Ci metto la faccia, anzi, magari prendo anche in prestito quella di Nick Cage se necessario, perché erano anni che mordevo il freno, ho rinunciato tante volte a scrivere di questo film perché mi ero ripromesso di farlo solo una volta iniziata la rubrica su John Woo, finalmente ci siamo, benvenuti al nuovo capitolo della rubrica… Who’s better, Woo’s best!
Prima con Senza tregua e poi a seguire con Nome in codice: Broken Arrow, John Woo negli Stati Uniti si è guadagnato quel minimo di libertà creativa e fiducia da parte dei produttori, da rientrare nella rosa dei nomi papabili per la regia del copione che da un po’ girava ad Hollywood, più o meno dal 1990 quando è stata scritto da Mike Werb e Micheal Colleary, prendendo ispirazione a classici del noir di Raoul Walsh come “La furia umana” (1949) e ancora di più al bellissimo (e inquietantissimo) “Operazione diabolica” (1966) diretto dal padre nobile del cinema d’azione moderno, ovvero John Frankenheimer.
A dirla tutta “Face/Off – Due facce di un assassino” (complimenti per il sottotitolo italiano inutile e nemmeno particolarmente a fuoco) sembra un soggetto fatto dal sarto per Woo, anche perché parliamoci chiaro, da Hong Kong con furore, il suo stile, le sue tematiche e la sua poetica avevano influenzato anche l’occidente, quindi affidarlo proprio a lui era un modo per chiudere idealmente un cerchio. Non è un caso se “Face/Off” sia il film più riuscito diretto negli Stati Uniti da Woo, la perfetta sintesi del suo stile, applicato al gusto e al pubblico americano, insomma HollyWOOdiano. Avevo lasciato uno spazio libero per questo titolo tra le fila del club dei migliori di questa Bara, quelli che da questa parte chiamiamo… Classidy!
Il budget del film viene fissato attorno agli ottanta milioni di fogli verdi con sopra facce di ex presidenti defunti, un numero che permette di sognare in alto, infatti per i due ruoli disponibili di buono e cattivo intercambiabili, viene snocciolato l’elenco del telefono del meglio del meglio disponibile ad Hollywood nel 1997, ve lo risparmio, ma dalla lista pesco comunque i più ghiotti, come lo stesso Michael Douglas in quanto produttore, perché non proporre anche a lui? Ma la storia (vera) migliore resta il grosso interessamento da parte della Paramount Pictures di coinvolgere in tutti i modi Johnny Depp, che dopo aver realizzato che “Face Off” non era un film sull’Hockey, ha passato la mano, posso dirlo? Meglio per noi, perché nel frattempo è partita l’auto candidatura di Nicolas Cage, che non era fatto interessato ad interpretare un cattivo, ma con il ruolo di Castor Troy poteva prendere due piccioni (o due colombe trattandosi di un film di Woo) con una fava, questo invece lo dico senza chiedere nemmeno il permesso: miglior scelta di casting della storia!
Già perché fresco di Oscar per “Via da Las Vegas” (1995), il nostro ha annusato l’aria e ha capito che il vento, sul finire degli anni ’90, poteva permettergli di decollare iscrivendosi nella categoria degli eroi d’azione. L’ultima volta che il drago ha mosso la coda, visto che gli anni ’90 sono stati pieni di cinema action, tanto che anche uno come Cage, alto, segaligno e stempiato, poteva permettersi di passare per credibile eroe dell’azione, risultato? La sacra trilogia di film che lo hanno consacrato a mio personale mito, quella che io chiamo “Trilogia d’azione Cage”, un triangolo di spari ed esplosioni che ha come primo vertice ha The Rock, come secondo Con Air e si conclude in maniera trionfale – anche su questa Bara finalmente – con il monumentale “Face/Off”.
John Woo al suo meglio, Nicolas Cage al suo meglio manca solo il terzo vertice di questo triangolo d’oro, lo porta proprio il regista direttamente dal suo film precedente, infatti Travolta, travolto (ah-ah) da un ritorno di fiamma di popolarità nella sua carriera, anche grazie ai film di Woo, arriva dritto da Broken Arrow ed è nuovamente alle prese con una sfida adrenalinica, che inizia sui titoli di testa e finisce solo su quelli di coda, permettendosi di potersi muovere tra i due mondi. Se in Broken Arrow era lui il cattivo gigioneggiante, qui si cala nei panni dell’agente dell’FBI Sean Archer, un tipo tutto d’un pezzo, affetto da serietà congenita (inevitabile visti i suoi trascorsi) ma con la possibilità di esibirsi nuovamente come cattivo, insomma quella che gli americani chiamano Win-Win situation, visto che con i divi di Hollywood di mezzo (e i loro agenti), vendere un ruolo da cattivo ad un attore molto popolare, non è sempre un impresa semplice, ma “Face/Off” ha anche questo asso, tra i numerosi che nasconde nella sua manica.
Il bello di “Face/Off” è beh… Tutto! Ad esempio a me fa impazzire il suo essere un perfetto film d’azione, un poliziesco con tutta la poetica, i temi, le sparatorie e le colombe care a John Woo, ma possa permettersi di giocarsi trovate fantascientifiche grosse, enormi, talmente grandi da fare il giro e venire perfettamente accettate dal pubblico occidentale, che parliamoci chiaramente, i tocchi di fantasia non li ama troppo, specialmente quando non sono razionalizzati e ben illustrati. “Face/Off” da questo punto di vista se ne frega, è del tutto normale che i protagonisti si sparino (e qui lo fanno molto!) utilizzando armi del tutto contemporanee, ma allo stesso tempo i protagonisti si muovano in un mondo dove esiste una tecnologia sperimentale in grado di scambiare la faccia (e le sembianze) alle persone con la facilità con cui oggi i divi si fanno il Botox e allo stesso tempo, esita un carcere di massima sicurezza, su una piattaforma in mezzo all’oceano, dove i carcerati sono incollati al pavimenti da stivali magnetici che sembrano usciti da una notte di sesso selvaggio tra Super Mario Bros. e 2013 la fortezza, il tutto senza che nessuno abbia mai storto il naso o lamentato l’assenza di che so, un fucile laser al posto di una delle tante Beretta utilizzate nel film. Perché? La capacità orientale di essere molto più elastici mentalmente quando si tratta di categorizzare un film all’interno di un genere, si mescola saggiamente al talento di Woo di alzare il volume della radio (come quasi sempre nei suoi film americani) portando in scena un grande spettacolo in cui uno come Nicolas Cage gavazza e prospera e uno come John Travolta, fa di tutto per tenere il passo, divertendosi.
Però un risultato così lo ottieni solo se riesci a dare al pubblico personaggi con motivazioni forti, e qui la lunga esperienza di Woo torna utile, la sua capacità di gestire trame melodrammatico affinata ad Hong Kong è perfetta per “Face/Off” che infatti inizia con un prologo magistrale, i famosi cinque minuti iniziali di un film.
Quelli dove si respira aria di The Killer, e a ben guardare, “Face/Off” potrebbe essere riassunto così, John Woo che rifà “The Killer” con la sensibilità americana, visto che molti momenti chiave del film sembrano quasi un auto-rifacimento in salsa Yankee da parte del regista. Castor Troy (Nicolas Cage) con il fucile da cecchino e i baffi finti, fa il verso all’assassino di Chow Yun-fat, Sean Archer (John Travolta) con suo figlio e la giostra dei cavalli, alza subito la posta in gioco e il livello di melò della trama, quando Troy spara per uccidere il suo nemico, a terra resta il figlio di Archer, in un inizio muto, cullato solo dalle note della notevole colonna sonora di John Powell. “Show, don’t tell” al suo meglio, serve altro per raccontarci della sfida eterna tra questi due? Del loro giocare al ladro il terrorista e il poliziotto, che di colpo diventa una faccenda personale.
La scritta “Sei anni dopo” non fa calare il ritmo, anzi è proprio Woo che impedisce al film di alzare il piede dall’acceleratore, i primi quindici o venti minuti di “Face/Off” sono già la scena madre finale che ogni film d’azione sogna, ma per Woo sono l’inizio, il riscaldamento, quello che serve a riportare in scena i suoi personaggi. Archer fermamente intenzionato ad arrestare Troy e fermare il suo piano dinamitardo («Non andate in centro. Ci sarà un aumento dello smog intorno al diciotto del mese») è un mastino con la bava alla bocca, Castor Troy invece? La mia versione preferita del Joker ad ovest di un attore che ha saputo calarsi nei panni di un agente del caos, senza bisogno di pittarsi la faccia da pagliaccio, al massimo di farsela staccare chirurgicamente.
Nicolas Cage entra in scena vestito da prete, scapoccia come ad un concerto Metal davanti al coro, intona l’Alleluia e dice la sua sul talento (a suo avviso modesto) di Haendel, poi piazza entrambe le mani sul culo della corista più carina e ci regala il primo di tanti fotogrammi diventati patrimonio dei meme su Internet. E questa è solo la sua entrata in scena!
Dopodiché si spara la camminata da figo con cappotto svolazzante (ispirata a Lawrence d’Arabia per confessione di Woo, storia vera), mentre i suoi sgherri gli porgono una valigetta con occhiali da sole tamarri, caramelline gommose e una coppia di Beretta placcate oro moooolto raffinate. Praticamente un satiro, vestito come un tamarro, roba da far sembrare il Tony Manero del suo socio un ragioniere vestito per andare in ufficio il lunedì mattina. Un tipaccio che si limona duro l’agente dell’FBI infiltrata, si esibisce nel suo «Una patata, mi dà gusto mangiare la patata» (nella versione doppiata è una frase ancora più di culto) tanto che non è chiaro dove finisca per davvero Nicolas Cage e dove invece sia già cominciato Castor Troy.
A questo punto di sicuro, entra in azione John Woo con la prima monumentale scena d’azione, un Hummer contro un aereo in fase di decollo sulla pista, un elicottero usato per far abbassare i flap dell’aereo, un ritmo che lèvati, ma lèvati proprio per una scena che contiene al suo interno un inseguimento monumentale, che sfocia in una sparatoria in un magazzino e termina con un duello a breve distanza tra i due protagonisti, un trionfo di “Beretta Akimbo”, salti, capriole e stalli alla Messicana che si conclude con un uso alternativo di un motore di aereo. Il film è iniziato da meno di venti minuti ma ha già l’epica dell’atto finale di una faida che continua da anni, tutto questo, sotto i nostri occhi. Vi giuro che ho visto inizi di film peggiori di questo in vita mia!
Per assurdo “Face/Off” quando rallenta il ritmo e non dà lezioni di cinema d’azione, non rallenta mai davvero, tutta la parte famigliare a casa Archer funziona e coinvolge per quanto estremamente melò, la figlia adolescente in rivolta, la moglie Eve (Joan Allen) che come Penelope attende il ritorno del marito dalla sua crociata, tutta roba che sembra uscita dai polizieschi di Hong Kong e teletrasportata ad Hollywood. La capacità di Woo di tenere alto il ritmo coincide con la bomba da ritrovare, quindi provando tutte le alternative (compreso interrogare la bella Gina Gershon) a Sean Archer resta solo un’opzione, la più folle, ed è qui che “Face/Off” si gioca alla grande la carta dell’elemento fantascientifico.
Il poliziotto infiltrato è un tema classico nel cinema orientale, lo ha trattato anche John Woo diverse volte, l’operazione per cambiare faccia è debitrice in parti uguali di questo topoi narrativo ma anche del già citato film di Frankenheimer. Archer accetta solo perché spalle al muro, questo il film lo chiarisce benissimo, infatti trovo divertentissimo il fatto che un agente dell’FBI possa “godere” di una liposuzione gratuita, ma sia fermamente intenzionato a tornare, bruciare la faccia della sua nemesi e riprendersi sia la cicatrice sul cuore che i chili di troppo, metafora del benessere famigliare raggiunto. Qui bisogna dirlo, è qui che con “Face/Off” assistiamo tutti alla prova del Maestro, il superiore magistero tecnico di Nicolas Cage in gran spolvero.
Fateci caso, è sempre Cage quello che si carica sulle spalle i due momenti chiave, ovvero il risveglio dopo l’operazione sia di Archer, che del redivido Castor Troy uscito di colpo dal coma. Giacchino Fenice è diventato il preferito del pianeta vincendo un Oscar truccato da pagliaccio, per una scena in cui ride e piange allo stesso tempo (il resto del tempo, balla), Cage non ha vinto nessuno premio malgrado qui gli venga chiesto il doppio, se non il triplo dello sforzo, e non possiamo dire che non siano stati sfornati un paio di meme intorno alla sua prova, barometro per la popolarità.
Cage ci mostra il drammatico risveglio di Archer nei panni di Troy e mi fa piacere farvi notare un dettaglio, oltre al ritorno della mitologica frase sulla patata, usata per “tarare” la voce, non so se avete mai fatto caso ad un dettaglio: quando lo strumento misura il livello della voce dell’agente, sullo schermo spunta un generico 83 punto qualcosa, quando lo stesso strumento misura la voce di Castor Troy, sul display compare il numero 66,6. Insomma Troy è talmente malvagio che anche il livello della sua voce è diabolico, ma cosa vi potete aspettare da uno che è stato tirato su da dei genitori che hanno chiamato i figli Castore e Polluce, ci sarebbe materiale per una storia di origini notevole, altro che Joker!
Per aggiungere mito a mito, posso dirlo che lo “sbendamento” di Castor Troy è il miglior rifacimento della scena di Jack Nicholson che si toglie le bende in Batman mai visto? Cage se la ride, fuma, applaude («Bravo, bravo il dottore del cazzo!») e Woo è brillante nell’utilizzare il riflesso della sua “faccia” sugli occhiali, tanto quanto è stato geniale affidare a Troy tra le fila dei suoi sgherri, quello con la cicatrice sul volto, Tommy Flanagan che ricorderete tra i motocilisti di SAMCRO, anche lui ci resta si sasso, un po’ davanti alla non-faccia del suo capo un po’ davanti alla prova monumentale di Cage, che per altro continua per il resto del film.
Si perché la tematica Wooviana dell’amico che tocca il fondo e che deve rialzarsi, la troviamo anche qui dopo la visita del finto Archer al finto Troy in carcere. Nicola gabbia è micidiale nel recitare un personaggio che ha davvero pochissimo tempo per calarsi nella pelle del suo nemico, succede durante la rissa quando piange ma si esalta, quando urla il suo nome, che poi è quello della sua nemesi, come a voler convincere tutti, lui stesso per primo, cosa gli vogliamo dire? Scena da sbattere in faccia a quei poveri di spirito che sostengono ancora che Cage sia inespressivo, vi staccherei la faccia mannaggia a voi! Mentre John Travolta è più libero sì, ma comunque anche lui è costretto a recitare facendo il verso a Cage, infatti in alcuni momenti lo vediamo indicare mentre può concedersi anche un accenno di balletto, per un po’ ho creduto fosse una clausola obbligatoria all’interno di ogni contratto firmato da Travolta.
Ci sarebbe così tanto da raccontare di questo film, i personaggi hanno motivazioni melodrammatica ma rocciose, John Woo ha il perfetto controllo di spazi e tempi e anche le sparatorie “minori” (non che lo siano davvero) altrove potrebbero essere scene madri. Quando il finto Troy si cala tra le fila della criminalità, trova comunque legami, rispetto e fedeltà (ben rappresentati dai personaggi di Gina Gershon e Nick Cassavetes), mentre il finto Archer sfrutta la sua posizione per diventare intoccabile, insozzando ogni rapporto.
Di fatto è il vecchio tema dei valori e della cavalleria tanto caro a Woo, adattato alla sensibilità del pubblico americano, infatti l’enorme sparatoria in casa a Los Angeles, con il bambino (che in quanto figlio di Castore, si chiama Adamo, non fa una piega) che ascolta “Somewhere over the rainbow” in cuffia per essere protetto dal rumore degli spari è pura poesia, si porta nella pancia molto del «Dammi il bambino!» di Hard Boiled solo che qui troviamo anche la scena dello specchio, un tema ricorrente nel film. Quando i due protagonisti si parlano attraverso il muro, poi si voltano puntandosi le automatiche addosso, quello che vedono è il loro riflesso o meglio, quello della propria nemesi, il tutto prima di esibirsi nella mossa degli eroi del regista, la scivolata all’indietro sulla schiena sparando, pura poesia in movimento. No sul serio, se non vi piace il cinema di John Woo e “Face/Off” io non vi conosco e non vi voglio nemmeno conoscere!
Questo film ha tutto, grandi prove di recitazione, coinvolgimento, ritmo, inseguimenti girati alla grande, esplosioni e sparatorie girate come si fa in paradiso e il finale, quel finale! Doppio perché ancora una volta Woo pesca idealmente da The Killer e ci regala prima un’altra sparatoria in chiesa, tra colombe in volo e lo sguardo di pietà del crocefisso e delle statue della Madonna (la formazione Cattolica del regista al suo massimo espressivo) per una scena in cui non basta uno stallo alla Messicana, bisogna come minimo averne uno che coinvolga cinque persone in contemporanea, siamo in America no? Bisogna alzare il volume della radio.
Non fai in tempo a riprenderti da questa scena madre in chiesa che subito Woo impedisce al film di calare di ritmo, regalandoci un leggendario inseguimento sui motoscafi anche questo, debitore di The Killer (ma verrà ripreso in parte anche più avanti nel corso della filmografia del regista, prossimamente su queste Bare) che sfocia in una rissa sulla spiaggia in cui i duellanti ormai sono ben oltre i loro ruoli, si sono mescolati, si sono cambiati pelle, faccia e nome, l’unica costante è il loro odio, il loro essere due archetipi narrativi, il male e il bene che John Woo fa scontrare alla sua maniera e con il suo stile. Vi ho già detto che se non vi piace tutto questo non vi voglio nemmeno conoscere no? Ok bene, ma giusto ribadirlo.
Per assurdo “Face/Off” è la storia di un lutto da superare, tanto che per l’ultima scena assente dalla proiezione di prova, si è speso bei soldi per far tornare sul set Travolta per girarla (storia vera). Però tutto questo usando il meglio del cinema d’azione e gli attori più istrionici possibili a disposizione, un vero classico contemporaneo, anzi istantaneo dal momento in cui ha dato fuoco ai cinema americani. L’apice della trasferta yankee di Woo, il terzo ed ultimo capitolo della “Trilogia d’azione di Cage”, finalmente disponibile dove era destinato a stare, su questa Bara.
A questo punto devo solo ricordarvi la Novelizzation del film una vera chicca e l’appuntamento con il prossimo capitolo di questa rubrica, con John Woo non abbiamo ancora finito, proprio per niente!
Sepolto in precedenza venerdì 21 luglio 2023
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