Netflix ha trovato un altro titolo diventato in pochissimo tempo uno di quei marchi noti al pubblico, che nel catalogo della celebre piattaforma di streaming spicca, anche perché nel giro di un attimo siamo già al quarto film della saga.
Questa volta tutto viene messo nelle mani del regista Matt Palmer, che per non sbagliare si porta dietro il suo fidato sceneggiatore, ovvero il podcaster e ovviamente scrittore Donald McLeary, i due insieme avevano già combinato per il precedente film del regista, il solido “Calibre” (2018) che per altro, trovate proprio su Netflix, quindi nel caso sapete cosa fare, anche solo per dare un minimo di giustizia a McLeary, che qui si ritrova con una bella patata bollente per le mani.
Il suo compito è quello di adattare per il grande piccolo schermo “The Prom Queen” di R. L. Stine, papà di “Piccoli brividi” qui nel suo filone di storie rivolte ad un pubblico più grandicello, purtroppo non ho letto il racconto originale, quindi non posso fare paragoni, ma il risultato su schermo è veramente banalotto, proprio a livello di trama.
Cosa sollevava la trilogia di Fear Street di mezza spanna sopra il resto della produzione Netflix ma anche dalla media degli Slasher ipercitazionisti finto-anni ’80? Essenzialmente l’estetica al neon (quindi puri finti anni ’80) e l’intreccio spalmato su più anni e su più film, il risultato era divertente da seguire, venendo a togliere tutto questo cosa rimane? L’ennesimo Horror adolescenziale finto-anni ’80 con davvero poco altro da dire.
Va detto che per lo meno Matt Palmer si gioca gli omicidi violenti il giusto, alcuni conditi da una buona dose di umorismo (nero), arti mozzati e teste che saltano tutte ad opera di un killer (così non lascio indizi sul suo smascheramento finale alla Scooby-Doo) vestito in cerata rossa, che potrebbe tranquillamente essere uscito da un prodotto firmato da Ryan Murphy, solo con molta meno voglia di stupire e se vogliamo anche provocare.
Palmer decisamente uno di noi, lui le prova davvero tutte anche infilare una locandina di Zombi 2 di Lucio Fulcio nel mucchio, ma la materia che ha per le mani ha davvero poca inventiva, di chi diventerà reginetta del ballo mi interessava meno di nulla, ad un certo punto ho seriamente tifato per il Killer di turno perché mi liberasse dallo scempio però questo “Fear Street – Prom Queen” per lo meno mi permette di parlare di un argomento che mi sta a cuore, quasi a chilometro zero.
Orgoglio e beh, gloria torinese, Umberto Tozzi è un’istituzione nazionale, le sue canzoni sono famosissime e malgrado qualche Stella Stai che ogni tanto scappa dalle maglie, la canzone italiana ufficiale nei film Yankee resta una e una soltanto: “Gloria”.
Partiva dopo il naufragio (ovviamente…) di DiCaprio e Margot Robbie nel lupo di Wall Street Scorsesiano, per stare in tema Margot, si sentiva anche in Tonya e se volessimo andare indietro nel tempo, è un classico dei film americani film da “Flashdance” (1983). Qui in “Fear Street – Prom Queen” parte tra gli altri notevoli pezzi della colonna sonora (la parte migliore del film), nella versione cantata da Laura Branigan ma cambia poco, quanti cacchio di soldi porta a casa Umberto Tozzi dai diritti di sfruttamento di quel pezzo? Incredibile!
Va anche detto quando nel commentare un film dell’orrore, la parte più interessante è una riflessione sul quantitativo di soldi che Umberto Tozzi porta a casa, oppure lo spudorato omaggio a Phantasm II (quello l’ho gradito molto) potete immaginare da soli che non ci sia molto altro da dire su questo nuovo “Fear Street”, se solo Matt Palmer avesse avuto una trama meno banale per le mani, per lo meno ci sarebbe stato modo di diversi, ma così? Nemmeno quello purtroppo, anche se questo secondo me non impedirà a Netflix di sfornare altri due o tre “Fear Street”, il che mi andrebbe benissimo se avessero più inventiva e forse, andrebbe bene anche ad Umberto Tozzi.
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