A quattordici anni dall’ultimo capitolo uscito in sala, quello che riusciva a monetizzare e a chiudere il cerchio in maniera brillante, e a un quarto di secolo dal capostipite, la Morte non ha ancora finito il suo eterno lavoro, ma nemmeno Hollywood, che ripesca la saga di “Final Destination” con un nuovo capitolo, il sesto, intitolato Bloodlines. Anche se è curioso, perché nello stesso anno, abbiamo idealmente avuto due Horror molto simili, quasi concorrenti nel loro affrontare lo stesso tema.
Mi riferisco ovviamente a The Monkey, in cui Osgood Perkins provava a slacciarsi il primo bottone e a slanciare via le scarpe, facendo emergere una riflessione sulla morte piuttosto palese, anche nel suo risultare a volte ilare, con alcuni degli omicidi più pazzi visti quest’anno, non a caso scherzano l’ho ribattezzato “Final Destination: SIMMIA”, il capitolo di mezzo di una saga che invece ora, torna ufficialmente per continuare il suo lavoro.
Nato da un soggetto di Jon Watts e dei due registi Zach Lipovsky e Adam B. Stein (quelli di “Freaks” del 2018 con Emile Hirsch) temevo che quel “Bloodlines” nel titolo facesse degenerare tutto nell’ennesimo Horror con due generazioni di protagonisti a confronto, da un certo punto di vista è anche un po’ così, ma la verità è che la saga di “Final Destination” ha sempre fatto tutto a modo suo, riuscendo a fare soldi con il 3D quando tutti stavano gettando via gli occhialini, è riuscita a schivare etichette orribili e di solito in inglese come “Requel” o “Legacy Sequel” anche cavalcando una struttura spesso ricalcata sui capitoli precedenti, per un semplice fatto, con la Nera Signora non si patteggia, alla fine sarà sempre lei a vincere, un po’ come fa questa saga.
Per questa saga non può esserci un’altra generazione di personaggi da affiancare alle vecchie glorie, per il semplice fatto che beh, non è sopravvissuto nessuno, non ci sono Nancy, Alice o Laurie che reggano contro la Morte, quindi l’unico modo per parlare di quei legami di sangue del titolo è fare come ha deciso di fare questo sesto capitolo, rimescolando un po’ le carte perché se per Perkins la morte era un affare di famiglia che si manifestava sotto forma di SIMMIA, “Final Destination Bloodlines”, come sempre fatto da queata saga, ovvero facendo tutto a modo suo, continua a parlare di morte per provare ad esorcizzarla, una corsa all’omicidio sempre più articolato per distrarci dall’unica verità: abbiamo tutti la stessa “Destinazione finale” e chi ci mette al mondo, di fatto ci condanna a morte. Per fortuna che questa saga continua a trovare il modo di intrattenerci, altrimenti sarebbe materiale per sedute infinite dallo psicologo.
Giocando con le stesse carte, ma modificando leggermente la formula, “Final Destination Bloodlines” mette in chiaro come piccole variazioni sul tema risultino più efficaci in questa saga, dove altrove diventa tutta tediosa ripetizione, qui è solo la Morte, che prosegue inarrestabile il suo lavoro, sempre con grande creatività è una certezza, ogni film di questa saga deve avere un prologo spaccatutto gigante, anzi, quello di questo film potrebbe essere uno dei più devastanti.
La novità? Questa volta l’incidente che mette in moto l’azione avviene nel 1968, quando Iris Campbell (il cognome per ma vale come tradizionale citazione cinematografica e ad interpretarla troviamo Brec Bassinger) che riesce ad evitare il crollo della Skyview Tower grazie alla solita premonizione, ancora non spiegata – come mi auguravo nel corso della rubrica di ripasso in vista di questo film – ma in qualche modo giustificata, perché il balzo in avanti nel presente ci fa fare la conoscenza di Stefani Reyes (Kaitlyn Santa Juana), con i voti in picchiata per via dei problemi a dormire, visto che ogni notte continua a sognare lo stesso incidente in cui la nonna ha salvato molte persone tra cui tanti membri della sua famiglia, cambiano così lo schema della Nera Signora, perché tutte quelle persone non avrebbero più dovuto essere in vita e Stefani, non dovrebbe nemmeno essere nata.
Zach Lipovsky e Adam B. Stein declinano l’elemento chiave della saga in una maledizione familiare tramandata come si fa con un’eredità, come il corredo della nonna, quindi niente più gruppo di amici ma i “Legami di sangue” del titolo, perché tra un fratello minore e diversi cugini, i bersagli per la Nera Signora non mancano ed è qui che il film dà il meglio di sé.
Nel corso di sei capitoli, questa saga ha messo al centro omicidi sempre più matti e spesso, capaci di strappare una risata per non farci pensare per qualche secondo all’inevitabile, come Freddy, sempre più guascone di capitolo in capitolo, l’assassina invisibile ma attivissima di “Final Destination” colpisce con sempre più creatività, non è un caso se il primo trailer di “Bloodlines” fosse solo una complicata messa in scena di una sorta di versione con sangue di un lavoretto ingegneristico che avrebbe reso fiero Rube Goldberg.
Se il prologo iniziale è una sorta di film nel film, che funziona alla grande nel suo essere catastrofico, il resto prosegue con morti sempre più intricate che strizzano l’occhio (senza risultare urticanti) ai procedenti capitoli, spesso citati più o meno direttamente, come nonna che è diventata una survivalista con casa a prova di morte, come provava a fare Devon Sawa venticinque anni fa, oppure nei riferimenti alle locandine dei precedenti film, insomma, continuo a pensare che i capitoli migliori di questa saga siano quelli dispari, però sono felice di avere un altro buon “Final Destination” da aggiungere ai miei periodici ripassi dei film di questa saga.
Il livello di sangue sparso mette in chiaro come Zach Lipovsky e Adam B. Stein siano a loro agio nel portare in scena omicidi articolati come le invenzioni di Willy il coyote, se dovessi indicare un problema-che-non-è-un-problema, perché per questa saga non lo è mai stato, direi che alcuni personaggi di contorno entrano in scena solo per fare numero, per essere carne da macello, e considerando che nessuno è mai uscito vivo dal confronto con l’assassina definitiva di questa saga, i legami del titolo, “Bloodlines” va a cercarli nell’unico personaggio che è stato l’altra costante (escluso il quarto film) ovvero Tony Todd.
Il modo in cui il suo William Bludworth viene infilato nella storia va oltre la solita apparizione, quindi sì, potrebbe essere un tentativo di captatio benevolentiae nei confronti dei fan, ma cosa vi dicevo lassù? Questa serie fa tutto a modo suo, dove la concorrenza sbaglia esagerando, “Final Destination” fa le stesse cose ma nel modo giusto, anche se qui l’apparizione risulta ironica e dolente in parti uguali – insomma, in tema con questo film – visto che il capitolo della saga che lascia più spazio a Tony Todd è anche il suo ultimo film di sempre. L’attore ci ha lasciati lo scorso anno e per assurdo, anche il fatto che sia “sopravvissuto” abbastanza per far si che il suo ultimo film, postumo, sia proprio uno della saga di “Final Destination”, dovrebbe convincervi ad iniziare a guardarvi intorno, a fissare ogni oggetto valutandone la potenziale pericolosità proprio come i meccanismi assassini che vediamo in azione qui, perché la Morte ha sempre un disegno per tutti quanti noi e alla fine, non si scappa dal suo piano, nell’ottica dell’umorismo nero che ogni Horror-Fanatico dovrebbe avere, ne aveva uno anche per Tony Todd, ovvero dedicargli un intero capitolo della saga di cui era diventato il padrino.
Era difficile per “Final Destination Bloodlines” riuscire a distinguersi dai suoi predecessori e a vedersela direttamente con il suo capitolo semi apocrifo, direi che questo film non corre il rischio di essere confuso con gli altri di cui fa parte, il che al sesto capitolo è un risultato non da poco, inoltre è la conferma che questa saga, come la Morte, fa quello che vuole lei, si spera di non dover attendere un nuovo capitolo altri quattordici anni, insomma come al solito, con dedica speciale a Tony Todd… Ci vediamo presto.
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