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Footloose (1984): la città che aveva paura di ballare

«Il ballo è una manifestazione verticale, di un desiderio orizzontale» (Woody Allen)

Sapete tutti benissimo che questa Bara è fondata su pochi ma indiscutibili precetti, il compleanno di oggi ci servirà anche per rinfrescarli entrambi, iniziamo dalle basi, ricordando a tutti che in quanto vicedirettore del “John Lithgow fan club” le iscrizioni sono sempre aperte. L’altro dogma? Il più famoso film della carriera di Kevin Bacon è Tremors, del secondo invece, ne parliamo oggi.

Herbert Ross non è un nome che si ricorda molto, in carriera alcuni titoli rimasti nel cuore, ad esempio io ho sempre avuto un debole per “Sherlock Holmes: soluzione settepercento” (1976) ma è inutile girarci attorno, sarà eternamente associato a “Footloose”, classico danzereccio degli anni ’80, enorme successo di pubblico, fondamentale per un paio di generazioni e citato per i più giovani a più riprese da Star-Lord in Guardiani della Galassia, insomma siamo in pieno territorio cultura Pop, quindi vedo gli estremi per il Classido.

Già un Classido, spernacchiato dai critici quarant’anni fa ma capace di sfondare i botteghini di mezzo mondo, soprattutto grazie ad una monumentale colonna sonora piena di pezzi da urlo, capitanati dalla title track (pescando dal vocabolario musicale yankee) firmata da Kenny Loggins che nel film parte tre volte facendo venire a tutti la voglia di muovere i piedi, anche ai titoli di testa del film.

Sono sicuro che state muovendo i piedi a ritmo anche leggendomi.

Molto, ma proprio tanto vagamente ispirato ad alcuni eventi accaduti nella piccola comunità rurale di Elmore City in Oklahoma, la trama è diventata la risposta della Paramount a titoli analoghi come “Flashdance” che possono essere riassunti con le immortali parole di Star-Lord: «Sul mio pianeta esiste una leggenda sulle persone come te. Si chiama “Footloose”, parla di un grande eroe di nome Kevin Bacon, che insegna a una città piena di persone con un manico di scopa infilato nel culo che ballare… È la cosa più bella che ci sia!»

Se festa di compleanno deve essere, che festa sia.

Cosa si può strizzare fuori da un film del genere? Molto in effetti, perché anche a distanza di quarant’anni, “Footloose” riesce nell’impresa di giocarsi momenti da musical (Gavino Pancetta che dice «Sono fuori forma» dopo aver fatto le parallele e ballato come se da quello dipendesse la sua vita) ben integrati in altri passaggi più che altro da film musicale, evitando così l’odio atavico che molto pubblico prova per il più canterino dei generi. Di base “Footloose” inizia come TUTTI i romanzi di formazione degli anni ’80: adolescente con mamma ma senza più un papà si traferisce da un’altra città e ha difficoltà ad integrarsi, sostituite il Karate con la musica Rock ma l’impianto base resta lo stesso.

La differenza qui è che il protagonista non è Daniel LaPippa ma uno in odore di Metrosexual («Aspetta di andare al College prima di vestirti come David Bowie»), uno che alla battuta sulla sua cravatta tatticamente fuori luogo risponde per le rime, che quella meraviglia di “Mattatoio 5” lo ha già letto e che arriva a scuola sul suo maggiolone con i Quiet Riot sparati a palla, insomma un figo che non poteva che essere fatto a forma di Gavino Pancetta, già visto in Venerdì 13 e consacrato da questo film.

Balla tutto il tempo ma ha dei notevoli gusti Metal (oltre che una gran faccia da schiaffi)

La situazione che Ren McCormack, detto Gavino, si trova davanti è grave: la meglio gioventù tra attrici e attori disponibili nel 1984, tra cui Sarah Jessica Parker e Chris Penn ancora magro, non possono ballare perché il reverendo Shaw Moore non vuole, questo Rock ‘n Roll finirà per corrompere i nostri giovani e per assurdo, proprio nella figlia dell’uomo di chiesa che fa il bello e il cattivo tempo a Bomot, provincia di Culonia, Stati Uniti di Yankeelandia, troverà un’alleata.

Ad Ariel Moore (Lori Singer) ci puzza abbastanza la vita, va detto, vederla saltare da un’auto sfrecciante all’altra nella sua sfida di coraggio, rimanda immediatamente ai ribelli senza causa e alla corsa del coniglio di “Gioventù bruciata” (1955) aprendo un bel filo diretto tra il cinema americano degli anni ’80 e quello dei ’50, che altro, ha generato vabbè robetta, il vostro film del cuore.

I riferimenti, quelli giusti e spericolati.

Sì perché “Footloose” sarà pure leggero e ballerino, ma a suo modo per nulla stupido, contiene una serie di chiavi di lettura niente male, oltre alla parte più leggera e garantita da che so, la gara con i trattori sulle note del secondo miglior utilizzo di sempre al cinema di “Holding Out for a Hero” di Bonnie Tyler. Il primo resta “Corto circuito 2”, non accetto discussioni in merito.

Col trattore in tangenziale, andiamo a ballare! (quasi-cit.)

Ren McCormack è l’anomalia, l’agente scatenante, quello che riaccende la fiamma di qualcosa che sembrava sopito, lo fa a più livelli con una scena che urla «ANNI ’80!» a pieni polmoni come il “Training montage” con cui insegna a ballare a Chris Penn, seguendo l’adagio di Woody Allen che non a caso ho piazzato lassù in apertura, perché non puoi passare a far altro con le ragazze se prima non parli con loro e per parlare, devi saper ballare. Non serve nemmeno scrivere METAFORONE perché è chiaro come il sole.

Eh lo so Chris, ma con la maturità andrà meglio.

Se Kevin Bacon balla per la storia del cinema e per il futuro della sua carriera, il suo personaggio ha la strada segnata ma almeno in discesa, per lo meno presso il pubblico, è automatico che un ribelle come lui, con quella notevole faccia da schiaffi, abbia tutti dalla sua è solo questione di tempo perché si conquisti anche i suoi coetanei (e la bella figlia del reverendo), per far funzionare veramente “Footloose” ci vuole altro, ci vuole un cattivo.

Azzecca il cattivo è metà del film lo hai messo in banca, fallo interpretare a John Lithgow e anche l’altra metà sarà assicurata, il reverendo Shaw Moore altrove (tipo nel rifacimento clamorosamente molliccio) sarebbe una macchietta, un grosso «I bambini! Perché nessuno pensa ai bambini!» semovente, cosa che all’inizio del film potrebbe anche sembrare. Ma dove “Footloose” mette in carico rivelandosi come più sveglio e sfaccettato della media dei musicarelli è nel confronto generazione tra Moore padre e Moore figlia. Una figlia che rivela al padre di non essere più vergine, per altro facendolo da molto arrabbiata, è già un bello schiaffo in faccia, il fatto che lo faccia sul luogo di lavoro di papà, in una chiesa, è un atto veramente Rock.

Mi sa che mi tocca fare il Barney Stinson della situazione.

Dove però il personaggio del reverendo svolta è quando rivela le sue motivazioni, il momento esatto in cui il classico incravattato, rappresentante della generazione precedente, quella che storicamente non capirà mai i giovani, i loro usi e costumi e il più delle volte, chiederà loro di abbassare il volume, si rivela ben più di un semplice censore moralizzatore, ma un genitore iperprotettivo per reazione. Non vorrei passare per il Barney Stinson della situazione, quello che fa il tifo nei film per i personaggi che indossano un completo, ma il vero cambiamento a Bomot, provincia di Culonia, Stati Uniti di Yankeelandia, avviene perché un agente esterno (Gavino Pancetta) ha smosso le acque, di qualcosa che però era già pronto ad esplodere, se la festa finale liberatoria avviene è perché scatta qualcosa nella testa del reverendo Shaw Moore e posso dirlo? Quel qualcosa è quello che regala a “Footloose” almeno uno strato di lettura che lo eleva dal semplice filmetto adolescenziale con grandiosa colonna sonora.

Il tema della negazione del lutto sale in cattedra, di colpo un padre, che ha (over)reagito per proteggere la figlia che gli è rimasta, di colpo realizza che quello che ha messo in moto gli è scappato di mano, o per lo meno, non è più etico, nemmeno per lui. La musica Rock in “Footloose” funziona un po’ come i libri in “Fahrenheit 451”, il legame c’è, non è un caso se uno degli oggetti della discussione sia un romanzo di Kurt Vonnegut. In un film meno sfaccettato il rogo dei libri sarebbe stato il manifestarsi della forza censoria alla guida di Bomot, invece qui coincide con la presa di conoscenza del reverendo, certo, avere John Lithgow porta tutto ad un altro livello di classe, è lui a elevare i due momenti chiavi del film, il reverendo che si mette di traverso è ferma l’insensato revival del rogo del Reichstag e con un monologo dal pulpito, riassume la genitorialità. Oh! Mica male per un musicarello ma soprattutto, mica male come attorino quello spilungone eh?

John “Più grande attore e salvatore di libri del mondo” Lithgow.

Il mio punto di vista da proto-Barney Stinson andrebbe per correttezza concluso sottolineando che il ballo più importante di “Footloose” non è quello dei ragazzi, ma quello decisamente meno spettacolare o iconico che avviene fuori, tra il reverendo e sua moglie Dianne Wiest, anche se è inutile girarci attorno, la conclusione è la celebrazione di un film diventato di culto, uno status che Kevin Bacon si è conquistato un passo di danza alla volta e a giudicare dai suoi profili social non ha ancora smesso.

STORIA VERA.
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