«In black and white, the comedy was funnier. In black and white, the horror was scarier»
Tom Savini, dal documentario “In Search of Darkness: Part II” (2020)
Il 28 giugno è il compleanno di un genio, uno vero come Mel Brooks, che oggi compie 95 anni. Non potevo perdere l’occasione proposta da SamSimon per festeggiare un grande maestro e siccome proprio quest’anno, qui sulla Bara Volante, abbiamo reso omaggio ai grandi classici della Universal, mi sembrava giusto chiudere idealmente il cerchio affrontando una parodia che è anche più famosa degli originali che amorevolmente spernacchiava. No, non sto cercando di giustificare una scelta banale, perché festeggiare il compleanno di Brooks con il suo film più famoso questo è, banale, ma se non lo avessi fatto, non avrei potuto aggiungerlo tra i Classidy!
Così? Senza introduzione, gettato tra i Classidy senza colpo ferire? Andiamo dove dovrebbe stare un film del genere? “Frankenstein Junior” trascende il concetto stesso di classico cinematografico, siamo davanti ad una di quelle pellicole il cui unico difetto è quello di dover essere all’altezza della sua fama. Senza girarci troppo attorno, siamo al cospetto di quella che viene considerata la commedia più divertente della storia del cinema. Le micidiali battute di “Frankenstein Junior” sono uscite dai dialoghi di questo film per diventare parte della cultura popolare. La sezione commenti si riempirà velocemente di citazioni ma andiamo, quante volte avete ripetuto con sguardo spiritato le parole «Si! Può! Fare!», ma sono sicuro che quando questa pandemia globale ha mandato in soffitta il cinque alto e la stretta di mano, in favore del saluto con il gomito, i più smaliziati tra di voi avranno sicuramente ridacchiato pensando al Taffetà.
I tormentoni e le frasi di culto, che sono davvero tantissime, visto che ogni riga di dialogo è leggendaria, hanno reso “Frankenstein Junior” uno di quei film che si finisce per avere l’impressione di aver visto, senza per forza averlo visto davvero. I veri fanatici di questo film poi ne hanno fatto una malattia, credo siano ancora di moda le proiezioni di gruppo di questo classico, passate a “ridoppiare” i personaggi ripetendo tutte le loro battute, che sono finite stampate su magliette e cappellini, recitate a memoria come in una liturgia al limite del religioso.
Per assurdo però le centinaia di trovate brillanti, che fanno ridere anche solo pronunciandole («Rimetta, a posto, la candela» state ridendo vero? Eh lo so, micidiale) che hanno reso leggendario “Frankenstein Junior” sono la decorazione della torta, la ciliegina poggiata sopra. Una buona parodia è quella che finisce per scalzare l’oggetto del suo sberleffo, dal trono della memoria collettiva, sono pronto a mettere entrambe le mani sul fuoco senza bruciarmi il pollice come la creatura di Peter Boyle, che molti spettatori che non hanno mai visto un horror della Universal, conoscono a memoria il film di Mel Brooks, quindi senza nemmeno saperlo, hanno assimilato non solo un intero modo di fare cinema, ma anche un’iconografia che ha fatto la storia del cinema.
Già, perché Gene Wilder scrisse la prima bozza di sceneggiatura pescando dai cassettini della sua memoria, da bambino era stato colpito da “Young Tom Edison” (1940) e spaventato dai classici della Universal come Frankenstein. Ci pensò l’agente di Wilder a spedire quelle paginette a Mel Brooks, uno che notoriamente non dirigeva soggetti non scritti di suo pugno, ma per questo soggetto fece uno strappo alla regola, rimettendo in sella la coppia artistica di Mezzogiorno e mezzo di fuoco, titolo altrettanto geniale che non ha lo stesso seguito della sua controparte Horror, non sarebbe male approfondire, ma qui abbiamo un compleanno da festeggiare.
Mel Brooks modificò il finale, che nella versione di Wilder prevedeva la morte del dottor Frankenstein Frankenstin, mentre in quella definitiva di Brooks (accreditato anche lui come sceneggiatore) il finale era molto più comico e frizzantino. Guardate che vi vedo che state ridendo pensando alla scena finale del film eh? Vi conosco mascherine!
Con Mel Brooks a bordo “Young Frankenstein”, da noi brillantemente adattano in “Frankenstein Junior” – su questo punto lasciatemi l’icona aperta, ci torneremo – era diventato subito un titolo su cui puntare, i comici Marty Feldman e Peter Boyle vennero scelti immediatamente, mentre fu un’audace ma azzeccata scelta quella di Madeline Kahn, inizialmente selezionata per il ruolo dell’assistente Inga, di scambiarsi il ruolo con Teri Garr scegliendo di interpretare l’odiosa ma irresistibile Elizabeth, eterna fidanzata del dottore (storia vera).
Per il budget invece, fu necessaria più di un’accesa riunione, alla Columbia Pictures non erano disposti a sborsare i 2,3 milioni di fogli verdi con sopra facce di ex presidenti spirati, con cui Brooks sosteneva di poter fare il film, furono più lungimiranti (per una volta) alla 20th Century Fox anche quando il costo toccò i 2,78 milioni. Considerando un incasso al botteghino di 86 milioni immediato e uno incalcolabile nel corso dei decenni (ancora oggi “Frankenstein Junior” è tra i film più venduti in home video in uno strambo Paese a forma di scarpa, storia vera), il gioco è valso la cand…
Lo scontro vero è stata invece la scelta di Mel Brooks di dirigere il film in bianco e nero. Alla Fox erano terrorizzati all’idea di perdersi il pubblico, che avrebbe evitato il film pensando a qualcosa di troppo datato, Brooks invece fu irremovibile su questo punto e fu la prima di tante geniali intuizioni, i fatti lassù ho citato la frase di Tom Savini perché è davvero esemplificativa.
La scelta del bianco e nero era quasi filologica, non solo perché immediatamente ricreava le atmosfere dei classici della Universal, ma anche perché aveva dei precedenti illustri. “Il cervello di Frankenstein” (1948) è un… smettetela di pensare ad “ABnormal” e restate concentrati due minuti… dicevo, quel film oltre ad essere stato il primo a far tornare Bela Lugosi sotto il mantello del conte Dracula e a farlo recitare nuovamente assieme a Lon Chaney Junior, in uno strambo Paese a forma di scarpa viene ricordato meno perché i veri protagonisti Abbott e Costello – da noi più celebri con i nomi Gianni e Pinotto – incontravano i mostri della Universal, una mossa semplice per radunare insieme icone della comicità e dell’horror popolarissime negli Stati Uniti. Su quanto i mostri Universal siano stati popolari e radicati nella cultura americana per decenni, ci sarebbe un lunghissimo discorso da fare che arriverebbe dritto fino a Scuola di mostri, ma tra i tanti elementi che hanno reso un successo “Bud Abbott Lou Costello meet Frankenstein” un classico, metteteci anche il bianco e nero, che per il 1948 era del tutto normale al cinema, ma era anche il territorio naturale in cui tutti questi personaggi si muovevano, motivo per cui nessuno di loro risultava snaturato, per quanto l’incontro tra comici e mostri potesse sembrare ardito.
Mel Brooks con la scelta del bianco e nero è tornato idealmente a “Il cervello di Frankenstein” e ovviamente, a tutti gli altri film della Universal su cui “Frankenstein Junior”. Perché far ridere è difficile, fare paura è difficile, ma per fare una parodia, una davvero degna di nota, beh quello è difficilissimo. Si perché devi dare al pubblico un’illusione di spontaneità e leggerezza che sul set c’è stata e che in alcune scene si vede, ad esempio guardatevi la faccia di Gene Wilder, quando Marty Feldman morde la pelliccia di Elizabeth al suo arrivo al castello, si vede benissimo che Wilder non era in grado di trattenere le risate, infatti la scena è stata girata più e più volte, con il cast a rotolarsi dal ridere davanti alle facce tutte matte di Feldman ogni volta (storia vera).
“Frankenstein Junior” sarà stato anche un film girato con un’ottima chimica sul set, che dopo quasi cinquant’anni ha ancora un ritmo da manuale, quando si tratta di tempi comici e battute. In 105 minuti non ne ha uno di troppo ed è un bombardamento di momenti uno più divertente dell’altro, ma alle sue spalle ha un meticoloso lavoro di omaggio e costruzione dei personaggi che è davvero la spina dorsale di questa creatura, quella che le permette di camminare, stare in piedi (fare numeri di cabaret) e fare ancora morire dal ridere.
Si va da scene minori (anche se credo che in questo film proprio non ci siano) come la mitica camminata con il bastone “Segua i miei passi”, in originale “Walk this way” (che infatti finì per ispirare un celeberrimo pezzo degli Aerosmith, storia vera), presa di peso da “Dopo l’uomo ombra” (1936), fino alla scena di cabaret che comincia con Gene Wilder davanti al sipario ad avvertire il suo pubblico su quello che stanno per vedere, proprio come faceva Edward Van Sloan nell’originale Frankenstein, solo che lui poi non si metteva a ballare e cantare con tuba e bastone, quella è una scena per cui Wilder ha dovuto combattere. Brooks voleva tagliarla, strapazzando il collega davanti a tutti sul set annunciandogli la sua intenzione di tagliarla, in tutta risposta il vecchio Gene alzò la voce, pianto le corna e terra e spiegò perché quella scena doveva restare. La contro risposta di Brooks? Un tranquillissimo «Ok», che spiazzò Wilder, prima mi fai quella piazzata e poi tieni la scena? Brooks non era convito, ma se Wilder avesse “lottato” per la scena, allora voleva dire che l’attore ci credeva sul serio e avrebbe trovato il modo di farla funzionare sul grande schermo, almeno questa fu la spiegazione fornita dal diabolico Mel Brooks (storia vera).
Gli esempi del mimetismo di “Frankenstein Junior” abbondano, il classico Universal del 1931 e il suo seguito “La moglie di Frankenstein” (1935) sono la base, da cui arrivano i capelli striati di Madeline Kahn nel finale, ma anche scene come quella del tranquillante somministrato al mostro, di fatto la stessa identica scena del film del 1931, con l’aggiunta del gioco dei mimi.
Perché se il cinema di ZAZ (Zucker-Abrahms-Zucker) era basato sul replicare in chiave comica scene celebri di film di grande successo, sfruttando un naturale talento per l’umorismo assurdo e portando a casa risultati senza ombra di dubbio geniali, Mel Brooks lavorava in modo differente, affrontando parodie dirette (per personaggi come Dracula o Robin Hood), oppure riferite ad un intero genere (il film muto, il western o Guerre Stellari), ma “Frankenstein Junior” è prima di tutto un film in grado di camminare sulle sue gambe, in cui il pubblico può seguire la storia (per quanto semplice e ovviamente derivativa) affezionandosi a personaggi che hanno un loro sviluppo, oltre ad essere stati tutti affidati ad attori incredibili.
Brooks riciclando le stesse location e gli oggetti di scena dei classici della Universal, grazie al lavoro miracoloso dello scenografo Dale Hennesy (che qui ha messo su set con soffitti alti anche nove metri) e al direttore della fotografia Gerald Hirschfeld (più volte strapazzato dal regista, alla ricerca del risultato visivo che desiderava), ha saputo calare i suoi personaggi nella perfetta atmosfera di un classico Horror della Universal, lasciano il cast libero di esprimersi.
Credo che non serva aggiungere aggettivi alla prova maiuscola di Gene Wilder, in una carriera piena di ruoli iconici, il suo dottor Frankenstin è leggendario quando sfida l’Onnipotente usando la scienza come guanto di sfida oppure quando accetta la sconfitta con calma, dignità e classe (più o meno).
L’Igor di Marty Feldman («No, si pronuncia Aigor») è un incrocio perfetto dell’assistenza gobbo Fritz del primo Frankenstein, con qualcosa del sadico ladro di cadaveri Ygor, interpretato da Bela Lugosi in “Il figlio di Frankenstein” (1939), ma è anche a mio avviso l’uomo simbolo dell’umorismo micidiale di questo film. La sua gobba mobile e il “malocchio” lo caratterizzano, ma ancora di più quell’umorismo tagliente che rendono Igor Aigor quasi un osservatore esterno alla storia, un classico caso di umorismo generato dalla contrapposizione tra un personaggio che fa idiozie una dietro l’altra e uno serio, come il dottore che invece crede in quello che fa. La mia passione per l’umorismo assurdo, mia fa prediligere trovate come il violino, ancora caldo, una di quelle battute brillanti che “Frankenstein Junior” snocciola a piene mani.
Peter Boyle ha sempre avuto un fisico imponente e un aspetto minaccioso, malgrado a detta di tutti fosse un omone simpatico e tenero che ha trovato dentro di sé un “mostro”, che lancia bimbe strizzando l’occhio al classico del 1931, oppure che fa bisboccia con il non vedente Gene Hackman, che il pubblico sotto la barba finta non riconosceva e che finì nel film perché amico dell’altro Gene, ovvero Wilder che gli offrì la particina (storia vera). Boyle con davvero pochissimo qui riesce ad omaggiare Boris Karloff senza però imitarlo, quando cerca di “acchiappare” al volo le note del violino come se fossero farfalle (scena improvvisata da Boyle) sembra un grosso bambinone, capace nel finale di lanciarsi in un monologo fulminante. Quando mai riuscirò a fare il famigerato post sui monologhi cinematografici più sottovalutati, quello che ogni tanto minaccio, state tranquilli che Boyle ci sarà.
Una menzione speciale la merita lo spassoso Kenneth Mars, il suo menomato ispettore Kemp è un divertito adattamento in chiave comica dell’ispettore Krogh del film del 1931 e potrei andare avanti per ore, perché Mel Brooks e Gene Wilder novelli dottori Frankenstein Frankenstin, hanno costruito la loro creatura con i pezzi migliori di altri film, in un’operazione di mimetismo cinematografico tanto riuscita, da essere diventata nel tempo più popolare dell’oggetto della sua satira.
Ogni dettaglio di “Frankenstein Junior” è uscito da questo film per diventare parte della cultura popolare, la colonna sonora di John Morris che si sente sui titoli di testa del film (identici a quelli di qualunque altro horror della Universal) sono stati saccheggianti per la musica di Dramatic Chipmunk, anche se un contributo notevole al posto che questo film occupa nella cultura popolare, arriva proprio dalle citate battute.
Inutile dilungarmi troppi, lascio la parola agli esperti di Doppiaggi Italioli che meglio di me sapranno spiegarvi perché l’adattamento italiano di “Frankenstein Junior” è un esempio perfetto di adattamento. Trasformare “Young” in “Junior” è stata una scelta brillante che oggi non ho idea come sarebbe storpiato (così chiudo quell’icona lasciata aperta lassù), fino alle battute monumentali come «Lupo ululì» che è un modo veramente geniale di rendere in italiano assonanze altrimenti intraducibili come “Werewolf” (omaggio indiretto all’Uomo Lupo della Universal) e la parola “There”.
Quello che consiglio sempre di fare con un film di culto, è vederlo nella lingua opposta a come siete abituati a fare. Lo guardate sempre in Italiano? Provate a ripassarlo in originale o viceversa, per apprezzare in pieno la bontà del lavoro fatto, ma ancora di più, per non limitarsi alle tante e geniali battute. Dopo quasi cinquant’anni dalla sua uscita, per festeggiare il compleanno di quel genio di Mel Brooks, “Frankenstein Junior” andrebbe visto e rivisto per riconoscere tra le cicatrici e i punti di sutura, le parti originali con cui questa bellissima (e divertentissima) creatura è stata assemblata.
Fare ridere al cinema è difficile, fare paura ancora di più, ma per riuscire a far vedere un vero film horror della Universal, a tutto quel pubblico che non ne guarderebbe uno nemmeno con gli occhi di un altro, ci vuole davvero un grande maestro della settima arte, quindi auguri di buon compleanno Mel, tutto sommato è andata bene, poteva andare peggio… poteva piovere. Ed ora se volete scusarmi, Frau Blüche mi aspetta… Iiiiihhhhhhhhhhhhh!
Sepolto in precedenza lunedì 28 giugno 2021
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