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Entity (1982): i film che mettono angoscia per davvero

Trovo incredibile il fatto che il cinema horror sia ancora guardato dall’alto al basso dai cinefili colti, quelli con la pipa e gli occhiali, quando a ben guardare è il genere che ha saputo fare prima e a volte anche meglio degli altri, cosette come costruire personaggi femminili sfaccettati e credibili, a volte più che in altri generi considerati meno d’intrattenimento, o magari roba per sociopatici alla ricerca di brividi facili.

Un esempio è sicuramente “The Entity” di Sidney J. Furie, uno che in carriera ha abbracciato il cinema di genere con risultati a volte non proprio spettacolari, eppure questo strano film dalla data di uscita imprecisata, girato nel 1981 ma uscito nelle sale americane solo l’anno successivo, meriterebbe l’attenzione non solo di noi maniaci dei film dell’orrore. Ci sono stati tanti horror – a ben guardare proprio storie di fantasmi – nobilitati dalla prova di un grande attore come protagonista, lo stesso possiamo dire di “The Entity” che può contare sull’enorme talento e l’intensa prova di Barbara Hershey, ma andiamo per gradi.

Rispetto al ben più famoso Poltergeist, anche “The Entity” porta le storie di fantasmi in un contesto familiare, ma lo fa con un approccio del tutto differente, questo film è basato sul romanzo investigativo omonimo scritto da Frank De Felitta nel 1978 e basato sulla storia vero di Doris Bither, una donna californiana che sosteneva che una o più entità invisibili, oltre ad infestare la sua casa, la aggredivano, la picchiavano ed alcune volte l’hanno violentata. Dopo uno scetticismo iniziale, il caso venne studiato approfonditamente da una équipe della Università della California di Los Angeles (UCLA), che oltre ai referti medici e ai lividi sul corpo della donna, registrarono cambi di temperatura, sporadici fenomeni di psicocinesi, tanto da riuscire a fotografare (in una polaroid diventata popolare anche sul web) un misterioso arco di luce fluttuante, sopra il letto accanto a Doris Bither. Mi sembra il caso di aggiungerlo, storia vera.

Storia vera? Lo lascio decidere a voi.

Lo so cosa state pensando, il cinema horror vive e prospera da sempre su una bella scritta “Tratto da una storia vera” piazzata prima dei titoli di testa, una trovata che piace tanto a chi il film poi deve venderlo, ma “The Entity” ha più grazia, non si limita a portare in scena la storia del fantasma porcellone, ma tratta l’argomento, il genere e soprattutto Doris Bither con enorme rispetto. Infatti quando Hollywood ha messo gli occhi su questa storia, Frank De Felitta ha trasformato il suo romanzo d’inchiesta in una sceneggiatura ispirata agli eventi, in cui il nome della protagonista è diventato quello della immaginaria Carla Moran, una trovata che mette subito in panchina scettici o veri credenti. Se i terribili fatti accaduti a Doris Bither fossero veri o meno importa poco se non proprio nulla, sicuramente non a questo film che al massimo utilizza lo spunto per raccontarti una storia immaginaria, angosciante ma immaginaria.

Caricarsi un intero film sulle spalle: la fenomenale Barbara Hershey.

“The Entity” dura 125 minuti ma sembra durare la metà per quanto è denso e tirato, la mia Wing-woman mi ha perculato, pensava che avessi aspettato lei per rivederlo, ben consapevole della mia nota sofferenza davanti alle scene di stupro nei film, ci può stare, anche perché il film di Sidney J. Furie non prende prigionieri e da questo punto di vista è un’agonia sottolineata dalle musiche di Charles Bernstein, che condiscono ogni aggressione con quell’angosciante TUM TUM TUM TUM che suona come un’inarrestabile campana a morto. Ma “The Entity” è anche un fulgido esempio dei primi cinque minuti di un film, quelli che come vi ripeto sempre, determinano tutto l’andamento.

“The Entity” ci presenta Carla Moran (la straordinaria e bellissima Barbara Hershey), madre di famiglia estremamente pragmatica, impegnata in un corso di dattilografia che è lo spunto da cui (ri)partire per migliorare la sua vita e quella dei suoi figli. Non serve nemmeno che la storia perda tempo a ribadire l’ovvio, basta questo inizio a farci capire che Carla ne ha viste tante nella vita e che è ancora qui a tirare avanti, forte di un carattere già bello che formato, quello che le permetterà di sopravvivere al l’orrore che sta per piombarle addosso.

Negli horror si deve avere paura quando non c’è la musica, ma non in questo, qui è il contrario.

Già prima che i terribili eventi del film avvengano, ma che prima delle musiche terrificanti di Bernstein o delle affermazioni di Scorsese, che ha definito questo film un parco a tema uno dei più spaventosi di tutti i tempi (storia vera), resta il fatto che “The Entity” è una storia di resistenza umana, dell’affrontare il dolore e l’orrore, rappresentato in modo metaforico da un elemento fantastico nella storia, ma del tutto realistico e credibile, almeno per l’arco narrativo della protagonista.

Quando il primo attacco avviene è una staffilata al cuore, perché in pochissimi minuti abbiamo già fatto la conoscenza di Carla e un po’ ci siamo affezionati a lei, quello che le accade sarebbe drammatico per chiunque, figuriamoci dopo che il film è stato così abile a portarci nella vita della protagonista.

Una cosa che non manca a questo film sono le scene dolenti.

Sidney J. Furie utilizza moltissimi campi lunghi, lasciando spazio a Barbara Hershey che ha spazio per esprimersi e la sua prova è incredibile, straziante e dolente. Guardando il film è impossibile non pensare che per interi minuti sul set, Barbara Hershey abbia dovuto, sola in scena, recitare un’aggressione, sarebbe bastata una prova più esagerata, oppure uno scivolone oltre il limite dell’involontariamente comico per dare un calcio al secchio del latte, rendendo poco credibile tutta l’operazione, ma la Hershey invece è perfetta, come spettatori si finisce per restare inchiodati al personaggio, soffrendo con lei per i suoi immotivati e disumani attacchi, ma soprattutto sperando nella sua rivincita.

Quell’eterna faccia da simpaticone di Ron Silver.

A ben guardare la trama segue un canovaccio piuttosto canonico, per prima cosa Carla deve affrontare lo scetticismo generale, ben rappresentato dallo psicologo Phil Sneiderman (Ron Silver che già faceva penare Jamie Lee Curtis), che non fa altro che andare a tirare fuori traumi del passato, suggerendo addirittura che Carla stia sublimando desideri incestuosi, insomma, tanti bei (pre)giudizi passivo/aggressivo e anche nemmeno troppo velatamente sessisti, il tutto mentre le aggress… TUM TUM TUM TUM! Ok, non so se sono riuscito a rendere l’idea, ma guardando il film, per riflesso Pavloniano, viene voglia di aggrapparsi ai braccioli della sedia ogni volta che la musica cambia e Carla è nuovamente sola contro il suo invisibile aggressore, che è più di uno stalker, in un concetto che il cinema, guarda caso sempre horror, ha ripreso anche in epoca recente.

Mi viene l’angoscia anche solo a mettere le immagini, brrrr!

Ci sono passaggi di “The Entity” che non esito a definire crudeli per la loro violenza, io sarò anche ultra sensibile alle scene di stupro al cinema, ma vedere la povera Carla sofferente, aggredita sotto gli occhi dei figli altrettanto impotenti è qualcosa che fa davvero male da guardare, ve l’ho detto, quello stramaledetto TUM TUM TUM TUM lo odierete una volta arrivati (con angoscia) ai titoli di coda.

Forse la parte che mostra più il fianco, ricordandoti tutti i quarant’anni del film, sono gli effetti speciali, che oggi potrebbero risultare un po’ datati specialmente ad un pubblico più giovane, ma è innegabile che la ricostruzione completa del corpo di Barbara Hershey, per chi come me è appassionato di effetti speciali vecchia maniera, resta una piccola opera d’arte. Anche perché la parte più debole del film resta l’inevitabile passo successivo, dopo che la scienza medica fallisce, Carla si rivolge al paranormale, i due parapsicologi che intervengono come novelli Ghostbusters sono gli zii (seri e ben più riusciti) di quelli che popolano i film di James Wan, e pur togliendo un po’ di ritmo alla pellicola, permettono ancora una volta a Barbara Hershey di brillare, vederla invocare e urlare contro l’entità per la prima volta in difficoltà è una piccola rivincita, è impossibile non fare il tifo per lei anche quando per pura disperazione ringrazia Dio (ironicamente un’altra entità invisibile), perché per la prima volta dopo mesi ha la possibilità concreta di vedere la fine del suo incubo.

«Se non altro non assomigliate a Bill Murray e Dan Aykroyd»

Eppure “The Entity” è un film molto più intelligente di quello che potrebbe sembrare, avrà pure quarant’anni, ma conferma che in questi otto lustri il cinema è diventato meno maturo e con i bordi sempre più arrotondati. Se un film così uscisse per disgrazia oggi, sarebbe una favoletta edificante con finale lieto, per fortuna De Felitta e Furie hanno combinato per una conclusione ben più adulta. Da qui in poi SPOILER sul finale del film!

Lo scontro finale tra Carla e il suo invisibile persecutore non ha una risoluzione cinematografica netta, manca il definitivo «Ehi tu porco, levale le mani di dosso!» che manda tutti a casa felici e contenti. La frase prima dei titoli di coda ci conferma che proprio come accaduto a Doris Bither, gli attacchi sono diventati sempre meno frequenti, ma Carla impara a vivere sul dolore sofferto, senza poterlo davvero dimenticare ma senza mai arrendersi ad esso, senza mai chinare la testa o perdere davvero quella risolutezza che la caratterizzava come donna e come personaggio anche prima che l’orrore entrasse a far parte della sua vita.

Per fortuna è tutto finit…

Il male diventa una condizione endemica alla quale possiamo decidere di arrenderci facendoci determinare solo da esso, oppure continuare a resistere, andando avanti e in tal senso, la scena finale è estremamente significativa, sembra la versione “realistica” (virgolette d’obbligo) del classico colpo di scena dei film horror, quello in cui il mostro ritorna per colpire prima dei titoli di coda, lo fa anche qui ma Carla decide semplicemente di ignorarlo, voltandogli le spalle per continuare la sua vita insieme ai figli. Perché ci sono eventi talmente drammatici che dimenticarli o ignorarli è del tutto impossibile, ma raramente il cinema (e non solo di genere) ha saputo parlare di violenza e dolore nelle vite delle persone, così bene come ha saputo fare “The Entity”, che è molto di più di un semplice film su uno “spiritello porcello”.

Le storie di fantasmi di norma parlano di un dolore nel passato che bisogna cercare di superare, “The Entity” porta il discorso ad un altro livello e a quasi quarant’anni dalla sua uscita è ancora un esempio di quanto l’horror meriterebbe ben più considerazione presso i cinefili colti con la pipa e gli occhiali.

Non perdetevi il post di Non quel Marlowe con uno sguardo sui libri inquadrati nel film e IPMP con una delle rarissime locandine d’annata uscite sui giornali.

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