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Fantasmi da Marte (2001): John Carpenter da Marte

I film di Carpenter che al momento della loro uscita nella sale sono stati accolti positivamente da critica e pubblico sono talmente pochi che potreste contarli sulle dita di una mano, avanzando pollice e mignolo, tra flop e brutte recensioni, non si è salvato quasi nessuno, ma “Fantasmi da Marte”, da questo punto di vista, gioca in un’altra categoria… Benvenuti ad una nuova puntata della rubrica di John Carpenter’s The Maestro!

Parliamo subito dell’elefante che ha piazzato il suo culone nel centro del soggiorno e non ha intenzione di schiodare, inutile che io stia qui a dirvi che “Fantasmi da Marte” è un capolavoro imprescindibile o uno dei migliori film del Maestro, eppure a questo film gli voglio bene, puntualmente me lo vado a riguardare, per anni, è stato l’unico film di Carpenter che per motivi puramente anagrafici, sono riuscito a vedere al cinema alla sua uscita, qualcuno era in sala quando uscì La Cosa, io “Fantasmi da Marte”… Se volete siete liberi di aggiungere: “Che culo!”.

Avevo 17 o 18 anni, ero già Carpenteriano fino al midollo e già dalla prima visione in sala mi era chiaro che no, questo film non è un capolavoro, ma gli ho voluto subito bene, anche per i suoi riff Metallari che partono a cazzo durante tutto il film, per me “Ghosts of Mars” rappresenta il film da intrattenimento definitivo, una gran caciara metallara che alla fine risulta divertente, che poi, erano anche le intenzioni originali di Carpenter.

Nei primi anni 2000, le balle del Maestro vorticavano a velocità supersonica, stufo marcio delle regole di Hollywood e degli insuccessi al botteghino, Carpenter era ad un passo dal mandare tutti al diavolo e ritirarsi dalle scene, per uno come lui, che prima di ogni velleità autoriale e artistica, nei film che ha diretto ha sempre cercato di divertire e divertirsi (nei contenuti speciali del DVD di questo film il Maestro dice proprio: “Ho sempre fatto i film che avrei voluto vedere al cinema”), proprio quella gioia inizia a mancare. “Fantasmi da Marte” parte anche da qui: il ribelle Carpenter che scalcia e dice: “Ok, vaffanculo! E allora io faccio un film dove mi diverto e basta!”.

Ecco, questo già somiglia alla mia idea di film divertente e culturale.

“Fantasmi da Marte” scritto insieme al compare Larry Sulkis, suona come un Greatest Hits del vostro gruppo preferito, avete presente come funzionano i Greatest Hits, no? Si mettono insieme, a volte anche un po’ alla rinfusa, tutti i pezzi più celebri, con lo scopo di far esaltare tantissimo l’ascoltatore ad ogni nuova traccia, a differenza di un disco da studio, le raccolte non cercano tanto l’equilibrio tra le singole canzoni. Non so voi, ma secondo me i Greatest Hits non sono quasi mai il modo migliore per far la conoscenza di un gruppo o un cantante, ma sono perfetti per esaltarsi immotivatamente passando da un pezzaccio all’altro. Ed ora fatemi uscire da questa pericolosissima metafora musicale in cui sono andato ad incastrarmi!

Bisogna anche dire che “Fantasmi da Marte” è il frutto di vari rimaneggiamenti rispetto alle idee originali del Maestro, il piano A per Carpenter era quello di sfornare il terzo capitolo della avventure di Jena Plissken, il titolo era già pronto “Escape from Mars”, ma il flop al botteghino di Fuga da Los Angeles, ha tarpato le ali a tutti soprattutto i produttori.

«Porta le chiappe su Marte… Porta le chiappe su Marte…» (Cit.)

Il film viene riscritto e modificato, Snake Plissken diventa Desolazione Williams e quello che doveva essere la conclusione della trilogia sul più celebre anti-eroe Carpenteriano, diventa un altro film di assedio con forze demoniache pronte a ritornare, quasi un remake di Distretto13 che una sera al bar fa la conoscenza de Il Signore del male.

Ancora una volta, Carpenter prende come riferimento Un Dollaro d’onore (e il suo quasi gemello “El Dorado”) e in un film solo ficca dentro tutte le cose che gli piacciono: anti-eroi refrattari alle regole che parlano poco, l’assedio, guardie e ladri che per esigenza si trovano a combattere spalla a spalla contro un nemico comune, insomma è Assault on Precinct 13 (1976) ambientato su Marte, infatti la storia è ambientata nel 2176.

Nella vita spassatevela come il Maestro mentre organizza un assedio sul pianeta rosso.

Marte è un pianeta terraformato per l’80%, il Tenente di polizia Melanie Ballard (Natasha Henstridge) e la sua piccola squadra hanno il compito di raggiungere la cittadina mineraria di Shining canyon, per prendere in consegna uno dei criminali più pericolosi della galassia, Desolation Williams (Ice Cube). Arrivati a destinazione non trovano quasi nessuno… Ancora vivo!

Tra cadaveri decapitati i poliziotti scoprono che i minatori hanno risvegliato un’antica forza, gli spettri di un’antica civiltà Marziana sono tornati, per impossessarsi del corpo dei vivi, trasformando tutti in Indiani sanguinari vestiti come Marilyn Manson con un unico scopo nella vita: trucidare gli invasori terrestri.

«Questi terrestri che vengono qui e ci rubano il lavoro!»

Non si può parlare di questo film senza fare riferimento al casting, che riesce allo stesso tempo ad essere giusto, ma anche completamente sbagliato. Carpenter per il ruolo della Ballard voleva Courtney Love, la leader delle Hole vedova di Kurt Cobain aveva già accettato la parte, ma ha dovuto rinunciare quando il suo fidanzato, facendo manovra con la Volvo, le è passato sopra un piede (storia vera!).

La scelta per la sostituta ricade sull’attrice e modella canadese Natasha Henstridge, celebre per aver vestito i (pochi) panni della letale predatrice aliena della saga di Species. Malgrado il fatto che in alcuni momenti la Henstridge chiude le palpebre sparando con le armi a salve (eh vabbè!) risulta parecchio azzeccata per la parte, tutto sommato nel cambio forse ci abbiamo pure guadagnato.

Natasha, se vedi Courtney Love spara, farai felice Dave Grohl.

Giovanni Carpentiere ha visto uscire una rockstar dalla finestra, ma in compenso si è visto entrare una stella del Rap dalla porta, sì, perché la sua scelta principale per il ruolo di Desolazione Williams era Jason Statham, ma l’Inglese che arrivava da due ottimi film di Guy Ritchie (“Lock & Stock” e “Snatch”), non era considerato molto appetibile per il pubblico americano dai produttori, che volevano un nome grosso da mettere in cartellone, quindi l’inglese è stato spostato nel ruolo secondario del Sergente Jericho Butler e dentro la canotta di Desolation Williams ci è finito Ice Cube… Time out Cassidy!

Facce che ben riassumono il casting del film.

Ci rendiamo conto che Carpenter è stato il primo a capire che Jason Statham era due righe adatto ai ruoli d’azione? Il tempo avrebbe dato ragione al Maestro, a mio avviso, Giasone avrebbe dato tutto un altro spessore a Desolazione Williams, purtroppo non lo sapremo mai, fine del Time out!

A ben pensarci, la scelta di Ice Cube per la parte non è nemmeno così campata in aria, affidare a quello che con gli N.W.A. ha contribuito ad inventare il genera Gangsta Rap (ovvero uno dei generi musicali più incazzati di sempre) è qualcosa che sulla carta potrebbe funzionare, i trascorsi criminali e la “Street cred” (come dicono i giovani) del cubettone di ghiaccio potevano compensare il non detto di un personaggio come Williams, peccato che Ice Cube come attore, abbia sempre dato il meglio con le commedie che con i film d’azione (anche se la sua prova in “xXx 2” non era malissimo), di sicuro con quella facciotta paffuta non ha proprio il fisico da eroe d’azione, in alcuni momenti funziona, ma in soldoni sa tanto di occasione persa. Poteva essere un nipote rapper di Napoleone Wilson, in realtà sembra solo un personaggio dal nome fichissimo, interpretato da uno fuori posto, troppo Heavy Metal questo film per uno come Cube.

Cosa diceva quel pezzo degli N.W.A. che parlava della polizia?

Per parlarvi di quello che, secondo me, è il vero punto di forza del film, vi devo raccontare di quella volta in cui ad una cena di squadra, uno dei ragazzi che giocava con me a Basket mi ha presentato la sua ragazza, anche lei “uno di noi”, ovvero appassionata di cinema. Non so se il mio compare si aspettasse una specie di duello western a chi snocciola più nomi, mi ricordo solo che l’esordio è stato parecchio in salita. Per spiegarmi il tipo di film che guardava di solito, mi ha fatto l’esempio opposto, buttando lì il titolo di un film che aveva visto che proprio non si poteva guardare secondo lei: “Fantasmi da Marte”.

…Intanto, nel cervello di Cassidy: «Trovate quella donna, date fuoco al pianeta se necessario»

La mia risposta: “Carpenter è il mio regista preferito”. Cala il gelo, a quel punto, la cosa ha rischiato di diventare western sul serio e se avessimo avuto delle Colt 45 probabilmente non ci sarebbero state alternative. Per la nuda cronaca vi dico solo che non è finita nel sangue, non mi sono messo a rivoltare tavoli da poker sparando sulla folla, ho semplicemente detto quello che nessuno dice mai su “Ghosts of Mars”, un film a cui certo non manca la personalità, molto meglio questo (con tutti i suoi difetti) che un compitino spento come Villaggio dei Dannati, ma non mi piace fare i paragoni con il peggio, la vera forza di “Fantasmi da Marte” è il quantitativo di idee presenti al suo interno. Carpenter è sempre stato una fucina di buona idee e anche questa volta non è stato da meno.

Marte ci viene volutamente mostrato come terraformato, attraversabile dagli umani usando gli occhiali/respiratori ad ossigeno, ma di fatto è un’ambientazione desertica da frontiera (spaziale) del West, infatti il film è stato girato tutto di notte, in una cava di gesso del New Mexico, tinta di rosso utilizzando coloranti naturali, per ricreare il suolo Marziano.

«Allora com’è Marte?» , «Mah un mortorio, ci si spara giusto un po’ il sabato sera»

La società del 2176 è un matriarcato, qui finalmente Carpenter prende i personaggi femminili forti che hanno fatto bella mostra di loro in tutta la sua filmografia e le porta finalmente al potere, di conseguenza, ridimensiona (con il giusto quantitativo di satira) il ruolo dell’uomo, messo in secondo piano rispetto alla donna in un capovolgimento che è veramente tipico di un ribelle come Carpenter.

Alcuni uomini, come il personaggio di Jason Statham sono “Stalloni”, ovvero dei veri e propri “Fuchi Fichi” (Cit.), per questo Jericho è caratterizzato come uno che ha una sola cosa in testa, in pratica… Come qualunque uomo terreste di sana e robusta costituzione! Nei dialoghi (spesso non memorabili) del film, il mio momento preferito è quando Ballard ridimensiona la spacconate di Jericho, facendogli il gesto con pollice e indice dicendo: “Sì… E questi sono venti centimetri”.

Natasha ci spiega il sistema metrico decimale.

Ogni volta che sento qualcuno spararla più grossa del necessario mi viene in mente Natasha Henstridge, inoltre, dicono che la perdita dei capelli sia legata all’alto quantitativo di testosterone, quindi la scelta di Jason Statham è azzeccata. Come dite? Venti centimetri… Ok, va bene torno al film!

«Non ho pochi capelli, sono pettinato come Bruce Willis»

Un’altra idea che ho sempre apprezzato di “Ghosts from Mars” è il fatto che i protagonisti si ritrovino al centro di una vicenda (già iniziata) e molto più grande di loro, i dettagli che riescono a capire, arrivano quasi tutti per bocca della dottoressa interpretata da Joanna Cassidy (no, non siamo parenti putroppo), così facendo il mondo immaginario che fa da scenario alla storia, viene percepito come grande e molto definito, malgrado il budget non sia certo da capogiro.

Questo film ha nelle sue budella materiale da cui potrebbero essere tratti tre o quattro altri film, cosa che succede spesso per i fil di Giovanni, qualche esempio? “Crank” di Mark Neveldine e Brian Taylor (2006) parla di un personaggio in lotta contro il tempo che non può fermarsi, un po’ come successe a Jena Plissken, sempre per restare dalle parti di Snake “Lockout” (2012) prodotto da Luc Besson, parla di un anti eroe che deve salvare la figlia del Presidente, è talmente uguale che Carpenter ha vinto una causa legale per plagio (storia vera!)

«Non ho pochi capelli, sono pettinato come Bruce Willis»

Ad esempio, quando Uno, Dos e Tres (Ok l’impegno per inventare i nomi è rimasto a casa…) ci vengono mostrati nel flashback come tre minatori, salvo poi con un colpo di scena, sorprendere tutti (anche Ballard e soci) rivelandosi come membri della Posse di Desolazione Williams.

Certo tutto quell’utilizzo massiccio di flashback può risultare spiazzante, non è una tecnica che Carpenter ha mai utilizzato spesso nei suoi film, qui in alcuni passaggi quasi ne abusa, ma proprio grazie a tutti questi cambi di punti di vista, il Maestro sottolinea la struttura quasi da videogames della storia. D’altra parte Carpenter sono anni che loda prodotti come “Dead Space” e questo film è la cosa più vicina ad uno sparatutto in soggettiva mai diretto da Carpenter!

«…Giù giù giù triangolo triangolo cerchio L R»

Devo mettere sul piatto anche i personaggi di contorno della storia, tutti un po’ schematici. Pam Grier di nuovo al lavoro con Carpenter, esce dal film molto presto (purtroppo), mentre le altre reclute vengono caratterizzate soltanto come i nuovi arrivati, quindi tutti i casini che fanno (non pochi) sono giustificati in questo modo.

Molti criticano sempre il look dei Marziani invasati, a mio avviso funziona, sono Indiani con i loro rituali, si adornano per scendere in guerra e, siccome sono fuori di testa a sanguinari, non fanno altro che tagliarsi come tanti EMO, infilarsi oggetti metallici sottopelle e usare arti mozzati come decorazioni, in alcuni momenti corrono sul filo sottile del trash, ma di certo non si può dire che non abbiano un aspetto minaccioso!

«Non sono Alice Cooper! Quello è un altro film!»

Inoltre, la colonna sonora di Carpenter, smaccatamente metallara, contribuisce a far sembrare gli assedianti dei tizi usciti da un concerto di qualche band novergese, piuttosto che i silenti assassini di Distretto 13, ma come detto: caciare deve essere e che caciara sia!

Una delle cose più divertenti dei contenuti speciali del DVD del film, è proprio la parte dedicata alla colonna sonora, se il Carpenter regista di “Fantasmi da Marte” ha sperimentato (pure un po’ troppo) con una struttura a Flashback, quello compositore ha dato libero sfogo alla Rockstar dentro di lui, collaborando attivamente con alcuni membri degli Anthrax, con il chitarrista Steve Vai e quello dei Guns N’ Roses (formazione attuale, non quella storica) Buckethead. Ditemi cosa volete, ma vedere Giovanni in sala d’incisione che incita gli Anthrax a fare molto più casino con quel riff di chitarra non solo è uno spasso, ma rende perfettamente l’idea di come si dovrebbe guardare “Fantasmi da Marte”: con l’audio a volumi criminali e con la voglia di divertirsi di uno spettacolo da Drive-in!

«Ok qui voglio un bel riff metallaro fatto come si deve ok ragazzi?»

“Ghosts of Mars” è uno strambissimo Western spaziale molto caciarone, sicuramente non è il film più raffinato mai diretto dal Maestro, non voleva esserlo negli intenti, ma è un tipo di film che se beccassi iniziato in tv a tarda notte, senza sapere nulla del suo regista, alla fine mi godrei senza troppi problemi. All’interno della filmografia di Carpenter, è possibile ritrovare un po’ del rapporto tra Napoleone Wilson e Bishop, ma anche di Jack Crow e Montoya in quel finale spalla a spalla (“La marea si sta alzando, è il momento di restare vivi!”).

Di “Fantasmi da Marte” non si possono negare né gli evidenti limiti, né gli altrettanto evidenti meriti. Per quanto mi riguarda è l’ultimo vero Carpenter della filmografia del Maestro, lo è perché ne riassume temi, fissazioni e passioni in maniera puramente celebrativa, una festaccia a base di Heavy Metal e voglia di divertirsi. L’ultimo Carpenter anche perché prima di poter tornare in sala a vedere un nuovo film del Maestro, siamo dovuti passare attraverso un embargo di nove anni di ritiro vero, un tempo anche più lungo del necessario per criticare questo film.

Tipo il finale di “Distretto 13”, ma con il triplo della caciara.

D’altra parte Carpenter poteva semplicemente sparire dando ragione all’industria che lo voleva ai margini in silenzio, oppure, con un ultimo dito medio alzato e uno sbuffo di sigaretta in faccia. Non so voi, ma preferisco la seconda opzione: quando la marea si alza, meglio farsi trovare pronti, in piedi, pronti ad andarsene facendo fuoco e con un riff Metallaro degli Anthrax nelle orecchie, per il silenzio di fucili, sintetizzatori e chitarre c’è sempre tempo, ora… E’ il momento di restare vivi! “Tide’s up. Time to stay alive.”

Prima di partire per il pianeta rosso, fate un salto sulla pagine del Faccialibro de Il Seme Della Follia – Fan Page italiana dedicata a John Carpenter che ospita questa mia rubrica, ma ricordatevi di non fare incazzare i Marziani!

Sepolto in precedenza venerdì 8 luglio 2016

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