Pensavo di aver concluso con le Biopic orientate alla notte degli Oscar. Mi sbagliavo, non avevo fatto i conti con Foxcatcher, beh rimediamo subito… Tally-Ho!
Difficile non farsi bombardare di informazioni su un film in uscita, viviamo nell’Era dell’Oro di Internet, abbiamo trailer e portata di click ogni momento, ma ultimamente ho riscoperto la gioia di guardare i film sapendo poco o nulla della trama, giusto lo stretto indispensabile come cantava l’orso Baloo. Lasciarmi conquistare dalla storia piuttosto che passare metà film a chiedermi “Quando arriva la scena che ho visto nel trailer?”.
Lo so, roba grossa, il prossimo passo sarà abbandonare tutto, vagare per il mondo aiutando sconosciuti in difficoltà, correggendo i torti come faceva David Carradine in Kung Fu. Il passo ancora successivo sarà smettere di citare frasi prese da “Pulp Fiction”. Di “Foxcatcher” non sapevo nulla, se non quello che mi diceva la locandina, ovvero che nel film ci sono Channing Tatum, Mark Ruffalo e Danny De Vito. Trattandosi di una biopic, i tre attori si sono volutamente imbruttiti per i loro ruoli.
Verrebbe quasi da chiedersi come mai, un attore, ovvero uno che passa la vita ad avere la giusta massa grassa, naso e denti perfetti e un look ricercatissimo, per cercare di vincere qualche premio che conta, decide di interpretare una persona normale, con difetti fisici del tutto normali: panzetta, calvizie, nasi vistosi o buffe capigliature.
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«Quindi io dovrei fare la parte di quello lì?» |
Insomma se in Birdman attori famosi e super eroi venivano messi sullo stesso piano, verrebbe quasi da pensare che l’imbruttimento rappresenti il loro modo di abbassarsi al nostro livello, essere brutti è la critica di Hollywood alla razza umana… No sul serio, devo smetterla di citare Carradine e i film di Quentin Tarantino!
Channing Tatum ha un naso posticcio e le orecchie a “Cavolfiore” (chi è appassionati di Boxe o Rugby capirà l’espressione), Mark Ruffalo è vistosamente stempiato, mentre Danny DeVito recupera un naso a becco molto simile a quello che sfoggiava in “Batman il Ritorno” quando interpretava il Pinguino, come a dire: se Michael Keaton è tornato ad inter… Come dite? Non è Danny DeVito? Steve Carell!?! Ma come Steve Carell!! Quello che fa tutte le commedie di Apatow? Oh mammasaura!
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Eppure secondo me si somigliano |
Basato sulla storia ambientata a cavallo tra anni ’80 e ’90, il film parla del lottatore medaglia d’oro Mark Schultz (Channing Tatum), che malgrado le glorie olimpiche, fatica a sbarcare il lunario e ad uscire dall’ombra del fratello Dave Schultz (Mark Ruffalo) celebre allenatore di Wrestling. Il ragazzo viene contattato dall’eccentrico milionario John du Pont (Danny DeV…Ehm Steve Carell), fanatico di lotta grecoromana, ornitologo e padre-padrone della scuderia “Foxcatcher”. L’uomo che ama definirsi un “patriota”, ha l’ambizione di allenare una squadra atletica di livello mondiale per far trionfare gli Stati Uniti nelle massime competizioni sportive delle disciplina.
Ci sarebbe da aggiungere che la vicenda è tratta dalla biografia di uno dei personaggi un libro dal titolo molto esplicativo (che non vi posso citare, perché in pratica vi racconterebbe il destino di tutti i personaggi), ma poiché ero totalmente all’oscuro di tutto questo, il colpo di scena mi è arrivato con la giusta forza.
Bennett Miller conclude un’ideale trilogia: “Foxcatcher” ha in comune con il precedente “Moneyball” / “L’arte di vincere” l’ambientazione sportiva, vera e propria metafora di vita per gli Americani (ma non solo), invece da “Truman Capote – A sangue freddo” il film prende in prestito le atmosfere cupe e gelide. Guardando il film, molti penseranno a “The Master” di Pitì Anderson, du Pont incarna la figura del cattivo maestro, che attraverso una vero e proprio lavaggio del cervello, porta Mark sulla strada della droga.
Miller fa un ottimo lavoro, il film con le sue due ore di durata (ormai il minutaggio standard), riesce a creare un atmosfera bella pesante, l’andamento del film non è imprevedibile: ascesa e caduta del campione, sotto l’ala di un mentore realmente inquietante. Il problema è che quando il film piazza il suo colpo di scena, ormai siamo anche alla fine della pellicola, l’immancabile scritta bianca su sfondo nero, ci aggiorna su cosa fanno i personaggi oggi, un attimo prima dei titoli di coda.
Il risultato è un film di ottima fattura, recitato bene, che però non mi ha colpito più di tanto (se devo essere onesto). Come detto, l’andamento del racconto non è imprevedibile, infatti, è prevedibile con svariati minuti di anticipo il fatto che ad un certo punto, uno dei due fratelli, interverrà per aiutare l’altro. Quello che non mi ha convinto è come certi argomenti siano stati gestiti.
Tutta la faccenda della droga mi è sembrata piuttosto frettolosa, ora, magari sono io che sono complottista, ma secondo me il livore di Mark nei confronti di John du Pont non si limita alla questione della droga, tra i due sembra quasi ci siano anche altri trascorsi (omosessualità? Boh…). Quello che funziona del film è sicuramente il non detto, il problema è che a questa parte della storia viene dedicato un minutaggio troppo risicato per creare vera empatia con i personaggi.
Il make-up poi, in particolare per Tatum e Ruffalo, sembra davvero il doveroso rito di passaggio per essere presi in considerazione dall’Accademy, oppure per far digerire la presenza di Steve Carell in una pellicola drammatica, la prima scelta per il ruolo era Gary Oldman, non proprio gli stessi trascorsi artistici.
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«Ok adesso guardate tutti in un direzione diversa e fate la faccia triste» |
Sapete che vi dico però? Carell, make-up o no, funziona, non so se si merita un Oscar, ma quando lo vedi, da solo nella sua casa mausoleo, circondato dai suoi trofei, mentre guarda con sguardo vitreo il documentario sulla sua vita, sembra quasi una figura Horror. Non vorrei scomodare “Nosferatu”, ma il fatto che vada a bussare alla porta della camera di Mark quasi sempre di notte, lo rende un personaggio quanto meno paragonabile.
Non posso dire che il film di Bennett Miller mi abbia fatto impazzire, ha alcune lungaggini e alcuni momenti in cui è troppo frettoloso, di sicuro ho visto storie che smontano il sogno Americano più riuscite di questa, però ha tutto quello che serve per farsi considerare dall’Accademy, altrimenti non mi spiego lo slittamento della data di uscita, forse hanno pensato che presentarlo a Cannes in anteprima, avrebbe aiutato il film nella sua corsa agli Oscar per il 2015. Ma poi cosa ne so io, con quel titolo pensavo parlasse di caccia alla volpe… Tally-Ho!