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Finch (2021): Turner e il robot casinaro

Per la seconda volta in poco tempo, Apple TV punta tutto su mister bravo ragazzo Tom Hanks, dopo il bellico Greyhound, un altro titolo a ben guardare con ancora meno attori, tutto caricato sulle spalle del protagonista, uno così tanto amato dal pubblico da poter tante volte “vendere” un film con la sola presenza.

Mentre guardavo “Finch” mi sono chiesto se con un protagonista diverso, avrei avuto la stessa potente sensazione di déjà vu che mi ha tormentato per i tanti, tantissimi minuti della durata di questo film, 115 che ammettiamolo, sono francamente troppi per il canovaccio, perché trama mi sembra eccessivo per quello che ha da raccontare. La risposta che mi sono dato è stata un sonoro sì, perché “Finch” non inventa molto, ma con Tom Hanks nella zona delle operazioni è impossibile non pensare a tutto il bagaglio di personaggi che l’attore si porta dietro, andando ad alimentare quel senso di già visto, un cane che si morde la coda tanto per stare sul tema cinefilo e cinofilo del film.

Prodotto dalla Amblin di Spielberg e da Robert Zemeckis, nomi che in linea di massima qualche volta avete sentito associati a quello di Tommaso Matasse, “Finch” gioca sul sicuro come un puzzle di tanti film già visti, messo insieme dai due sceneggiatori Craig Luck e Ivor Powell, per una regia che è stata affidata a Miguel Sapochnik ed ora perdonatemi se il paragrafo che seguirà potrà sembrarvi un inno all’odio come un pezzo dei Linea 77, ma ho dei sassolini da togliermi dalla scarpa.

Vogliamo parlare del pigiamino di Tommaso Matasse? Futuristico!

Questi miei vecchi e stanchi occhi hanno letto su “Infernet” commenti che definivano Miguel Sapochnik (salute!) come il secondo avvento, io lo so che qualcuno tra di voi ha definito questo regista, testuali parole “Il mio nuovo Dio” (storia vera), ricordatevi sempre che un Cassidy non dimentica e no, l’entusiasmo immotivato per “Giocotrono” non vi scagiona, già perché Miguel Sapochnik è il regista (vincitore di un Emmy) dell’episodio Battle of the Bastards. Già ai tempi davanti a queste immotivate reazioni da “Fanboy” e “Fangirl” mi chiesi dove erano tutti questi estimatori del lavoro di Miguel Sapochnik quando firmava quella mezza porcheria di “Repo Men” (2010), un film che prendeva una gag divertente dei Monty Python e la rifaceva in chiave seria, fin troppo seria aggiungerei! Ovviamente non ho ricevuto risposta perché il pubblico non ha memoria ma è spesso solo dedito al titolo del momento. Quindi cari i miei “nuovi credenti rinati in Sapochnik” dove eravate quando il vostro eroe dirigeva “Finch”?

In un futuro non ben precisato l’umanità è stata sterminata dal bla bla bla per effetto delle eruzioni solari bal bla bla e del cambiamento climatico. Da qualche parte Greta Thunberg, forma nell’aria una grande “V” con le braccia mostrandoci idealmente la forma dell’India al grido di «Suuuuuuuca!», che credo sia una parola Svedese, di cui colgo però il significato più profondo.

Ovviamente l’ultimo sopravvissuto o presunto tale è il Finch del titolo, fino qui facile no? Normalmente vi direi che il film strizza l’occhio a 2002 – la seconda odissea, per la presenza di un umano e di un robot, ma visto che si parla di un film di Tom Hanks, direi che il nostro è passato da parlare con i palloni da pallavolo di “Cast Away” (2000) ad un robot costruito da lui per due ragioni: passare il tempo e badare all’amato cagnone di Finch, un meticcio di nome Goodyear e quindi anche qui, impossibile non pensare al fatto che il vecchio Turner ormai, di vivere senza cane non è più capace.

«Dì un po’ non è che per caso ti chiami Hooch anche tu?»

Il film mostra bene come Finch passi il tempo digitalizzando romanzi e manuali cartacei per salvaguardarli dalla distruzione, ma anche la sua routine fatta di cibo da trovare, supermercati presi d’assalto in cui scovare scatolette o quant’altro, il tutto sempre indossando all’aperto la sua tuta per sopravvivere alle alte temperature e ai raggi UV che hanno sterminato tutto e tutti, insomma più o meno come vado in spiaggia conciato io. Uno dei motivi di interesse è ovviamente il robot costruito da Finch e programmato con le tre leggi della robotica di Asimov più una quarta: prendersi cura del cane dopo la dipartita dell’umano. Avete già capito come prosegue e finisce il film vero?

Il robot di nome Jeff ha le movenze in motion capture di Caleb Landry Jones, sul perché la sua testa somigli alla maschera di Deadpool non lo so, ma lo considero come l’ennesimo elemento buttato nel mucchio di un film non brutto, non bello, ma sicuramente derivativo che guarda caso, ci racconta di un altro viaggio con numerosi guai con Tom Hanks. Ma dopo tutti questi anni ancora non lo avete capito che non è bene viaggiare insieme a Tommaso Matasse!?

«Apollo 13», «Cast Away», «The Terminal», «Captain Phillips» e «Sully» non vi hanno insegnato niente!?

Per molti minuti (troppi!) Miguel Sapochnik dirige un film che avrebbe potuto funzionare come un film d’animazione, una storia di formazione in viaggio (i nostri cugini Yankee direbbero “On the road”) che si prende fin troppo tempo per raccontarci del robot casinaro che combina pasticci ma impara. Ma il regista non è abbastanza bravo a dare ritmo a materiale che pare girare a vuoto, in alcuni momenti sembra che il film voglia in qualche modo mettere Finch in difficoltà, per “curarlo” dalla sua naturale propensione alla misantropia, per altro l’unico motivo che mi ha fatto avvicinare al personaggio: uno che ama stare nel suo covo al sicuro, con il suo cane, un robot, buona musica e tanti libri. Mi spiegate perché uno così dovrebbe “guarire” dalla misantropia? Proprio non lo capisco.

La storiella di “Finch” è stiracchiata per 115 minuti diventando troppo lunga, noiosa, senza ritmo e il senso generale di già visto di sicuro non aiuta per niente, certo gli effetti speciali e il design di Jeff non è affatto male, ma Humandroid funzionava molto meglio anche a livello emotivo. Certo Tom Hanks è sempre un grande professionista, uno che ha più volte dimostrato di poter sostenere un film anche da solo in scena, ma Sapochnik si conferma un mestierante, mi dispiace se per caso dicendo questo, vado contro il dogma della nuova religione di qualcuno.

«Le mani! Ho le mani!», «Si hai anche la testa di Deadpool però non dirlo in giro»

Vorrei sorvolare sulle regole interne del film, di colpo il sole, la principale minaccia della storia, smette di essere un pericolo mortale per effetto di cosa esattamente? Aver superato le montagne? Sul serio una montagna può fermare i letali raggi UV? Insomma, un filmetto per famiglie di poco conto, buono solo per confermare il talento di mister bravo ragazzo Hanks oppure, per avere in testa per una settimana “American Pie” di Don McLean, trattandosi di uno dei testi più belli mai scritti nella storia della musica, poteva andarci peggio, per il film invece i tempi sono maturi per rivalutare Turner e il casinaro per il capolavoro che era, ora abbiamo le prove.

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