Vi invito ad allacciarvi le cinture e a sistemarvi comodamente al vostro posto, siete ospiti del Volo 180 della Bara Volante Airlines, il film che proietteremo oggi è “Final Destination”, un titolo che usciva venticinque anni fa. Se volete potete imbarcare le rughe, diventante improvvisamente pesantissime sui vostri visi dopo questa notizia come bagaglio a mano.
Venticinque anni e un nuovo capitolo in arrivo, l’occasione giusta per me per lanciarmi in quello che non facevo da un po’ e che in tutta onestà, mi mancava anche, una bella rubrichetta dedicata ad una saga Horror in attesa di gustarci il nuovo capitolo intitolato “Bloodline”, ma facciamo un piccolo passiamo indietro, siamo ancora fermi all’imbarco del primo volo, quindi torniamo all’anno 2000.
Ve lo ricordate l’horror per tutti di quel periodo? Annaspava nelle acque torbide del post-Scream anche se il genere era appena stato scosso, in tutti i sensi visto che la macchina da presa a mano ballerina di The Blair Witch Project era il tema più caldo del momento, quello che di lì a poco avrebbe aperto le porte ad un decennio o anche più di film in soggettiva in grado di mettere in difficoltà il vostro mal di mare.
Ma visto che siamo all’inizio di una nuova rubrica, mettiamo sul tavolo tutte le carte, delineiamo lo schema, l’origine di “Final Destination” va cercata ancora più indietro, sul piccolo schermo, perché il soggetto nacque da un’idea di Jeffrey Reddick, ai tempi pronto a proporlo come episodio della serie tv alla quale stava lavorando, la leggendaria “X-Files”, infatti esiste un universo parallelo in cui la puntata “Flight 180” diretta da James Wong è una delle più amate della serie creata da Chris Carter, invece la realtà ha svoltato e nel nostro universo, proprio James Wong che fino a quel momento aveva diretto tanti episodi di “X-Files” e della gemella (e mai abbastanza ricordata) “Millennium”, finì per tenersi questo boccone, proposto alla New Line Cinema e adattato in una sceneggiatura per il cinema da Glen Morgan e dagli stessi Jeffrey Reddick e James Wong, occhio però alla casa che è stata costruita da Freddy, perché qui il disegno della Morte è piuttosto chiaro.
Con il nuovo titolo di “Final Destination”, un brillante riferimento non solo alla destinazione finale di tutti noi, ma soprattutto all’etichetta che viene appiccicata alle valigie, il film ha il dono del tempismo, parliamoci chiaramente, solo prima dell’undici settembre sarebbe stato possibile mostrare l’esplosione di un aereo in decollo da New York, carico di persone tra cui bambini e malati («Ci vorrebbe un Dio sballato per far cadere questo aereo»), ma in generale il film di James Wong ha una struttura tutta sua, inizia con un’esplosione da film catastrofico che altrove, sarebbe una scena madre, qui invece è solo il colpetto dato alla prima tessera del domino.
Poi continua come un generico film in odore di Thriller, con morti sospette ma apparentemente dettate solo da un’altra forza con cui non si può fare i conti, la sfiga, mettendosi un po’ in ombra a certe morti mostrare da Donner nel suo Il Presagio, per poi calare finalmente la maschera rivelando la propria vera natura, quella di uno Slasher, ma senza nessuno assassino mascherato o armato di lame, questa volta, come era già accaduto nel 1984, proprio sotto il tetto della New Line, lo Slasher si macchiava ancora una volta di paranormale, una scelta figlia di un tempismo incredibile e di una lucida valutazione dello scenario del cinema Horror in quel preciso momento.
Fateci caso, la locandina con le facce dei giovani protagonisti, tutti adolescenti spesso provenienti da serie TV popolari sul piccolo schermo, come ad esempio Ali Larter che arrivava da “Dawson’s creek”, insomma la lezione di “Scream” applicata pagina per pagina, perché è innegabile che in “Final Destination” si respiri un’aria di anni ’90 molto forte, il tutto caricato di un umorismo macabro a metà tra il video di formazione sulla sicurezza domestica (pensate alla morte della professoressa, tra vodka, monitor catodici e strofinacci dimenticati sul ceppo dei coltelli) e un senso di, nemmeno predeterminazione, ma proprio di nessuna speranza, ben rappresentato dall’apparizione, al limite del cameo sornione di un Tony Todd scintillante, che con la sola entrata in scena non solo fa lievitare il livello del macabro (il pilota di Bare Volanti in me apprezza) ma mette in chiaro che qui non si tratta di scappare da un assassino, ma dalla Morte stessa e dalla Nera Signora non scappi, inutile preoccuparsi, nessuno di noi uscirà vivo dalla propria vita.
Il film di James Wong oltre al tempismo, dimostra ancora oggi a venticinque anni dalla sua uscita, tutta la sua capacità di equilibrista, da un certo punto di vista cavalca tutti gli stereotipi possibili, dall’altra sa scardinarli per utilizzarli a proprio piacimento, il cast ne è un ottimo esempio, il prologo strutturato come una scena madre (con tanto di incubo premonitore, un classico del cinema Horror) ci presenta il belloccio biondino Alex Browning (come Todd), il personaggio che ha lanciato Devon Sawa, che novello Cassandra, inascoltato e sospettato, sopravvive insieme ad una serie di personaggi cliché, ognuno con cognomi citazionisti che ricordano volutamente registi famosi, anche se poi parliamo del bulletto con la fidanzata portachiavi, dello sfigatino che si chiamerà anche Hitchcock, ma essendo impersonato da Seann William Scott, sarà sempre eternamente Stifler fino ad arrivare alla darkettona gotica della morte Clear, che altri non è che Ali Larter che impersona Nicoletta Elmi nel suo personaggio de “I ragazzi della terza C”, uguale!
Il film di Wong rimaneggia le carte alla grande perché anche l’ordine delle morti non è quello che ci si aspetterebbe, proprio perché Alex con il suo intervento, ha messo i bastoni tra le ruote alla Nera Signora, che qui reagisce come una bambina dispettosa, consapevole che alla fine, sarà sempre lei a vincere, quindi dopo la prima morte drammatica, l’impiccagione che ci ricorda quanto può essere scivolosa una vasca da bagno, il film cambia passo, il ritmo non molla mai generando un divertentissimo manuale di sicurezza, pronto a snocciolare consigli utili sulle gomme dell’auto, che isolano dall’elettricità, tutto figo, tutto ben scritto, ma tanto se giochi al gioco della Morte, non hai comunque nessuno scampo.
Il modo in cui “Final Destination” ha portato avanti questo modello rendendolo canonico, forse ci ha fatto dimenticare quanto questo film fosse ben scritto e magistralmente ritmato, ma la vera arma segreta del film, oltre al tempismo e la capacità di rigirare la mossa dei cliché ai suoi fini è un altro, raramente mi è capitato davanti agli occhi un film più abile di questo nel raccontare con leggerezza e coinvolgimento un tema che è tutto tranne che leggero, l’inevitabilità della morte, che ci riporta all’origine stessa del genere Horror, quello che ha il compito di ricordarci che il nostro corpo è fragile, che i nostri grandi piani a lungo termine, possono infrangersi contro il destino, la sfiga, o un Bus che passa rombante di colpo.
Ci vogliono abbondanti dosi di umorismo, anche nerissimo per sopravvivere a tutto questo, ma non è così anche nella vita in fondo? Ecco perché “Final Destination” resta un gioiellino invecchiato velocemente, perché sembra ieri ma è già un quarto di seguito, ma anche invecchiato molto bene, giocoso e lugubre in parti uguali, ma visto che ci siamo appena imbarcati sul volo 180, nel corso delle prossime settimane, affronteremo anche i seguiti, alla fine la nostra… Destinazione finale (occhiolino-occhiolino) sarà “Bloodline”, ecco perché la Nera Signora terrà ancora banco su questa Bara per un po’ di settimane.
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