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F1 – Il film (2025): gli americani non la capiscono, la F1

Allacciate le cinture, Quinto Moro vi porta a fare i crash test per il chiacchierato film sulla Formula 1. Lo so, vi state chiedendo «Cosa ci fa questo film sulla Bara Volante?» beh, siamo o non siamo specializzati negli horror?

Gli americani amano le corse, gli piacciono un sacco, ma non si sono mai filati troppo la F1 e con reciproco snobismo, al di qua dell’Atlantico non ci siamo mai filati le loro categorie motoristiche. Poi nel 2016 gli americani se la sono comprata, la F1. E quand’è arrivata Netflix con la docu-serie “Drive to survive” – che da appassionato di F1 non tocco neanche con un bastone – un artefatto dietro le quinte che ha reso il tutto vendibile al pubblico generalista. Era solo questione di tempo (e di soldi, e di marketing) prima che ci scappasse il film ufficiale.

Non servirebbe aggiungere altro, ma ho rabbia da sbollire e miglia da percorrere.

In breve: questa roba l’ho detestata, ma farò un futile tentativo di giustificare l’acredine conseguente alle due ore e mezza patite in sala. Perché giuro, ho sperimentato un’insofferenza rara, sia da appassionato di cinema che di F1.

Ero sinceramente curioso e avevo delle aspettative, perché i nomi coinvolti sembravano giusti. Kosinski alla regia poteva essere una buona scelta, Brad Pitt è un discreto appassionato di motori e ormai è un produttore consumato, qui pure affiancato da Jerry Bruckheimer. Hans Zimmer alle musiche, un buon cast di contorno con Javier Bardem e Kerry Condon (entrambi sprecatissimi). Ma partiamo da Bruckheimer: gran rispetto per chi a ottant’anni ha ancora voglia di fare le cose in grande, ma le sue produzioni stanno già da tempo sul lato scuro della luna. Lui che era fan della Nascar dice che questo film l’ha trasformato in fan della F1, forse perché con la F1 non c’entra una mazza.

«Vedi Jerry, la F1 è uguale alla Nascar: le vetture hanno quattro ruote»

Il divismo di Pitt qua è stato un problema, oltre al fatto che a Kosinski lavorare con Tom Cruise non ha fatto benissimo, se ha provato a rifare la stessa cosa di Top Gun – Maverick, ma peggio. Suo complice nella stesura di questa trama da incubo Ehren Kruger, sceneggiatore dei Transformers. Altro che gare, questo ha guardato troppe puntate di “Cucine da incubo”, quel programma dove uno chef famoso arriva e tutti sbagliano, spiega come lavorare, rifà il menù e aiuta a salvare la barca che invece di affondare torna col vento in poppa. Tutto bello. Tutto finto.

Ecco, il Sonny Hayes (si pronuncia come “ace”, asso, capite l’antifona) interpretato da Chef Pitt è il classico vecchio leone, il duro che sa sempre cosa fare, che col suo carisma conquisterà tutti. Arriva in un team disastrato, indebitato fino al collo, che non ha mai vinto una gara e sta ultimo in classifica. Hayes rassicura i meccanici, spiega agli ingegneri come cambiare la macchina, al compagno di squadra come guidare e subito si parla di vincere una gara. E dar fuoco al regolamento della F1.

“Lo chiamavano Bulldozer” era molto più onesto. Qui sono tutti satelliti di Hayes/Pitt, funzionali alla sua grandezza. Come pilota – al netto dell’età geriatrica – poteva risultare credibile per arroganza e testardaggine, per il resto no. Perché l’eroe di questa produzione Apple Studios, in pista è solo una mela marcia.

«Questa cosa si chiama volante» – «Sicuro, quello che fa volare le macchine negli incidenti»

Domanda retorica: vi sembra normale che in un film sportivo “l’eroe” basi la sua strategia sulla condotta antisportiva, sul barare, forzare e infrangere il regolamento in ogni modo possibile, senza nessun rispetto per gli avversari? La F1 sarà pure un guazzabuglio di regolamenti astrusi che spesso rovinano il divertimento a chi la segue (e a chi ci corre), ma cosa c’è di bello, di edificante, in una storia che esalta l’imbroglio e l’atteggiamento da bulli? Il film piacerà un sacco ai M.A.G.A.

Le manovre scorrette sono ancor più ridicole nella pretesa d’essere inflitte ai veri piloti di F1 (senza scomodare Verstappen, di gente a centro gruppo che avrebbe regolato Hayes non ce n’è neanche poca).

A questo punto dove sta il talento? Il senso di sfida, il merito nel risultato? Dovremmo tifare per il vecchio scorretto e per il giovane talento che non fa o dice mai una cosa che lo renda simpatico?

Ti prego Max, voltati e prendili a pugni

A Damson Idris tocca l’ingrata parte del talento acerbo Joshua Pearce, che pensa ai social, alla stampa e agli sponsor. Dovrà imparare come si guida e come si sta al mondo dal vecchio americano figo, che insegna a tutti come si fa e se ne va cavalcando verso il tramonto. Tipo Shane? No, tipo shame. Di questo paternalismo non se ne può più. Per riproporre le solite dinamiche trite e ritrite ci vorrebbe un po’ di testa e tanto cuore. E fa pure tristezza vedere Idris chiuso in quella macchietta senza dare un po’ d’anima al personaggio. Un guscio vuoto.

«Josh, inutile e triste come la birra senz’alcool» (Cit.)

Arriviamo a quella che doveva essere la ragione stessa del film: il realismo in pista e le scene di guida. Sull’aspetto puramente visivo niente da dire. Scene ben fotografate e sin troppo pulite. Hanno girato tutto su piste vere, durante veri weekend di gara per avere il pubblico, le comparsate dei personaggi della F1. Hanno girato con vere auto da corsa (F2 modificate) coinvolgendo i piloti, con finestre di girato strettissime ma ben riuscite: immagini verosimili, sprecate in contesti di gara da denuncia.

Mi sono sforzato in tutti i modi di guardarlo da ignorante, perché un film è e deve restare finzione, ma deve avere una sua credibilità e coerenza. Le scene di guida potranno appassionare chi è digiuno di F1, meno chi in tv vede robe ben più spettacolari, oltre che autentiche. Le trovate degne del grande schermo ci sono, poche e apprezzabili, e forse la voglia di fare tutto nei weekend di gara è stato un limite in termini di creatività e costruzione di inquadrature e scene. Dovendo girare con finestre di tempo molto ridotte, si è finiti per ottenere un effetto eccessivamente televisivo, con le parti più cinematografiche concentrate nel finale.

Una macchina

Ci hanno fatto vedere le auto di una scuderia finta girare con quelle vere. Bravi, meglio della CGI, apprezzo l’ambizione, perciò fa rabbia il potenziale sprecato. Anche perché la tensione viene da espedienti forzatissimi, esaltando errori e incidenti che alla lunga diventano ridicoli.

Non sono riuscito ad affezionarmi a questi piloti finti, mentre i piloti veri sono soltanto nomi, comparsate che amplificano la differenza tra vero e falso, facendo passare la produzione per ciò che è: un branco di turisti in un mondo che le è estraneo. Quindi a cos’è servito il contesto reale? Potevano aggiungere la rivalità con un altro team per creare un minimo di pathos, o farci sentire più nettamente la crisi economica della squadra, inventarsi una vera sfida.

Una macchina rotta. Ha avuto quel che meritava.

Il montaggio è una delle cose migliori. Le scene di pista sono ben infiocchettate ma alla fine stancano: troppe, ripetitive, e alla lunga noiose (e di gare noiose ne ho viste a strafottere). E non spenderei con troppa leggerezza l’aggettivo “adrenalinico” al netto di qualche buona sequenza.

Riguardo all’epica non ne ho trovata, dopo metà film ero così scazzato da aspettare solo che il supplizio finisse. Sono riusciti a sprecare pure Hans Zimmer, che nelle prime scene mi aveva fatto sperare in un scene epiche, peccato che per quasi tutto il tempo ci bombardano con musichette hip hop molto convenzionali. Zimmer sparisce e torna nel finale quando l’elettroencefalogramma è piatto e il cuore non batte più. Magari a qualcuno il “gran finale” solleverà dal torpore, con me non ha funzionato.

Continuo con le macchine perché le didascalie per ‘sto film sono un’impresa, si trovano solo facce di Pitt.

Riguardo a costumi, aspetto delle auto, scenografie e ambientazione niente da dire. Hanno copiato così bene da sfoderare livree e divise di squadra più noiose e anonime di quelle reali. Hanno fotografato e riproposto in modo sterile il grande vuoto del circo mediatico, scintillante e inutile che gira intorno alla F1. Hanno copiato tutto il nulla che il denaro può comprare. Hanno preso la F1 per una baracconata americana assimilabile a qualunque altro sport (che poi è ciò a cui il circus sta aspirando).

Le tensioni tra compagni di squadra, sale di questo sport, sono proposte con troppi voltafaccia e incoerenza negli atteggiamenti dei due. Non c’è la nascita di un vero rapporto di rispetto o di amicizia. È tutto artefatto. L’incidente di metà film è eccessivo, un modo artificiale di creare drammaticità dal nulla. Poi spunta un villain ridicolo, l’investitore che da simpaticone diventa il cattivo da sfanculare. Sbadigli.

Rieccolo, vi era mancato? Questa fa molto spot di profumi.

Ed ora un paio di chicche, imbarazzi e spoiler in ordine sparso: il giovane Hayes è ispirato a Martin Donnelly, stessa auto, stesso periodo e dinamica dell’incidente col pilota sbalzato fuori e le gambe ritorte, costretto al ritiro l’anno d’esordio. Ma perché non superare i limiti del buon gusto e non riproporre le dinamiche degli incidenti mortali a Monza, con una F1 moderna che diventa un cerino (oggi surreale, per fortuna) e il pilota con le manine scottate che salta tre gare (Niki Lauda si sta rivoltando nella tomba). In tutto questo Hayes si ferma per soccorrere il compagno lasciando la vettura a bordo pista. Genio!

Bello il finale coi nostri eroi che dovrebbero essere gli unici ad avere le gomme rosse, ma in pista vediamo chiaramente che le hanno pure tutti gli altri. Daltonismo in cabina di montaggio.

Momenti divertenti: la APX lenta nei rettilinei per poco non vince a Monza, gente che pensa di battere Versappen sotto la pioggia, o il pilota che perdendo all’ultimo giro esulta per il compagno di squadra, si sbraccia e urla tutto contento.

«E se mio nonno aveva tre palle era un flipper»

Sorvolo sulla telecronaca artefatta dei commentatori Sky, che gira tutta intorno alle vetture delle ultime posizioni. Se non altro hanno abbassato il volume a Vanzini. Grazie. P.S.: non ho parlato dei personaggi femminili perché mi sono lamentato abbastanza. Non volevo sparare sulla croce rossa.

Dai Box con le cuffie in testa, il parere non richiesto di Cassidy

Un budget da PIL di un piccolo stato africano, come al solito quasi tutto speso in pubblicità, con tanto di primo Trailer aptico della storia, per farti scaricare tutta la batteria del tuo iTelefono (storia vera). I film sono fatti soprattutto per fare soldi, non fate le vergini, ma qui siamo all’applicazione della formuletta più becera, anche di più di quanto Giorni di tuono replicò Top Gun su gomma, le differenze? Due, ed anche sostanziali, ma una costante, il ruolo veramente infame femminile portato a casa da un’attrice di livello, una volta era Nicoletta Ragazzino, ora Kerry Condon.

Brad Pitt non ha i trascorsi da uomo dei motori, quindi vederlo atteggiarsi a Steve McQueen, anche no grazie, manca proprio Tom Cruise, che con la sua convinzione e il suo rifiuto ad invecchiare, ti mette in chiaro che questo film, doveva essere suo. L’altra mancanza? Ci sta provando da anni, ma Joseph Kosinski era riuscito ad avvicinarsi a Tony, lo Scott giusto, solo utilizzando la formula di “Top Gun”, qui è tornato il regista/esteta, tutto resa visiva e zero coinvolgimento emotivo al netto di trama ultra derivativa, quello di “Oblivion” (2013), film che nemmeno Cruise ai tempi riuscì a salvare. La più grossa delusione? Kosinski aveva la possibilità di fare quello che Tony aveva fatto con Frankenheimer e far fare un salto di qualità ai film di corse, invece ha applicato il realismo, la copia delle immagini televisive dei match di Rocky Balboa, ma in maniera fredda, manca il fattore umano di zio Sly, risultato? Uno spot pubblicitario lungo, costoso e tedioso, a molti piacerà perché Brad Pitt è figo no? Inoltre l’80% di quelli che si professano appassionati di Formula 1, si addormentano sul divano dopo la partenza, a me è sembrato di guardare un freddo compitino tutti raccontato dal punto di vista di Russ Wheeler.

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