Avevamo bisogno di un seguito di Breaking Bad? Pistola alla testa vi direi di no, però non ho perso l’occasione per tornare nel mondo creato da Vince Gilligan, che resta estremamente coerente con se stesso, la sua opera più famosa era pura al 99,1% e creava dipendenza, forse anche al suo creatore che ancora non è riuscito a smettere per davvero.
Better Call Saul è un’altra variazione sul tema, che esplora e in parte espande il mondo di personaggi ai margini di Walter White, ma “El Camino” oltre ad avere il potenziale per diventare il film preferito del mio muratore di fiducia (che sta in fissa con i camini, storia vera) è un bel rischio. Perché la serie dedicata all’avvocato non deve affrontare direttamente le conseguenze del finale della serie “madre”, mentre “El Camino” comincia pochi secondi dopo l’ultima puntata (5×16 – Felina), quindi si ritrova con una bella felina da pelare per le mani. No scusate, volevo dire gatta.
Il rischio era fare con questo film, quello che con Breaking Bad non è stato fatto mai, allungare il brodo regalando contentini ai fan della serie, per fortuna Vince Gilligan (che ancora non ho capito se è quello dell’isola) è più sveglio della media, e posso tranquillamente dire che i 122 minuti di “El Camino”, magari sono fin troppi per la storia stringata che ha da raccontare, ma questo episodio lungo di “Breaking Bad”, nasce da un’esigenza narrativa. Gilligan aveva ancora qualcosa da raccontare per chiudere – si spera questa volta per sempre – l’opera della sua vita, infatti quella storia non poteva che avere come protagonista Jesse Pinkman.
Dai tempi di “My name is Earl” amo vedere le El Camino in tv. |
Si perché il personaggio nato come alleggerimento comico, che avrebbe dovuto morire alla fine della prima stagione (storia vera), grazie alla prova magnifica di Aaron Paul è cresciuto, si è conquistato spazio nei cuori del pubblico, ammettiamolo, non ci sarebbe stato Walter White senza Jesse, quindi trovo anche giusto che questa “coda strumentale” di Breaking Bad sia dedicata tutta a lui. Nel dubbio da qui in poi SPOILER! Così non ho nessuno sulla coscienza.
Parliamo di un argomento caldo, le strizzate d’occhio, il famigerato “Fan service” se mi concedete l’orrido anglicismo. Fino a quanto diventa un problema? In “El Camino” non ne ho trovato, certo ci sono attori che tornano, anzi tornano quasi tutti, ma i vari “fantasmi del Natale passato”, come Mike (Jonathan Banks), Walter (Bryan Cranston) e Jane (Krysten Ritter) vengono tutti per insegnare, oppure ricordare al protagonista qualcosa di necessario, quindi hanno un ruolo all’interno della sua storia, non risultano mai forzature infilate per far puntare il dito verso lo schermo a noi spettatori, per farci fare “Ooohhhh” come in una canzone brutta di Povia.
Togliamoci il dente dai, parliamo di Walter White, una menzione speciale la merita perché Bryan “più grande attore del mondo” Cranston, si conferma prontissimo a tornare a vestire i panni del suo personaggio più celebre (no, non il papà di Malcolm), in un momento particolare della storia del suo personaggio. Non è il Walter White post “Ozymandias” (5×14), ma se volete saperlo in una riga di dialogo, quasi distrattamente, come a non voler destare attenzione, Vince Gilligan apre il coperchio della scatola del gatto di Schrödinger (anche se dovremmo chiamarlo gatto di Heisenberg, solo per questa occasione), facendo una rivelazione che potrebbe sempre essere smentita in qualunque momento, ma sembra confermare l’esigenza narrativa di Gilligan.
Questo è il momento chiave della rivelazione che (forse) stavate aspettando. |
Lo avevo scritto nel post dedicato a Breaking Bad, per certi versi quella serie così sfaccettata ha molte chiavi di lettura, una è quella del romanzo di formazione di Jesse Pinkman, un ragazzo che trova Jane proprio nel momento in cui perde i genitori e in Walter White, ha qualcosa di ben più complesso di un semplice rapporto padre/figlio. Se il professore di chimica diventa il famigerato Heisenberg, allo stesso modo anche Jesse compie un arco narrativo completo che finisce con quell’urlo liberatorio (in tutti i sensi) al volante della El Camino, nel finale della serie. Che poi è dove lo ritroviamo qui, solo beh, decisamente più pasciuto.
«Dici che si nota tanto? Anche se trattengo la pancia?» |
Ecco, perché l’unico vero problema di “El Camino” è questo, al netto dei flashback che occupano una grossa porzione della storia, questo film è ambientato circa venti secondi dopo la fine di “Felina”. Peccato che Aaron Paul abbia messo su venti chili e non sia proprio credibilissimo nella parte di quello che ha sofferto privazioni dettate dalla prigionia.
Peggio di lui solo Todd Alquist, che ricompare in momenti girati ex novo, ma ambientati proprio durante la prigionia di Jesse, problema: Se per Aronne i chili sono tanti, per Jesse Plemons sono almeno il doppio, inquadrarlo poco e a volte con angoli della macchina da presa strani non può fare i miracoli, quindi mettete in conto questo, il peso dei due personaggi in certi momenti ti tira proprio fuori dalla storia.
«Ti ricordi quando eravamo magri?», «Bei tempi, sembravo Matt Damon» |
Il che è un peccato perché Aaron Paul non era così bravo da, beh la fine di “Breaking Bad”, e il film in se non fa avvertire troppo gli anni passati dalla conclusione della serie. Grazie alla solita cura per il dettaglio e a facce note come quella di Skinny Pete (Charles Baker, che invece problemi di peso non ne ha avuti mai) e Badger (Matt L. Jones) la continuità è subito garantita.
La vera prova che questo film era davvero da fare, forse resta il grande Robert Forster, venuto purtroppo a mancare lo stesso giorno in cui Netflix ha messo a disposizione “El Camino” sul suo paginone (questa é vera scalogna). Abbiamo fatto giusto in tempo a vederlo recitare ancora una volta un ruolo che lo ha resto popolare, anche a tutti quelli che non conoscono la sua ricca e nutrita filmografia.
Ciao Robert, ci vediamo nei film! |
La storia di Jesse Pinkman si conclude in maniera coerente a come abbiamo visto crescere (e soffrire) questo ragazzo, uno che ha la faccia di chi ha corso una maratona, ma ha ancora la vita (e al DEA) alle calcagna, quando vorrebbe solo un po’ di pace. La sua ricerca disperata, di quello che Leone avrebbe definito un pugno di Dollari è ingloriosa, non sono più i tempi degli spavaldi «Yeah Bitch! Magnets!» (qui ironicamente citato), sulla sua strada verso la tanto agognata pace, Jesse troverà poliziotti truffatori e in mancanza dei suoi carcerieri, si ritroverà a vendicarsi – con il solito zampino del destino beffardi tipico della serie – contro coloro che hanno costruito la sua gabbia. Insomma niente di particolarmente eroico, ma a questo punto della sua storia come aspettarsi altro?
Non si va con un coltello a una sparatoria. Meglio portare due pistole. |
Il finale poi, tiene fede agli echi spesso western di “Breaking Bad”, con quello che è a tutti gli effetti un duello, una sparatoria dove il più veloce (o il più furbo) si tiene il bottino. Se per Joss Whedon, “Serenity” (2005) era stato l’unico modo per completare una storia rimasta incompleta (ancora soffro, per la cancellazione di “Firefly”, voi non avete idea), Vince Gilligan può permettersi di togliersi un ultimo sfizio, raccontando il finale del romanzo di formazione di Jesse, che proprio come ogni western che si rispetti, termina con una cavalcata verso l’orizzonte.
Devo essere onesto (ho un blog dove non faccio altro), non ritengo che “El Camino” sia inutile, forse per chi non ha mai visto “Breaking Bad”, che con questo film potrebbe condirci tranquillamente l’insalata. Forse tanti si aspettavano i fuochi d’artificio da questo film, ma personalmente no, perché il vero finale di “Breaking Bad” sarà sempre e soltanto “Ozymandias”, quello si davvero perfetto, nel suo prenderti a schiaffoni emotivi. “Felina” era la coda strumentale dedicata a Walter White, a Skyler e anche un po’ a noi spettatori, con in faccia i segni rossi delle “pizze” prese da Gilligan.
Era rimasto ancora un pezzettino da raccontare dedicato a Jesse, quindi capisco perché Vince abbia voluto farlo, mi auguro che ora che ha definitivamente fatto scendere questa grossa scimmia dalla spalla, possa lasciare andare “Breaking Bad” per sempre dedicandosi ad altro.