Interno giorno, un ambulatorio da qualche parte in Messico durante i primi anni ‘90. Le pareti giallognole che un tempo sono state bianche ospitano una serie di letti, tra gli ospiti l’unico “Gringos” della stanza si guarda attorno annoiato, in cerca di facce amiche o di un modo per passare il tempo.
«Come mi è venuto in mente di accettare, qui nessuno parla nemmeno la mia lingua», «Io parlo la tua lingua», l’affermazione arriva da un ragazzone di ventitré anni, quasi un metro e novanta, ben oltre con il cappello da Cowboy che porta in testa.
«Ah meno male, sei americano?», «Quasi, San Antonio. Mi chiamo Robert», «Piacere io sono Peter, penso che quella roba che ci hanno somministrato ci farà male?», «Pare che sia qualcosa per tenere sotto controllo il colesterolo, al massimo moriremo con degli esami perfetti», «Eh tu ci scherzi, ma per i soldi che ci danno io il rischio lo corro, se solo avessi saputo della noia qui dentro, avrei chiesto più soldi. Tu almeno ti sei portato da leggere, cosa sono tutti quei fogli?», «Una cosa che sto scrivendo, avrei voluto portarmi la chitarra ma non me lo hanno concesso, per la sceneggiatura invece non hanno fatto problemi», «Ah quindi stai scrivendo un film? Sei un regista?», «Non ancora». Robert alza lo sguardo dai suoi fogli, si sofferma a guardare Peter Marquardt e poi gli chiede: «Hai una faccia interessante, se uscivamo vivi di qui ti va di fare l’attore?»
Non so se i dialoghi siano stati proprio questi, ho lavorato un po’ di fantasia, ma nemmeno tanto visto che per inseguire il suo sogno di diventare un regista, l’allora ventitreenne Robert Rodriguez si candidò volontario come cavia umana per una pillola sperimentare per il colesterolo, impegnano il tempo a scrivere la sceneggiatura del suo primo film (storia vera). Non è dato conoscere i valori del suo colesterolo, ma sicuramente Rodriguez dalla sperimentazione uscì con le sue gambe, con settemila fogli verdi con sopra facce di ex presidenti defunti in tasca e con il ruolo del Boss Moco affidato a Peter Marquardt, che non aveva mai recitato, non parlava una parola di spagnolo, ma imparò comunque a memoria le righe di dialogo del suo personaggio, per ripeterle in stile pappagallo, senza sapere nemmeno quello che stava pronunciando (storia vera).
Una follia? Sottoporsi come cavia per un farmaco sperimentale probabile, ma ancora di più pensare di poter fare un film con settemila dollari, eppure è proprio così che Rodriguez esordì, come raccontato nel suo libro del 1996 “Rebel Without a Crew: Or How a 23-Year-Old Filmmaker With $7,000 Became a Hollywood Player”, un’esperienza che è stata ripetuta e in qualche modo esorcizzata nel 2019, quando Rodriguez fece un secondo film con lo stesso budget intitolato “Red 11”, ma questa è un’altra storia.
Bisogna essere precisi, “El Mariachi” è stato girato con settemila dollari, anche se bisogna aggiungerne circa duecento mila per la post produzione, ma questo non cambia di un millimetro la mistica dietro ad un film artigianale, girato con parti uguali di follia, talento e amore per il cinema, che prima di arrivare nei cinema nostrani nel 1993 è riuscito nell’impresa di mandare in brodo di giuggiole il Sundance prima e la Berlinale subito dopo, niente male per un film scritto e diretto da una cavia ed interamente recitato in spagnolo.
Come fai a fare un film con i soldi con cui di norma, qualunque altra produzione paga i vizi della sua superstar (se bastano)? Molto semplice, fai il John Carpenter della situazione. Non è un caso se Robert Rodriguez sia anche lui cresciuto nella venerazione del Maestro, infatti “El mariachi” è sceneggiato, prodotto, fotografato, montato e può contare sugli effetti speciali di Robert Rodriguez, una prova da “One man band” direbbero gli Yankee, da Mariachi direbbero i loro cugini a sud del confine. Strano che Rodriguez non abbia curato anche le musiche, non per questo primo capitolo della “Trilogia del Mariachi” per lo meno, ma forse era già fin troppo impegnato in tutti gli altri reparti.
Per girare il film in una manciata di giorni nella cittadina di Ciudad Acuña ovviamente in Messico, Rodriguez applicò “lo Zed e l’arte di arrangiarsi” al suo esordio come regista, per girare molte scene chiuse le strade, nessun permesso, solo un cartello che avvertiva tutti delle riprese in corso, incautamente scritto in inglese, che tanto nessuno riusciva ad interpretare (storia vera).
Le armi? Quasi tutte pistole ad acqua dipinte di nero, ad esclusione di un paio di pistole vere prestate dalla polizia locale, che evidentemente non aveva altro da fare se non assecondare un pazzo con cappello da Cowboy, tanto che l’unica arma di grosso calibro del film, il MAC-10 equipaggiato con silenziatore che fa bella mostra di sé anche nella locandina del film, arrivava dalla collezione privata di uno dei poliziotti di Ciudad Acuña, perché se sei abbastanza pazzo da offrirti volontario come cavia umanoide, poi metti in moto una ruota di gioiosa follia applicata all’amore per la settima arte, non ci sono altre spiegazioni razionali a tutto questo.
Rodriguez avrà avuto solo ventitré anni ma le idee chiarissime, anche nella scelta degli attori si rivela un direttore del casting di livello, aggiungete anche questo al suo curriculum. Tutte le facce che popolano il film sono state scelte tra baristi locali (pagati con un piccolo ruolo), da amici e conoscenti, di Peter Marquardt vi ho già raccontato tutto, quindi mi soffermo un momento sul titolare, Carlos Gallardo che era un vero Mariachi scelto da Rodriguez per il ruolo del protagonista, a ben guardarlo una sorta di Lucio Battisti messicano che però sapeva per davvero suonare e cantare, a Rodriguez questo bastava per tirare su la sua commedia degli equivoci, condita di pallottole e (spaghetti) Western.
L’unica a ricevere un trattamento da vera diva è stata Consuelo Gómez, che per il ruolo della bella di turno (titolo da dividere con la tartaruga, come sottolineato da uno dei dialoghi del film) ovvero la barista Domino, ha ricevuto la bellezza di duecentoventicinque dollari, roba da ricchi proprio! (storia vera).
“El mariachi” è debitore per stile e numero di inquadrature (circa duemila spalmate su un film di 81 minuti, quasi un record!) al cinema di Sergio Leone e per approccio sanguigno a quello di Sergio Corbucci, nell’ottica dei tre film della “Trilogia del Mariachi” di cui fa parte è istintivo trovare dei punti di contatto con la “Trilogia del dollaro”, ma a ben guardarlo questo film somiglia molto di più al primo Mad Max, perché racconta la storia di un ragazzo normale che diventa un (anti)eroe dell’azione in corso d’opera, perdendo l’uso di un arto (El Mariachi una mano, Max una gamba), l’amore e la pace interiore, per poi avviarsi verso l’orizzonte da cui era arrivato del tutto cambiato, ma niente auto rombante con motore V8 però per il nostro Mariachi, per lui al massimo un cane e una custodia di chitarra, perché Rodriguez ai tempi questo possedeva e nel suo film d’esordio ha davvero messo tutto se stesso (storia vera).
Questo film ha dei toni da commedia (quasi slapstick) che caratterizzano tutta la prima parte, quando il protagonista arriva in città in cerca di lavoro in un bar, viene rimbalzato perché il locale ha già una pianola che svolge la funzione di orchestrina improvvisata, ma basta guardare la velocità con cui il gestore del motel compone il numero di telefono per avvisare Moco dell’arrivo di un tipo vestito di nero con una custodia di chitarra in città, per capire che Rodriguez prima di dirigere un suo film, ne ha guardati tanti dando forma ad uno stile che qui era già chiarissimo, per quanto il film per ovvie ragioni risulti ancora piuttosto grezzo nella messa in scena.
Grezzo ma non per questo poco professionale, perché Rodriguez passa agilmente dalla commedia dell’equivoci all’azione più pura senza batter ciglio, mescolando i generi senza soluzione di continuità, ecco quindi che il protagonista viene scambiato per il sicario che nasconde le armi nella custodia di una chitarra, solo perché si trova suo malgrado nel posto sbagliato al momento sbagliato. Proprio per questo sarà costretto ad imparare a suonare un altro tipo di strumento, perché quando cominceranno a volare le pallottole, sarà l’unico modo per lui per restare vivo.
Questa scherzosa tragedia che inizia come una barzelletta (un mariachi entra in un bar…), ha entrambi i piedi ben piantati nel cinema di genere, un tentativo riuscito di fare propri i canoni del Western all’italiana, ambientato però nel 1992 oltre il confine messicano, con una lente caricaturale che invece di risultare fuori luogo rende la trama e i personaggi – che Rodriguez ha voluto chiamare tutti con soprannomi quasi infantili, come Moco e Azul, come se fossero bimbi che giocano a guardie e ladri – ancora più credibili e funzionali, ecco perché quando la tragedia colpisce, come spettatori siamo totalmente dalla parte del Mariachi, un pistolero senza nome che arriva ad Acuña capace solo di suonare la sua chitarra e se ne va come artista della sparatoria, un po’ Django un po’ Armonica, ma con molta più spuma ordinata al bancone e un accento decisamente più messicano.
Difetti? Se non siete attratti dal puro talento registico, quello in grado di tirare su un film completo, coerente e con un suo stile già chiarissimo con letteralmente un pugno di dollari, potreste storcere il naso davanti a questo film amatoriale che però ha lanciato ad Hollywood uno dei registi che ha contribuito a portare al grande pubblico il cinema di genere, quello che noi appassionati abbiamo scoperto e coltivato per anni in polverose videoteche. Per tutti gli altri invece, siamo davanti ad un piccolo rirolo di culto.
“El mariachi” con la sua follia di fondo ha aperto la strada ad una serie di autori che hanno pensato che senza per forza sottoporsi a sperimentazione umana, si poteva comunque dirigere il proprio film, Clerks e The Blair Witch Project non sarebbero mai esistiti se quel ragazzone con il cappello, la chitarra e Corbucci nel cuore non fosse stato tanto matto da lanciarsi nel vuoto, quindi sono ben felice di poter festeggiare questo compleanno in stile messicano qui sulla Bara Volante. Alla fine trent’anni sono una doppia Quinceañera ma prima di chiedere dei bis, sappiate che El Mariachi tornerà, per il resto della sua trilogia vi basterà aspettare le prossime settimane, fino a quel momento… Hasta luego!
Sepolto in precedenza mercoledì 2 marzo 2022
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