia, ovvero il BDSM è un’ottima occasione per
Groucho per darci dentro con le sue battutacce.

Tu invece, dacci dentro con le frustate, la situazione lo richiede.

A supportare Dario Argento in fase di sceneggiatura troviamo
Stefano Piani, sceneggiatore che aveva già lavorato con il maestro sul film
“Dracula 3D” (2012), se sentite qualcuno che fischietta un motivetto facendo
finta di nulla, tranquilli sono io.

La trama dimostra di aver capito il personaggio di Dylan Dog
a fondo, si perché il torvo investigatore è sempre stato un personaggio capace
di lasciarsi avvinghiare dalle sue passioni e dalla sue ossessioni, proprio per
questo quando il suo maggiolone bianco targato come sempre “DYD666” viene
fermato dalla polizia davanti ad un museo, il nostro si lascia tentare dalla
mostra fotografica a tema BDSM, ma in particolare dalla bella e misteriosa
protagonista delle fotografie, la sensuale Lais, nome ispirato dalla Laide di
Corinto.
Ma la bella mora esiste davvero oppure è stata solamente una
visione per Dylan? Da qui si dipana il giallo, con abbondanti sfumature di
nero, anche se scritto da uno che si chiama Argento, insomma un macello di
colori per un fumetto in bianco e nero. Dylan Dog dovrà fare i conti con la
cultura BDSM, per capirci, come viene messo in chiaro in un dialogo della
storia, quella dove Mr. Grey è quello giusto, non quello di quella di facciata, nata sulla scia di quella cagata
di cinquanta sfumature di grigio per
capirci.

I disegni di Corrado Roi promossi a pieni voti.

Ma da grande uomo di cinema, Dario Argento non perde
l’occasione per rendere omaggio alla settima arte, ad esempio con un cryptex
chiaramente ispirato a “Il codice Da Vinci” ma anche a qualche strizzata
d’occhio alla sua filmografia, il negozio di repliche di oggetti di scena
infatti è pieno di poster di film di Dario Argento, ma si può trovare anche il
pupazzo meccanico di “Profondo Rosso”, dai ci sta, l’autocitazione fa parte del
gioco.

Bisogna dire che il mistero non è proprio impossibile da
risolvere, si arriva alla soluzione abbastanza presto, perché non è troppo
difficile da intuire, anche se mi sono rimasti dei dubbi sul fermo della
macchina di Dylan Dog, un po’ troppo provvidenziale per non passare per uno
svarione della sceneggiatura, ma poco importa perché la lettura prosegue bella
spedita, e questa trama così classica ti incolla alla pagina.
Era obbligatorio aspettarsi qualcosa di più? Personalmente
credo di no, forse grazie al mio “Disincanto Argentiano” il fumetto me lo sono
goduto, merito anche degli ottimi disegni di Corrado Roi, che con il suo tratto
sa davvero come rendere l’atmosfera evanescente ma anche sensuale della storia,
insomma per me l’operazione è promossa, anzi se Dario Argento volesse concedere
il bis, la mia frequenza di numero di Dylan Dog acquistati avrebbe una
vertiginosa salita!
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