In attesa dell’uscita del nuovo capitolo intitolato “Bloodline”, procediamo veloci e rapidi nella rubrica di ripasso dedicata alla saga di Final Destination, oggi tocca al secondo capitolo, quello di cui ricordo sempre ben poco, mi scappa sempre dalla memoria, posso ammetterlo?
Di questo secondo film nella mia mente ricordo essenzialmente due cose: l’incidente iniziale e il barbecue finale, stop (storia vera). Anzi a dirla tutta mi ricordo anche di Ali Larter, ma non per i motivi che pensate voi, più che altro mi aveva colpito il modo in cui sia lei che Devon Sawa (anzi, soprattutto lui) siano stati messi in panchina in favore di un film che rispetta diligentemente la regola aurea dei seguiti: uguale al primo ma di più! Ma forse si concentra un po’ troppo sulla prima parte della regola.
Mi sono sempre chiesto cosa avesse di più importante da fare Devon Sawa per non prendere parte al seguito del film che lo ha lanciato, considerando la sua filmografia, il biondo deve aver fiutato l’aria e capito che era meglio fare come Nanni Moretti: mi si nota di più se non vengo o se vengo e non parlo? Anche se scoprire in corso d’opera che il protagonista del primo film non sia riuscito a farcela, morendo per futili motivi (si parla di un mattone caduto sulla sua testa, un Darwin Award in pratica) tra un capitolo e l’altro, non fa per certi versi che sottolineare come alla Nera Signora di questo film, non si possa scappare.
Un’altra caratteristica chiave di “Final Destination 2” è il cambio di regista, esce James Wong ed entra David R. Ellis, uno che dopo una carriera come surfista professionista in gioventù è entrato nel mondo del cinema con esordi di tutto rispetto, basta dire che era uno dei pugili con cui si allenava il protagonista in uno dei miei montaggi di Rocky III, scusate se è poco, ma tranquilli, Wong tornerà perché anche questa è una delle caratteristiche di questa saga.
“Final Destination 2” ricalca il primo capitolo quasi totalmente, tanto che si apre con sedicenti esperti alla tv che parlano dello schema della morte, non è chiaro se in modo serio o presi per pazzi, tipo interviste in tv di Venkman, sta di fatto che per lo meno la notizia dello schema sembra trapelata, anche se i nuovi protagonisti ci metteranno di nuovo tre quarti di film per capirlo e ovviamente, prima dovranno passare dall’incidentone iniziale d’apertura.
Questa volta David R. Ellis fa valere i suoi trascorsi “di genere” portando in scena una fagiolata stradale notevole, che procede per accumulo, come una di quelle barzellette che prepara il campo prima della battuta finale, anche se il risultato è notevole, ok molti dei coinvolti sono degli scemoni, inoltre questo è uno dei pochissimi Horror dove così, gratuitamente, si vedono ancora delle poppe, come se fosse ancora un film degli anni ’80 in maniera del tutto inattese, proprio come la morte che ti colpisce quando vuole lei.
Posso dirlo? “Final Destination 2” e il prologo di The Descent sono il motivo per cui non amo guidare in coda dietro a qualche camion che trasporta roba, se non proprio tronchi, anche solo oggetti appuntiti puntati in direzione del mio parabrezza, d’altra parte credo che questa saga funzioni anche per questo, non solo fa leva su quell’informazione che in quanto viventi, conosciamo ma cerchiamo di dimenticare ogni giorno, ovvero che prima o poi, tocca a tutti, ma anche sul fatto che siamo tutti ad uno scivolone, ad una frenata o ad un mattone in testa dalla fine di tutto. BANG! Fine dei giochi.
La saga di “Final Destination” da questo punto di vista gioca a carte scoperte, ci sarebbe anche un altro punto che mi starebbe a cuore trattare, ovvero l’origine delle premonizioni, che in questo caso premiano la nuova protagonista con cognome citazionista Kimberly Corman (come Roger) impersonata da A. J. Cook, ma mi tengo questa riflessione per i prossimi capitoli, quelli ancora più sfigatelli, anche se lo ammetto, “Final Destination 2” per me è già un passo indietro rispetto al primo capitolo.
Si perché superata la notevole mattanza iniziale, quella che definisce lo schema e i miracolati sopravvissuti, poi bisogna ripercorrere tutta la “scoperta” relativa allo schema della morte, che anche se descritta in TV e ben nota a noi spettatori, inizia l’effetto replica, quello che riporta in scena la Nicoletta Elmi di questa saga, ovvero Clear Rivers (Ali Larter) chiusa in manicomio, il personaggio comodo per gli sceneggiatori J. Mackye Gruber ed Eric Bress, che entra in scena, riassume quello che il pubblico sa già e poi, non si sa come mai, nella scena successiva in cui compare in aiuto dei protagonisti, è libera di girovagare per la città senza limitazioni. Scusate ma non era chiusa in manicomio? Come mai alla bisogna può arrivare a supporto di Kimberly e soci? Mi sto facendo troppe domande? Forse, quindi vi risparmio i miei dubbi sul come mai Clear sia ospite di una stanza imbottita, però possa disporre di giornali, evidentemente ritagliati (quindi con delle forbici) e puntine da disegno per appendere tutto alle pareti. Sì, mi faccio troppe domande, lo so!
Il problema di “Final Destination 2” non sono certo le mie fisime sulla sicurezza o le puntine da disegno, piuttosto il fatto che si accartocci su dialoghi in grado di far sanguinare le orecchie e una certa banalità di fondo anche nella rappresentazione dei personaggi, devo dire che alcuni omicidi – sempre più articolati – come quello del dentista, tutto giocato sulle aspettative del pubblico, per lo meno fa il suo dovere.
Anche se poi il momento più atteso per me, resta la seconda breve apparizione di Tony Todd, nei panni del suo becchino apparentemente omnisciente, la prova che questo film non ci ha nemmeno provato ad espandere il campo e le regole del gioco (per quello, avremmo dovuto attendere il quinto capitolo che porta una micro novità), altrimenti Todd avrebbe avuto ben più spazio, nulla, qui vale la regola schema che vince non si cambia, anche perché tra regista e parte del cast la squadra un po’ è cambiata, ma la formula no, questo ci porta al finale, l’unica altra parte che ricordavo bene di questo capitolo visto al cinema, e poi ben poche altre volte, per lo meno rispetto agli altri capitoli della saga.
Umorismo nero, “Final Destination” come saga ne sfoggia una buona dose, giocando così a carte scoperte sull’argomento è chiaro che una risata, in questo caso liberatoria, sia utile e funzionale all’obbiettivo del film, per questo “Final Destination 2” ha un finale da Horror puro, il mostro che torna a colpire, qui in modo esplosivamente beffardo, perché qui non c’è nessun assassino mascherato da cui scappare, in questo Slasher è la Morte con la “M” maiuscola che vuole il tuo sangue e da lei non è mai scappato nessuno, quindi “Final Destination 2” sembra dire, goditi la grigliata, fatti una risata di panza prima dei titoli di coda (sulle note azzeccatissime di Killed by death dei Motörhead, non vedo errori) perché tanto è solo questione di tempo.
Esattamente come quello che ci divide dal prossimo capitolo della saga qui sulla Bara, quindi in attesa del prossimo, come Tony Todd vi saluto: «Ci vediamo presto» (cit.)
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