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Fargo – Stagione 4 e 5 (2020-2024): storie vere, rigorosamente false

Quanto tempo è passato dalla terza stagione di Fargo? Parecchio, 2017, una pandemia globale fa e proprio in piena pandemia avevo iniziato a vedere la quarta stagione, abbandonata a metà non tanto per mancanza di interesse, quando perché, già perché? Boh chi lo sa, ho sempre gradito la serie. Poco male, ho rimediato!

Fargo – Stagione 4 (2020)

L’ambientazione questa volta è la Kansas city dell’anno 1950, la voce narrante ci aggiorna su una faida tra due famiglie criminali, gli italiani da una parte e gli afroamericani dall’altra, che continua da molto e ha effetti sui traffici illeciti locali. Per placare le parti, la tradizione vuole che il più giovane figlio maschio del nemico venga “adottato” dall’altra famiglia, molto orientale come soluzione va detto, ma funziona, almeno fino fino alla morte di uno dei due grandi capi, che genere un rimescolamento di carte.

Non facevi tanto il furbo con Will Smith alla notte degli Oscar eh?

C’è un po’ di tutto in “Fargo 4”, dalla trama criminale di stampo classico, allo scontro tra visioni e abitudini, clichè sugli italiani da affrontare da una parte, clichè sui neri in America dall’altra, nel mezzo la solita infilata di personaggi bizzarri, come il poliziotto con la sindrome ossessivo-compulsiva interpretato da Jack Huston (a cui vorrò sempre bene per il suo cecchino di “Boardwalk Empire”), ma perché no, anche un’infermiera con un concetto di carità tutto suo, un “angelo della morte” che intreccerà un rapporto con il rampollo in rampa di lancio dei Fadda, Josto, interpretato da un Jason Schwartzman che si diverte molto ad andare sopra le righe, rendendo l’idea di quello che vorrebbe stare nelle scarpe del padre, ma non ha gli stessi trascorsi e lo stesso carisma.

«Sto senza pensieri?», «Sta senza pensieri»

“Fargo 4” è caratterizzata da una serie di scelte di casting particolari, non voglio dire che Chris Rock mi abbia convinto, è strano vederlo a sua volta nei panni dell’aspirante nuovo capo della famiglia Cannon, ma il suo Loy funziona e l’ago della bilancia, è la quota – davvero – italiana della serie, quel Gaetano Fadda, interpretato da Salvatore Esposito che continua la sua tradizione di personaggi criminali, dopo quello che gli ha regalato la fama, Genny Savastano di Gomorra.

Esposito qui regala un personaggio folle, in tutti i sensi, un cane sciolto da cui nessuno sa davvero cosa aspettarsi, problema: ho provato a vedere un paio di episodi doppiati, l’attore replica la sua parlata ringhiata a toni alti che però nella lingua che non è la sua nativa, per assurdo risulta migliore, almeno fa percepire l’autenticità di un personaggio che parla inglese, ma non lo è. Inoltre, il confronto diretto con i doppiatori professionisti crea un divario difficilmente colmabile all’orecchio. Insomma, guardatela in originale anche se lo ammetto, la presenza di Genny è forse l’unica ragione che mi ha convinto (a fatica e con tempi infiniti) a decidermi di concludere la serie.

Fargo – Stagione 5 (2024)

Si torna in Minnesota, patria dei fratelli Coen da cui tutto è nato con il film originale, per una nuova trama ambienta ai giorni nostri che sembra la risposta Coen, o meglio Noah Hawley, curatore e responsabile della serie, al celebre A history of violence di Cronenberg, con uno scricciolo come Juno Temple al posto di Viggo.

Dorothy “Dot” Lyon è una mamma esemplare di una ragazzina che chiunque vorrebbe come figlia (preferisce i ninja alle bambole, quindi ha vinto lei), sposata con un omino che è un pezzo di pane. Per una riunione genitori finita male (il che non è improbabile a tutte le latitudini) finisce per rifilare un colpo di taser ad un agente e di lì a breve, schedata, facendo accendere come un albero di Natale le spie di qualcuno sulle sue tracce.

Credo di avere una Juno dipendenza, quaranta chili di donna che ti frusta (con la frusta da cucina)

Il primo tentativo di catturarla si traduce in un episodio di apertura (5×01 – The Tragedy of the Commons) tesissimo, il poliziotto accorso a salvarla (interpretato da Lamorne Morris) finisce ad essere quello bisognoso di aiuto in un assedio ad un benzinaio, il cui l’uomo con il fucile è un sociopatico vero, con gonna (o Kilt scozzese, fate voi) un brutto taglio di capelli e una mira infallibile, una sorta di Anton Chigurh locale, che scopre di avere a che fare con colei che lui chiama la “Tigre”, e sì, ormai sono pazzo di Juno Temple non lo avrei mai detto, dopo “The offer” un’altra serie dove spacca, malgrado la vocina e il fisico minuto, riesce a mandare in scena un altro personaggio dalla fibra d’acciaio e dal passato misterioso.

La bionda “Tigre” è divisa tra un presente in cui l’unica a sospettare di lei, prima della grossa sparatoria era solo la suocera, e se “Dot” è una tigre, allora non so che animale possa essere esattamente Lorraine Lyon, un drago probabilmente, perché queste sono le prove che vorrei sempre vedere da parte di Jennifer Jason Leigh.

Doppia J continua a ruggire, roar!

Chi invece la conosce bene e vorrebbe rimettere la tigre in gabbia è il politico con piglio da sceriffo (o viceversa) Roy Tillman interpretato da John Hamm, che si diverte a coprire il ruolo dello stronzo, inutile girarci attorno, il tipo di maschio dai vecchi valori nessuno proprio sanissimo mettiamola così, tanto che anche il figliolo Gator Tillman (Joe Keery, direttamente da Strane Cose) riesce a stare al passo all’idea di mascolinità di un padre abituato a comandare e a prendere tutto quello che desidera, anche con la forza se necessario, tanto che persino il figlio forse, non è abbastanza cattivo per essere davvero considerato da contanta nemesi di turno.

Difetti? Verso metà la serie ci ricorda la sua durata, dieci episodi, forse un po’ troppo e almeno uno, un po’ troppo dispersivo nel suo focalizzarsi così tanto sull’eccentrico assassino con la gonna, ora che ci penso, in odore di METAFORONE. Ma questo ci porta al prossimo punto, donne forti da una parte, contro un maschio, come si usa dire oggi “tossico” dall’altra, che ovviamente non può che essere un politico, bianco, marito violento che si salva dalla zona stereotipo solo perché Giovanni Prosciutto si impegna davvero tantissimo a farcelo odiare.

Anche il cappello a tesa larga gli sta bene, ‘tacci sua!

Anche se va detto che il livello di violenza è altino, e malgrado alcuni passaggi didascalici nella divisione manichea dei cattivi (chi simpatizza per il personaggio di Hamm in odore di “The Donald”) e chi per la “Tigre” (donne, democratici e in generale, persone con la testa sulle spalle), la quinta stagione di “Fargo” inizia forte, continua meglio e mette alla berlina i tick della società americana (quindi di tutto il mondo occidentale) anche piuttosto bene, si spera solo di non dover aspettare un’altra infinità di anni per vedere la nuova annata, in odore di Coen, ma firmata da Noah Hawley, perché queste storie vere (rigorosamente false), raccontate così, risultano anche fin troppo realistiche nel descrivere la nostra società.

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