Ci sono tante bellissime storie legate al mondo del cinema, oggi parliamo di una delle mie preferite di sempre, quella di un giovane regista, bizzarro, decisamente eccentrico che all’inizio della sua carriera, ha avuto l’occasione di incontrare di persona un altro disallineato dell’industria cinematografica, un tempo un grande, grandissimo attore, un divo del cinema Horror ormai molto in là lungo il viale del tramonto, ma da sempre, il grande eroe cinematografico del giovane regista. Questa è la storia di come questi due scappati di casa, non solo sono finiti a lavorare insieme e a fare film ancora oggi ricordati dal pubblico, ma della loro grande amicizia e visto che sicuramente avete letto il titolo del post di oggi, probabilmente avrete capito i loro nomi, che non sono quelli di Ed e Bela, ma di Tim e Vincent. Questo spiega secondo me perché “Ed Wood” sia un tale capolavoro.
Se me lo avessero chiesto qualche anno fa, forse per me sarebbe stato più complicato rispondere, o per lo meno, ci avrei messo qualche minuto in più, perché in effetti tra tutti i titoli della filmografia di Tim Burton quando era (artisticamente) vivo, “Ed Wood” resta il mio preferito, anche se non è facile scegliere, perché parliamo di un regista che ho amato molto e che all’apice della sua creatività ha davvero dato tanto al mondo del cinema, eppure questa biografia ha un paio di marce in più, una di queste sicuramente, il coinvolgimento emotivo di Burton in quello che è a tutti gli effetti un Classido, scusate se questo logo rosso infrangerà la monocromia del bianco, nero ed angora del post di oggi.
Quando si parla di Burton ci si dimentica sempre quello che per me resta il principale problema della sua carriera, parliamo di un regista puro, non uno sceneggiatore, uno che non ha mai scritto nessuno dei suoi film e che nel corso del tempo, ha sempre fatto più fatica a trovare soggetti in linea con la sua poetica, fino ai disastri recenti. Il suo zampino è evidente, dopo Batman – Il ritorno il regista avrebbe potuto fare qualunque cosa, anche permettersi di non tornare a Gotham City alle sue condizioni come effettivamente ha fatto, “Ed Wood” è stato il suo modo di gettarsi a capofitto sul classico sogno nel cassetto, il progetto della vita, il secondo capitolo della sua ideale “Trilogia degli Edward” iniziata con quello con le dita affilate e completate con Big Fish e se volete saperlo, la fissa per il nome Edward del regista di Brubank, deriva proprio dalla sua passione per il cinema di Ed “Peggior regista del mondo” Wood (storia vera).
Si sono scritte tonnellate di pagine sulla carriera di Ed Wood, regista di (s)culto che per ammissione di Burton, è stato ritratto qui in modo fin troppo edulcorato e accondiscendente, ma la bellezza di “Ed Wood” consiste proprio in questo, Burton ha voluto raccontare la passione per il cinema, vista con gli occhi di un veterano, in fissa con i golfini d’angora (molti personaggi femminili nei film di Wood si chiamano Ann Gora, storia vera), uno capace di scrivere lettere chilometriche, con periodi di cinque righe quando a chiunque ne sarebbe bastato uno per dire la stessa cosa, però tutte piene di vera passione. L’arma segreta di Burton? Gli sceneggiatori Scott Alexander e Larry Karaszewski, i veri eroi dimenticati di questo film, prima di firmare altre due biografie bellissime e non didascaliche per Milos Forman, si erano fatti le ossa alla grande qui. Avete presente lo sguardo in estasi di Johnny Depp quando nel film trova il materiale già girato con la piovra e tutte le scene scartate e inizia a “vedere” il suo film? È così che io immagino Burton durante la lettura del copione.
Visto che ho deciso di giocarmi questo post sui primi trent’anni di “Ed Wood” in un modo strampalato degno di beh, Ed Wood, parto da un altro elemento mai abbastanza celebrato di questo capolavoro, per ritrarre la “Factory” (per dirla alla Andy Warhol) del peggior regista del mondo, Burton abbraccia le storie di un’altra banda di freak, quelli che a lui sono sempre stati tanto a cuore. Ad Ovest del titolare questo film contiene tante altre mini biografie, quella dell’eccentrico indovino che non ne azzecca una Criswell (l’ex pretoriano di Burton, prima dell’incriminazione, Jeffrey Jones), la storia di “Mostro” Tor Johnson interpretato da un altro mito come George Steele, ma anche quella che potrebbe essere stata l’unica volta in cui un regista è riuscito davvero a contenere Bill Murray dal prendersi il palcoscenico, brillando per pochissimi minuti alla volta nel ruolo di Bunny Breckinridge, anche se poi i due non hanno mai più lavorato insieme, qualcosa vorrà dire no?
A quella che allora era la sua musa ispiratrice, la bellissima Lisa Marie, Burton affida il ruolo di Vampira, altro personaggio che meriterebbe una biografia tutta sua, senza parlare ovviamente di Bela Lugosi, qui ritratto splendidamente, anche nel pieno della sua decadenza e se per caso questa parte di storia vi interessa, sappiate che Koren Shadmi ha dedicato al grande divo ungherese un fumetto che sarebbe perfetto per un adattamento cinematografico. Anche in bianco e nero.
Per essere un film che parla di stramboidi non allineati, per una volta Burton non si rivolge nemmeno al suo compositore del cuore e opta per Howard Shore, che fa un lavoro incredibile, non solo i brani hanno un sottofondo che va a braccetto con le svolte emotive, ma oltre a riportarci dritti al 1952, ha interi brani che riecheggiano ai B-Movie solitamente associati a Wood, ma come lo giri e lo volti, questo film resta impeccabile sotto tutti i punti di vista.
Funziona come biografia del titolare, è bellissimo vedere Johnny Depp quando non faceva solo faccette ma sapeva incarnare davvero personaggi eccentrici, mentre con spezzoni che altri gettano via, pensa di farne un grande film (Ed Wood, padre quasi nobile della tecnica Asylum), il suo personaggio è descritto in tutta la sua stramberia, dai denti persi in guerra alla fissa per l’angora, in questa scatola cinese di parallelismi, vediamo Ed Wood cercare di fare un film quasi autobiografico sulla storia di un uomo che ha cambiato sesso, mentre Tim Burton, è intento a dirigere un film, ufficialmente su “Ed Wood”, mentre ufficiosamente, sulla sua amicizia con Vincent Price.
Il quantitativo di trovate presenti in questo film va di pari passo con il suo umorismo sottilmente nerissimo, ci sono passaggi brillanti, come il direttore della fotografia daltonico, che in una gag quasi meta-narrativa, tra i due tipi di vestiti, sceglie quello grigio-scuro. Oppure la “medicina” di Bela, qui ritratto con cupa ironia, entra in scena apparentemente morto in una Bara ed esce di scena idealmente allo stesso modo, tra sconsolati buchi sul braccio e i pochi flash dei fotografi che lo attendono fuori dalla clinica di rianimazione, un finale inglorioso per l’eroe di Ed Wood, che decida di dare al suo mito l’uscita di scena che merita, quella sul grande schermo.
“Ed Wood” non è agiografico, potrebbe beccarsi accuse di esserlo, ma Tim Burton all’apice della sua creatività, sentiva talmente tanto sua la materia, da aver davvero saputo utilizzare il mezzo cinematografico per mostrare un mondo, in bianco e nero come uno dei film di Wood, ma strapieno di tutto l’entusiasmo, tutta la meraviglia di cui era capace il titolare, che poi è lo stesso tipo di amore che un appassionato ha per i film, senza differenza tra “alti” e “bassi”, una forma di parafilia, non proprio come la passione per i golfini d’angora, ma quasi.
L’intento riuscitissimo di Burton era quello di nobilitare, o per lo meno rendere l’onore delle armi alla passione di uno che, considerato il peggior regista del mondo, era già stato spernacchiato fin troppo a lungo, il Freak perfetto per quello che non ha apparenti stranezze, ma poi ci parli, capisci che è un fanatico di cinema e quindi è il più strambo di tutti, un tipo di passione che non sente differenze tra cinema di serie A o di serie Z, infatti uno dei momenti più riusciti diretti da Burton qui, è finto come il cinema stesso, mi riferisco all’incontro tra Ed Wood, il peggior regista del mondo e Orson Welles, il miglior regista del mondo impersonato in maniera mimetica da Vincent D’Onofrio, diverso talento, diversi risultati portati sul grande schermo, stessi bastoni tra le ruote o trovate assurde da parte dei produttori, Charlton Heston nei panni di un messicano? Ma quando si è visto mai!
Una menzione speciale in questa biografia piena, in maniera diretta o indiretta, di altre biografie di tanti altri artisti, se la merita obbligatoriamente la prova del grande Martin Landau, premiato con l’Oscar per essersi calato così bene nel ruolo dell’anziano Bela Lugosi, tenero e tragico, disperato e magnetico, un attore che ha sempre sputo lavorare così bene sulla pronuncia e gli accenti – Nato a cresciuto a New York, ha imparato ascoltando la parlata mista dei Knickerbocker, storia vera – qui riesce scientificamente a sbagliare la pronuncia di tutte le parole ricreando alla perfezione la parlata e il marcatissimo accento ungherese di Lugosi, regalandoci una massima di vita che è puro amore per il cinema Horror e non solo: «Se hai intenzione di fare colpo su una ragazza la porti a vedere Dracula»
Se l’industria, la storia e molti fan non hanno fatto altro che ricoprire Ed Wood d’infamia e a scuotere la testa per la triste fine di un Divo come Lugosi («Karloff può annusare mia merda!»), Tim Burton con la sua opera ha saputo ridare almeno romanticismo a queste due figure leggendarie, forse consapevole che il talento è un dono, ma la passione e l’energia con la quale lo coltivi devi mettercela tu. Burton, nato stramboide certo, ma talentuoso, sul fondo della sua testa riccioluta forse lo sapeva che ad inizio carriera poteva fare la fine di Ed Wood e non voglio essere cattivo con un regista di cui sento la mancanza, forse ultimamente l’ha anche un po’ fatta. Ma è evidente che in questo gioco di specchi, la biografia di Ed Wood diventa l’occasione per raccontare della sua amicizia con Vincent Price, voluto fortemente dal regista in un ruolo chiave in “Edward mani di forbice” (1990… Perché non ho mai scritto di questo film? Male, rimediare!) proprio per fare a suo modo quello che Wood ha fatto con Lugosi, o per lo meno, la sua più romantica versione di Ed Wood.
Non credo nemmeno che sia un caso che subito dopo questo bellissimo film, il più personale e sentito della sua filmografia, Burton abbia fatto un B-Movie tutto suo, con Jack Nicholson e Marziani di lusso! Più che un omaggio al peggior regista del mondo, “Ed Wood” è una dichiarazione d’amore a quel modo entusiasta, quasi estatico di guardare alla gioia che solo i film possono darti. Ma che ne sanno i normali? Cinefili, i veri Freak.
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