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Freaks (1932): gabba gabba we accept you, we accept you, one of us!

Nella vita uno può essere eccentrico quanto vuole finché porta a casa i risultati, se non lo fai diventi automaticamente strambo, un mostro se non proprio un freak, per il primo compleanno di peso del 2022 qui sulla Bara Volante non potevo che partire proprio da qui, un classico come “Freaks” che compie novant’anni.

Un classico oggi, perché la strada per conquistarsi il suo status non avrebbe potuto essere più tortuosa, oggi il capolavoro di Tod Browning è considerato un film di culto, un film molto più moderno di tanti che vedrete uscire nel corso di quest’anno e azzardo a dire anche i prossimi, un titolo a cui voglio molto bene e che al grido di Gooble gobble l’accettiamo, anche uno dei Classidy.

Eppure per capire per davvero la straordinaria unicità di “Freaks” bisogna tornare alle origini, non mi riferisco alla sua produzione ma ancora prima, perché quando mi capita di pensare ad un autore che ha sacrificato la sua carriera in nome di un solo film, Tod Browning è uno dei primi nomi che mi vien in mente, intanto ve lo dico, alcune delle informazioni che seguono arrivano dalla biografia del regista e dal libro “The monster show” di David J. Skal nel caso aveste voglia di approfondire.

Tod Browning nasce a Louisville nel Kentucky, secondo figlio di Charles e Lydia Browning, malgrado una famiglia benestante Tod non si sente proprio come tutti gli altri, il suo istinto lo spinge ad allestire spettacoli anche nel cortile di casa sua, affascinato dalla vita del circo a sedici anni scappa di casa e viaggia lungo il Paese tra circhi e baracconi, potremmo riflettere sul fatto che il mondo del cinema per certi versi, sia un allegro baraccone organizzato, in cui chi ne prende parte è chiamato ad esibirsi, ma la vita di Tod Browning è già talmente “da film” da puntare per forza in quella direzione.

L’incredibile vita da film di uno dei primi Maestri dell’horror americano.

Nei suoi spettacoli lungo il Mississippi finì a fare da assistente a tale il “Selvaggio uomo del Borneo”, il suo compito principale? Farsi sotterrare vivo al fine di poter “resuscitare” nel modo più drammatico possibile per il pubblico (storia vera). Ma Browning ha fatto davvero di tutto, clown con i Fratelli Ringling, attore di vaudeville, illusionista, ballerino, spesso accanto a quei fenomeni da baraccone, riassunti alla perfezione dal concetto espresso in inglese di “Freak”.

La svolta arriva con l’incontro con un altro che arrivava proprio dal Kentucky, D. W. Griffith il futuro regista del controverso (ma fondamentale) “Nascita di una nazione” (1915), che gli affida il suo primo ruolo da attore in un film muto, guarda caso la parte di un becchino, perché quando uno nasce sotto il segno del macabro, vive e muore con esso. Trasferito ormai in pianta stabile in California, insieme a Griffith il nostro Tod lavora ad un’infinità di film, roba prodotta in catena di montaggio, mentre accumula piccole comparsate ed esperienza, quello che prima Browning faceva nei luna park, cominciò a farlo nel circo di Hollywood, almeno fino al giugno del 1915, quando con la sua automobile si schiantò contro un treno, a bordo con lui gli attori George Siegmann e Elmer Booth, quest’ultimo perse la vita nell’incidente, Browning ne uscì con una gamba rotta da cui non si riprese mai per davvero, come dalla consapevolezza di aver portato via una vita per le sue azioni. Per certi versi potremmo dire che in quell’incidente il nostro Tod perse anche il suo lato giocoso da intrattenitore, lasciando così quello macabro libero di agire.

Senza trucco (cinematografico) e senza inganno.

Questo forse spiega perché molte delle ossessioni di Browning, vennero riversate con tale forza nei suoi film, il sodalizio artistico con Lon Chaney non fece che amplificare la sua visione, il talento nel trasformismo di Chaney era il megafono con cui Browning poteva urlare quella sua fissazione per i corpi incompleti, spezzati e qualche volta amputati con cui era stato spalla a spalla nei circhi e che sono diventati il materiale del suo cinema. Due film, entrambi del 1927, mettono in chiaro questo punto, in “Il padiglione delle meraviglie” vanno in scena tronchi umani e teste mozzate, mentre proprio con Lon Chaney in “Lo sconosciuto”, uno dei personaggi si fa volontariamente amputare entrambe le braccia, questo chiarisce forse in maniera definitiva che per Tod Browning, “Freaks” non era un vezzo da eccentrico, ma il punto di arrivo di tutta la sua vita, non per forza solo artistica.

Tod nell’unico posto al mondo dove si sentiva davvero a suo agio.

Il successo enorme arrivò con Dracula, un film che Tod Browning girò con una mano sola (ah-ah) perché potremmo dire che lo considerava quasi esclusivamente lavoro, basta dire che “Drácula”, il film in lingua spagnola girato sugli stessi set, dal punto di vista della regia era ben più ispirato e Browning non ha fatto altro che replicare le scene dopo aver dato un’occhiata ai giornalieri di quella versione, la vera forza del suo film? Inutile girarci attorno, la straordinaria prova di Bela Lugosi. Eppure mentre James Whale lanciava il suo primo (di tanti) capolavori, nasceva il filone dei mostri della Universal, capaci di terrorizzare e portare in sala il pubblico in massa, una corsa all’oro da cui la MGM non poteva restare fuori.

Ricordandosi di aver avuto a che fare con Tod Browning quando propose loro di finanziare per il grande schermo il racconto “Spurs” di Tod Robbins, la MGM corse dietro al regista per chiedergli se era ancora interessato a quel progetto, una cosina con dei fenomeni da baraccone, insomma mostri, quello che vuole il pubblico no? Lo abbiamo visto anche qui sulla Bara: cosa fa un regista dopo aver diretto il film che lo ha portato alla vetta? Si butta anima e corpo sul progetto della vita, quello che teneva in un cassetto da sempre, per alcuni quel soggetto si rivela il massimo capolavoro, per altro un disastro. Per Browning “Freaks” è stato entrambi.

«Ma che bel bambino», «Signora ho 46 anni»

Del racconto originale “Spurs” resa poco o nulla, l’ambientazione in un circo itinerante in Francia e lo spunto dell’amore tra la bella “sfinge volante” (nessuna parentela con questa Bara) la trapezista Cleopatra e il nano Hans, raggirato dalla donna interessata più che altro ai suoi soldi. Quindi il racconto fornisce solo lo spunto di partenza a Browning per il suo film, per altro alla sua maniera, ovvero ottenendo dalla MGM di coinvolgere nella produzione dei veri freak. L’attore Sharry Earles che interpreta il ruolo di Hans aveva già preso parte in piccoli ruoli (non era una battuta di cattivo gusto, giuro!) in altre produzioni del regista, ma tutti gli altri erano esordienti che arrivano dai circhi come Peter Robinson “L’uomo scheletro”, le ragazze senza braccia Frances O’Connor e Martha Morris, le gemelle siamesi Daisy e Violet Hilton, passando per l’uomo torso Prince Randian, fino ai microcefali Zip & Pip (Elvira e Jenny Lee Snow) e Schlitzie, in realtà un uomo di nome Simon Metz, che indossava abiti femminili per facilitare lo svolgimento delle sue funzioni corporee, che già si esibiva in alcuni spettacoli, con un intelligenza paragonabile a quella di un bambino di tre anni, sapeva contare fino a dieci, recitare brevi filastrocche e fare un imitazione più che decente dello stesso Tod Browning, che sono sicuro lo stesso regista gli chiedesse sul set di fare più volte, perché durante le riprese nessuno aveva voglia nemmeno di dividere l’aria da respirare con il cast messo su dal regista, tranne Browning che fianco a fianco ai suoi fenomeni da baraccone forse, era l’unico posto dove si sentiva a casa per davvero.

Ecco perché quasi tutte le attrici contattate, inorridita, rifiutava la parte di Cleopatra, l’unica a accettare fu una con un discreto pelo sullo stomaco, Olga Baclanova era piaciuta particolarmente al regista, dopo averla vista recitare in “L’uomo che ride” (1928) e chissà perché non ho dubbi che Browning fosse interessato ad un film con un inquietante proto-Joker nella trama.

Come si fa a non trovarla tenerissima?

“Freaks” è ancora un film incredibile, abbonda di un umorismo nerissimo, ancora oggi ha scene che nel suo essere innocue strappano un brivido come Johnny che cammina sulle braccia sorridendo in favore di macchina da presa, che ogni volta mi regala un gillet di pelle d’oca, anche se poi sale la sua scaletta per accendersi una “paglia”. Ma superato il turbamento iniziale, anche grazie alla scena dove la signora mette in chiaro che per quanto deformi e strambi, i “Freak” del film sono il più delle volte solo dei bambini, il capolavoro di Tod Browning mette subito in chiaro di cosa abbonda e di cosa invece è privo: spietatezza per la prima categoria, compassione per la seconda.

Spietato perché “Freaks” non fa mai l’errore di ricadere nella dicotomia facilona dei normodotati tutti malvagi e dei mostri tutti buonissimi, uno scivolone che Browning lascia volentieri ai film moderni, quelli che hanno meno anni del suo capolavoro ma sembrano ben più vecchi da questo punto di vista. In “Freaks” per ogni normodotato bastardo ne arrivano altrettanti che sanno essere esempi positivi di convivenze, ma Browning è talmente intelligente e sensibile all’argomento, da non fare mai l’errore di rappresentare i suoi adorati mostri come dei santarellini nati sfortunati, saranno anche deformi ma sono esseri umani, con i loro desideri e i loro errori. Questa è la famigerata “inclusività”, quella vera, quella che oggi terrorizza qualcuno, quella di chi non giudica le persone sulla base del loro aspetto ma sa raccontarli come essere umani, con pregi e difetti.

Un bravo ragazzo ben vestito che ogni volta mi strappa un brivido.

Ogni volta che Hans cotto e stracotto di Cleopatra maltratta la povera Frida, se siete degli esseri umani, vi si spezzerà il cuore a ripetizione nel vedere le reazioni da amata tradita di Daisy Earles, eppure Browning non si limita a questo, ci sono momenti in cui il regista addirittura osa scherzare insieme ai suoi fenomeni da baraccone, scene tenere, gag comiche come il complicato matrimonio delle gemelle siamesi, di cui però solo una delle due è destinata a sposarsi, l’altra platealmente odia il suo nuovo il cognato. Perché Browning non ride dei suoi fenomeni di baraccone, al massimo la fa insieme a loro, scherza come farebbe chiunque con i suoi amici, trattandoli sempre come suoi pari. Ci sono film moderni che ancora questo fegato non lo hanno mostrato, infatti sono destinati a venir dimenticati dopo novanta minuti, altro che resistere come dei cult per novant’anni.

Il momento esatto in cui il punto di vista cambia è durante la celebre scena della festa, la cena in cui i freak comincia a sbatacchiare le posate cantilenando la loro «Gooble gobble l’accettiamo, una di noi una di noi!», se fino a quel momento Cleopatra aveva sempre guardato dall’alto al basso i “mostri” per la prima volta succede il contrario, anche da un punto di vista registico, visto che la coppa da cui bere tutti insieme le viene allungata simbolicamente dal nano, in piedi sul tavolo, quindi più in alto di lei. Qui Cleopatra sbotta, inorridita all’idea di diventare ufficialmente “una di loro” infrange l’unica regola, ovvero li insulta mancando loro di rispetto, e come ci spiega l’avviso all’inizio del film (inserito a forza dalla MGM, più tardi ci torniamo), se manchi di rispetto ad un freak, tutti gli altri lo vendicheranno.

Mio suocero alle feste in famiglia di solito finisce per fare anche di peggio (storia vera)

Di colpo Browning rivolta la frittata, i fenomeni da baraccone si prenderanno la loro vendetta e sarà terribile, nella versione integrale del film, le mutilazioni subite da Cleopatra, trasformata da “Sfinge volante” a starnazzante “donna gallina” venivano mostrare e anche il destino dell’irriverente Ercole (Henry Victor), che nell’epilogo del film veniva mostrato effemminato a cantare prendendo tutte le note alte, dopo essere stato castrato dalla furia dei freaks.

Ma la furia vera si scatenò durante la proiezione di prova organizzata dalla MGM, la leggenda narra di persone in fuga dalla sala, crisi di panico, vomito e addirittura una donna che avrebbe rotto le acque in sala (storia vera), tanti horror si sono fregiati di storie così nella loro narrativa, ma quello del vecchio Tod è stato tra i primi, e potete crederci perché “Freaks” ne uscì brutalizzato dalla casa di produzione: trenta minuti buoni restarono sul pavimento della sala di montaggio, purtroppo persi per sempre, sempre stando alla leggenda pare che uno dei dirigenti avesse lanciato la pizza con il nastro direttamente in acqua, fuori dalla finestra degli uffici della MGM.

La reazione dei dirigenti della MGM riassunta per immagini.

Come vi dicevo lassù, alla moda di Frankenstein, venne aggiunta una voce narrante impegnata a leggere un comunicato in apertura del film, per tentare di mitigare gli effetti. La brutalità finale viene tagliata, e del perdono di Frida ad Hans resta un abbraccio, infilato a forza prima dei titoli di coda eppure tutto questo non spegne le polemiche, Tod Browning l’eccentrico innamorato dei “Freaks”, come Cleopatra infrange l’unica regola di Hollywood: il suo film non incassa, quindi se sei ricco puoi permetterti di essere eccentrico, se non fai soldi sei solo strambo, un mostro da nascondere alla vista.

Browning dalle polemiche e dal tonfo al botteghino di “Freaks” non si è mai davvero ripreso, ma quando piove poi grandina, infatti nel tentativo di prendere le distanze dal regista, sono volate infamanti accuse di maltrattamenti sul set ad opera dei poveri protagonisti, niente di più falso ovviamente ma ormai Browning era stato condotto alla cinta daziaria di Hollywood, malgrado altre regie non ne avrebbe mai più fatto davvero ritorno, ormai bollato per sempre.

Una bella foto di gruppo, i più piccolini davanti!

Eppure nel corso dei decenni “Freaks”, l’opera di rottura, l’atto d’amore per i fenomeni da baraccone di Tod Browning è stato capito, nel corso degli anni fior fiori di registi hanno dichiarato il loro amore per questo film, uno tra tutti Tim Burton, da sempre uno che quando si parla di “poetica dei Freaks” ha sempre avuto due cosette da dire, almeno prima di impazzire perdendo il cervello. In epoca più recente anche American Horror Story ha reso omaggio al capolavoro di Browning, ma è stato negli anni ’60 e ’70 con l’esplosione della controcultura che questo film, sempre dal punto di vista degli ultimi della Terra è stato capito per davvero. Tra i suoi estimatori illustri nel campo della musica David Bowie e ovviamente di Ramones, la cui mascotte era un microcefalo (in gergo “Pinhead”) e il loro celebre grido di battaglia “Gabba Gabba Hey!” altro non era che una versione distorta, pensato per omaggiare il “Gooble Gobble” di questo film (storia vera), per altro ripreso poi ovunque, pensate anche a “The Wolf of Wall Street” (2013).

Se mai nella vita, anche una sola volta vi siete sentiti strani, non allineati, disadattati e qualcuno vi ha guardato dall’alto verso il basso per il vostro aspetto, è quasi sicuro che vi sarete di certo ritrovati nel capolavoro di Tod Browning. Personalmente non c’è stato un singolo momento nella mia vita in cui non mi sono sentito pronto a strisciare nel fango con loro, sotto le carrozze e tra la pioggia, ancora oggi quando lo rivedo mi fa lo stesso identico effetto, il più moderno, rivoluzionario e coraggioso vecchio classico della storia del cinema, quindi in alto i calici, tutti insieme: Gooble, gobble! Gooble gobble!

Sarei sempre pronto a strisciare lì con voi, sempre, sempre, sempre.

Sepolto in precedenza lunedì 7 febbraio 2022

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