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Festa per il compleanno del caro amico Harold (1970): cari fottutissimi amici

No, non avete sbagliato giorno e sì, abbiamo un altro
compleanno da festeggiare per questa rubrica, benvenuti al nuovo capitolo di…
Hurricane Billy!

A 32 anni, il futuro di William Friedkin ad Hollywood era in
bilico, malgrado ciò da bravo figlio mantenne la promessa fatta alla madre,
portandola con sé in una casa in affitto a Beverly Hills, il nostro Billy era
quasi un Rick Dalton in quel periodo
della sua vita. Facile capire il perché: tre film all’attivo da regista e tre
flop in fila al botteghino, per fortuna il suo agente Tony Fantozzi credeva
ancora nel suo potenziale.

Tra i pochi ad aver visto Quella notte inventarono lo spogliarello oppure Festa di Compleanno,
metteteci pure Mart Crowley e Dominick Dunne, il primo, in particolare, era
l’autore della provocatoria commedia “Festa per il compleanno del caro amico
Harold”, replicata sui palchi off-Broadway con un discreto successo. Crowley
sognava di portare questo suo lavoro così sentito e personale al cinema, per la
regia di Robert Moore che aveva già diretto lo spettacolo a teatro tante volte,
per la fortuna del nostro Billy, Gordon Stulberg, capo della Cinema Center
voleva qualcuno con più esperienza cinematografica e avendo già diretto un compleanno, Friedkin era il più indicato
anche perché a metterci una buona parola ci pensò lo stesso Harold Pinter,
state pur certi che se una leggenda del teatro come lui apre bocca, tutti lo
staranno ad ascoltare.

Poi dicono che sono le donne a mettere in disordine l’armadietto del bagno eh? (stereotipi, brutta roba)

Quindi ironia della sorte, William Friedkin era pronto a
dirigere la seconda festa di compleanno della sua carriera, forte di tutto
quello che aveva imparato alla corte di Pinter, Billy era pronto a calarsi in
una realtà fatta di luci ed ombre, di uomini ai margini, un tema che sarebbe
tornato spesso nel suo cinema e che trovava in “The Boys in the Band” (titolo
originale dell’opera scritta da Mart Crowley) il soggetto perfetto per
Friedkin, un’altra “commedia della minaccia” quasi in stile Pinter su un tema
controverso, quelli che diventeranno i preferiti di Friedkin, perché l’opera
teatrale è stata la prima a parlare di omosessualità in modo schietto e
diretto.

Ci sono stati fior fiori di autori teatrali omosessuali, ma
Mart Crowley è stato il primo a scrivere un’opera sull’argomento che portasse
l’attenzione sulla comunità Gay di New York, composta da diverse tipologie di
omosessuali, dalla “checca isterica” (perdonatemi l’espressione, ma è la più
indicata per alcuni personaggi della storia) fino al represso, passando per il
monogamo per arrivare a quello più promiscuo. Una storia sofferta per Crowley,
scritta in un momento di forte depressione della sua vita e per questo afflitta
da una certa dose di pessimismo (in uno dei passaggi, viene detto che nessun omosessuale è mai davvero felice), dopo una prima serie di recensioni negative
e accuse relative ad aver messo in cattiva luce la comunità Gay, “The Boys in
the Band” venne riconosciuta come l’opera innovativa che era, senza, però,
arrivare mai ad essere portata in scena sui palchi di Broadway, insomma Billy
Friedkin aveva un’altra bella gatta da pelare per le mani, ma era prontissimo a
gettarsi nella mischia.

Ci voleva Hurricane Billy a farmi sopportare un film dove i protagonisti di colpo, attaccano a ballare tra amici.

Il nostro accettò di buon grado l’idea di confermare in
blocco tutto il cast di attori che già interpretava i personaggi a teatro poi,
però, chiese loro di dimenticare le abitudini e i meccanismi del palcoscenico,
per approfondire ulteriormente i propri personaggi, portò a casa qualche
malcontento, ma riuscì a far presa sugli attori, il diploma nei documentari e
il Master alla scuola Pinter per Friedkin erano valsi qualcosa.

Quello che serviva a Friedkin era un direttore della
fotografia capace, il nostro fu ben felice di avere la possibilità di
collaborare con Adam Holender che aveva dato prova di talento con “Un uomo da
marciapiede” (1969), malgrado la trama di talento difficile, Friedkin era ben
felice di incontrarlo e di fare il sopralluogo su alcune delle location: un
edificio dell’Upper East Side di New York dove girare giusto un paio di scene, ti
piace Adam? Non so dove mettere le luci qui, non va bene. Una terrazza che a
Friedkin piaceva molto, come la trovi Adam? Troppa luce, ti conviene girare
questa scena in un set dove potrò gestire tutto meglio. Insomma, dopo un inizio
difficile, anche la fotografia del film venne risolta… Affidandola ad Arthur
Ornitz che sarebbe diventato famoso grazie a Il giustiziere della notte. Ciao ciao caro Holender, hai fatto i
conti con la testa dura nel vecchio Billy.

La trama di “Festa per il compleanno del caro amico Harold”
pensate un po’? Molta della festa di compleanno organizzata per il caro amico
Harold dai suoi amichetti di New York, una fiera rappresentanza delle varie
tipologie di omosessuali, benestanti e altolocati della Grande Mela.

The boys are back in town (cit.)

Si va dal gestore di un negozio di antiquariato con
barboncino, fino a quello che nel tempo libero gioca a Basket (grande passione
di Friedkin), come si autodefiniscono nel film: sei checche isteriche e una
zia ansiosa pronti a festeggiare Harold (Leonard Frey) che, però, non arriva mai
lasciandosi attendere come fanno le vere dive.

“The Boys in the Band” rientra nella categoria della
“commedia della minaccia”, perché una situazione leggera, quasi frivola, diventa
pian pianino sempre più ostica, le frecciatine diventano attacchi personali
sempre più violenti, in cui tutti i personaggi a turno svelano le loro
idiosincrasie, le loro paure e insicurezze. Perché ognuno di loro reagisce in
modo differente ad una vita in cui tanti, quasi tutti, attorno a te, saranno
pronti a giudicarti (male) per la tua stessa natura, quindi qualcuno va
volutamente sopra le righe per provocare o per carattere, altri, invece,
nascondono la loro vera natura, fingendosi eterosessuali in pubblico e
quando la polveriera, questo appartamento pieno di personalità in lotta (non
solo tra di loro), sembra sul punto di esplodere, finalmente arriva il
detonatore: Harold.

… e alla fine arriva Polly Harold.

32 anni, Ebreo di origine, con il volto butterato e degli
eccentrici occhiali dalle lenti rosse, Leonard Frey interpreta Harold come il
più depresso capo pavone in circolazione, acido, carismatico e insopportabile
in parti uguali, ci mancava giusto lui per portare il livello (già altino)
della competizione verbale a livelli olimpici, infatti con la sua entrata in
scena “The Boys in the Band” sale ulteriormente di livello.

Friedkin dirige alla perfezione un’altra tragedia da camera,
ancora una volta non si dimentica mai di fare del cinema, senza mai adagiarsi
su materiale teatrale così consolidato e valido, per certi versi potremmo dire
che pur restando ancora nel campo del cinema drammatico, il nostro Billy stia
già esplorando quell’orrore, chiuso tutto dentro una stanza, che diventerà
fondamentale nei suoi film successivi, infatti per essere un film così tanto
parlato (per ovvie ragioni), la tensione va in crescendo così come la
disperazione dei personaggi, ognuno diretto e interpretato alla perfezione da
un cast in stato di grazia.

L’apice, forse, si raggiunge con il crudele gioco a punti
della telefonata da fare a qualcuno che si ama per davvero, più minuti al
telefono stai e più ti “comprometti”, più puoi scalare la classifica. Una
goliardata che nasconde una cattiveria di fondo, alla faccia della solidarietà
tra membri di una stessa minoranza che diventa l’occasione per una confessione
singola di tutti i personaggi che dovranno fare i conti con tutte le scelte di
una vita.

Se vi sembra tragico, aspettare di vedere la bolletta del telefono.

“Festa per il compleanno del caro amico Harold” è un film
molto bello, che non prende prigionieri, un ritratto realistico di una comunità
e delle persone che la compongono, come nessuno aveva mai avuto il fegato di
raccontare prima al cinema, lontano dai cliché sugli omosessuali, il film finì
per rilanciare le stesse polemiche già affrontate a teatro. Qualcuno sosteneva
che Friedkin avesse fatto fare due passi indietro al processo di integrazione
della comunità omosessuale e alcuni picchetti davanti ai (pochi) film che
proiettavano il film non hanno certo favorito gli incassi.

Mi concedete una riflessione? Oggi un regista eterosessuale
non potrebbe dirigerlo un film così, infatti “The Boys in the Band” è stato
rifatto da Netflix nel 2020, con la regia di Joe Mantello e Sheldon Cooper e l’altro Spock nel cast, anche se la
versione di Billy Friedkin resta ancora modernissima e anche ben più cattivella,
se volete sapere la mia.

No, non è la puntata che vi siete persi di “The Big Bang Theory” è il film del 2020.

“Festa per il compleanno del caro amico Harold” non incassa
poi molto, al suo quarto film da regista William Friedkin ha mandato a segno
quattro flop, a questo punto, chiunque altro con meno testardaggine e carattere
avrebbe gettato la spugna, ma non il nostro Billy che da giocatore di Basket
sa che si può ancora vincere finché restano minuti da giocare. A 32 anni Friedkin
era un regista che aveva fallito quattro volte? No, era un autore che stava
collezionando esperienza ed ora era pronto a smettere di inseguire la storia
del cinema, anzi a farla, proprio con un inseguimento, ma di questo parleremo
la prossima settimana, non osate mancare, io non vedo l’ora di gettarmi a
capofitto nel prossimo post!

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