Home » Recensioni » Freaks Out (2021): bello, sghembo, antifascista e Spielberghiano (cosa si può volere di più?)

Freaks Out (2021): bello, sghembo, antifascista e Spielberghiano (cosa si può volere di più?)

Che un po’ di sfortuna ronzi intorno ad un film con dei Freaks come protagonisti, ormai è quasi una tradizione cinematografica, l’eternamente rimandato ultimo lavoro di Gabriele Mainetti non fa tanta differenza, però fatemi capire bene.

Io sfrutto i potenti mezzi messi a disposizione dalla Bara Volante per mandarvi a vedere il film in anteprima alla mostra del cinema di Venezia e il vostro parere sul film è un sentito: «Mah, si bah, beh». Poi avete la fortuna di riuscire (bontà vostra) a vederlo finalmente in sala e il coro di commenti si solleva in un convinto: «See, si, boh, boff!», no davvero, ma come deve essere fatto un film per piacervi?

Scherzi a parte, questa Bara è più spiantata del circo Mezzapiotta dove si esibiscono i protagonisti del film di Mainetti, Venezia posso vederla sulla mappa, al massimo posso arrivare a Mestre, infatti mi sono perso anche il film in sala, oh ogni tanto capita anche a me di fumarmene qualcuno! Peccato perché ero molto curioso e mi sono bruciato l’esperienza, proprio per questo aspettavo “Freaks Out” e la sua uscita in home video per colmare la lacuna, posso dirlo? Tra tutti i film contemporanei visti di recente, questo è uno dei pochissimi che sarei pronto a rivedere anche oggi (storia vera).

Sono pronto per “Freaks Out 2” ma anche tre e quattro, tipo seguiti di Avatar.

Ha dei difetti, ma Grande Giove (cit.) si intitola quasi come uno dei migliori dischi di Frank Zappa, ci mancherebbe non avesse qualche problemuccio di nascita eppure detta fuori dai denti, questa è la tipologia di film che vorrei sempre vedere, badate bene non in uno strambo Paese a forma di scarpa, me ne frego di sventolare il tricolore o di esultare per la vittoria dei Måneskin, intendo proprio dire che un film così, russo, americano, greco o turco (dialetto romanesco a parte) rappresenta proprio la tipologia di film che guarderei sempre, il fatto che scritto diretto (e musicato) da un regista italiano con i piedi piantanti nella nostra storia e nel territorio, non fa altro che farmelo sentire più vicino, tutto qui.

Quello che non riesco a capire – anzi lo capisco ma mi sembra strano lo stesso – è come un film ben più difettoso (perché quel finale con il fiato corto e il budget terminato si notava fin troppo) come Lo chiamavano Jeeg Robot abbia fatto partite le capriole sulle mani a quasi tutti, con il solito sport nazionale del salto sul carro dei vincitori, con molti di colpo appassionati di “cinecomics” e film di genere, quando un film del tutto identico ma migliore sotto tutti i punti di vista come “Freaks Out”, abbia fatto partire questa coreografia di spallucce, tipo balletto della canzone dell’estate.

«Ma che stanno a fa?», «Non so, tipo spallucce… sono strambi questi cinefili»

Badate bene a me Lo chiamavano Jeeg Robot al netto del suo finale senza più spiccioli è piaciuto tanto, ma mi rendo conto che allora il giudizio generale sull’ultima fatica di Gabriele Mainetti sia solo dettato dalle aspettative, per un film atteso quasi due anni dopo il suo annuncio (anche causa pandemia) che avrebbe dovuto fare esattamente? Rivoluzionare il cinema italiano? Essere sperimentale e innovativo perché si intitola quasi come disco di Frank Zappa? Non lo so, so che i film vanno valutati sulla base di quello che sono e non di come li abbiamo immaginati noi spettatori prima di vederli, inoltre parliamoci chiaro, qualunque Freak alla fine non sogna di essere come tutti gli altri? Quindi trovo quasi logico che per raccontarci la sua storia di Freaks, Gabriele Mainetti abbia adottato soluzioni classiche, posso davvero criticare un ragazzo di Roma perché da grande vuole essere Steven Spielberg? Io!? Ma che scherziamo!

“Freaks Out” è un film che segue alla lettera la regola aurea dei seguiti: uguale al primo ma di più! Anche se la storia non ha nulla a che spartire con Lo chiamavano Jeeg Robot, la struttura di fatto è la stessa, abbiamo ancora una volta un romanzo di formazione, con dei personaggi dotati di poteri alla ricerca del loro posto nel mondo, per una trama che ha entrambi i piedi ben piantati sul territorio, quindi abbiamo di nuovo Roma e il romanesco (che ancora terrorizza una fetta di pubblico), inoltre abbiamo anche un cattivo, per altro scritto e recitato come gli Dei del cinema comandano, che non solo spesso ruba la scena ma pur essendo inequivocabilmente malvagio, ha un arco narrativo parallelo a quello dei protagonisti. Quindi lo spunto di partenza è lo stesso, solo che entra in gioco la regola aurea dei seguiti, quindi “Freaks Out” alza di molto la posta in gioco.

Le freak, c’est chic (Freak out!)

I protagonisti passano da uno a quattro, ad un certo punto nella storia vengono paragonati ai Fantastici Quattro, anche se per il modo in cui sono maledetti e benedetti dai poteri fin dalla loro nascita somigliano molto più agli Uomini-Pareggio, anzi se mi concedete una piccola parentesi nerd (mi dispiace vi tocca), potremmo dire che Fulvio (Claudio Santamaria che sprizza carisma da tutti i follicoli malgrado reciti con più peli addosso di tutti gli ZZ-Top messi insieme) è Bestia, Cencio (Pietro Castellitto) con la sua capacità di controllare gli insetti è Maggot, Mario il nano dai poteri magnetici (Giancarlo Martini) è un Magneto afflitto da un ritardo mentale mentre Matilde (Aurora Giovinazzo, una vera rivelazione) con i suoi poteri elettrici più che la figlia dello zio Fester con le sua lampadine, sembra proprio Fenice, anzi Fenice Nera, solo migliore delle precedenti incarnazioni cinematografiche del personaggio.

Gli Uomini-Pareggio di uno strambo Paese a forma di scarpa.

Mainetti in un trionfo dello “Show, don’t tell” su cui è basato tutto il cinema giusto, ci presenta il suo circo di protagonisti in un’unica inquadratura mentre sono intenti ad esibirsi, poi BOOM! (letteralmente) parte il momento alla “Salvate il soldato Ryan” (1998) con il bombardamento in soggettiva, i corpi sanguinanti a terra, l’acufene e tutto il resto, se volete divertirvi a scovare tutto lo Spielberg nemmeno nascosto nel film di Mainetti, mettetevi comodi perché avrete di che divertirvi.

Lo “Show, don’t tell” è applicato anche al cattivone di turno, vero specchio deformante dei protagonisti, il nazista orgoglio del Terzo Reich Franz (un Franz Rogowski splendido nel suo essere uno schifoso bastardo, il fatto che parli con un difetto di pronuncia udibile sia quando recita in italiano che in tedesco è un valore aggiunto notevole) con le sue sei dita per mano come l’Hannibal Lecter del romanzo originale è un pianista provetto, che invece di esibirsi per il Führer, ha conquistato così tanto credito da potersi permettere di girare l’Europa occupata con il suo lussureggiante circo di Freak (l’esatto opposto del circo Mezzapiotta dei protagonisti) conducendo esperimenti degni di Mengele alla perenne ricerca di quei Freaks che perseguitano i suoi sogni strafatti di etere, che porteranno il Terzo Reich alla gloria eterna.

«Nazisti… Io la odio questa gente» (cit.)

Insomma se al massimo della loro potenza i Nazisti potevano permettersi di cercare manufatti antichi in giro per il pianeta, perché non un circo per arruolare un esercito di super umani? Tutto questo Mainetti non lo racconto ma con perfetto controllo del mezzo cinematografico lo mostra, tra i disegni di Franz vediamo un moderno iPhone e sentirlo esibirsi al piano sulle note di “Creep” dei Radiohead (mai pezzo fu più inflazionato ma azzeccato per il personaggio) mette subito in chiaro il potere del personaggio, la sua capacità di vedere il futuro che lo renderà la Cassandra del Terzo Reich.

Quando poi il regista comincia a farli parlare i suoi personaggi, la sceneggiatura scritta a quattro mani con il sodale Nicola Guaglianone regala dei dialoghi (in romanesco, questo ormai lo diamo per assodato) che filano alla grande e ci fanno affezionare subito a questa banda di stramboidi, sempre seguendo la lezione di Tod Browning, ovvero il fatto che tu sia un Freak non fa di te in automatico un personaggio buono buonissimo: Mario si masturba come un quindicenne, Cencio è insopportabile e individualista (e anche con un igiene personale discutibile) mentre Fulvio consapevole della sua condizione di mostro, non si fa problemi a sognare di esibirsi nel circo Nazista, perché tanto uno come lui solo quello può fare, esibirsi per un pubblico pagante, almeno fino al momento in cui non capirà che il Berlin Zircus è la continuazione diretta degli orrori del partito Nazista.

You’re in the Berlin / You’re in the Berlin Zircus, I say welcome to the show (quasi-cit.)

Il cattivo Franz poi è caratterizzato allo stesso modo, un personaggio che a differenza dei protagonisti, le prova tutte per fuggire dalla sua condizione di Freak cercando di elevarsi, carismatico e degno di tutto il disgusto del pubblico, Franz è il personaggio attraverso cui Gabriele Mainetti riesce a mettere in chiaro che il suo “Freaks Out” è un film senza nessuna volontà di realismo, posso dirlo? Come dovrebbero sempre essere i film, se volete una cronaca precisa sulla Roma occupata, guardatevi un documentario.

Mainetti ci dà dentro con le trovate volutamente anacronistiche, quando hai un personaggio che come il Merlino di “La spada nella roccia” (1963) sa tutto del futuro perché può vederlo nelle sue visioni all’etere, puoi permetterti quasi tutto, anche fargli indossare una tuta dell’Adidas in stile Run DMC (però con svastica in bella vista), una trovata per altro brillante, visto che l’Adidas è un’azienda tedesca.

A.D.I.D.A.S. (All Day I Dream About Spielberg)

Il bello di “Freaks Out” è la sua capacità di coniugare un’ucronia con le esigenze della storia, quindi in questa atmosfera da favola per adulti, Mainetti riesce a parlarci di orrori veri, cosa fa più paura? Un energumeno con la faccia pelosa e il caratteraccio oppure un soldato nazista che durante un rastrellamento spara alle spalle ad un ragazzo con la sindrome di down? È più mostruoso Cencio che usa degli scarafaggi per formare una svastica (le metafore, quelle usate bene) oppure un treno pieno di ebrei deportati? L’inquadratura sulle valige lasciate a lato dei binari suggerisce del dramma dell’Olocausto più di mille parole.

In equilibrio perfetto tra storia e favola di super eroi sghembi, diventa quasi normale che i partigiani siano rappresentati come i ribelli di Guerre Stellari (non riesco a pensare a complimento migliore), guidati da un capo che sta a metà tra il Gobbo del Quarticciolo e un Klaus Kinski, anzi i suoi “Diavoli storti” forse avrebbero meritato anche più spazio.

«Gobba? Quale gobba?» (cit.)

Ogni personaggio in “Freaks Out” è un po’ Freak anche se non lavora in un circo, le trovate quasi fumettistiche (il cecchino senza un occhio, oppure Franz con la sua Lugher lunga due metri che sembra la pistola del Joker) si sposano bene con questa atmosfera in cui non ci viene raccontata la seconda guerra mondiale, ma sembrano tramandati i suoi orrori, in un calderone volutamente fittizio come dovrebbe sempre essere il cinema, infatti non è un caso se i personaggi parlano spesso citando altri film. Diventa normale quindi distrarre i soldati tedeschi urlando loro: «Nazisti? Giochiamo a fare la guerra?» anche se il migliore resta Fulvio, che ad ogni nazista che gli mette le mani addosso promette di ammazzarlo (facendo seguire le parole ai fatti) come un novello Joe Hallenbeck. No sul serio, come fate a lamentarvi di un film così?

Tipo Bruce Willis, ma con molti più capelli in più.

Difetti del film? La battaglia finale un po’ confusa? Non lo vedo troppo come un difetto perché comunque rende bene l’idea di come la guerra sia assurda, violenta e senza senso, forse il problema principale di “Freaks Out” è sempre lo stesso, un giorno mi comprerò dieci microfoni e comincerò a girare tutti i set sparsi lungo uno strambo Paese a forma di scarpa, proponendomi come fonico. Non è un problema di montaggio sonoro, ma proprio di audio dei dialoghi sempre troppo bassi rispetto alla musica e agli effetti sonori, questo molto più del romanesco è il vero difetto del film.

Gabriele Mainetti non solo riesce a fare gli X-Men con più amore per i personaggi di molti registi americani, ma riesce a rendere onore al cinema d’avventura, tenendo alta la tradizione dei film dove i Nazisti devono fare una sola cosa, essere i cattivi e morire male come Raiders comanda, la camminata verso il tramonto finale poi è l’ultima zampata dalla Spielberg di un film che ha dentro tutto quello che vorrei sempre vedere, vorrei dire al cinema anche se purtroppo in sala me lo sono perso, ma in ogni caso ci siamo capiti.

Vi avevo detto che Spielberg non mancava no? Anche il materiale promozionale lo sottolinea.

Ultima (piccola provocazione) prima di andare: ora che Guillermo del Toro si è dato al Noir e alla sua collezione di Oscar, possibile che sia Gabriele Mainetti a dover fare i film con i Fasci cattivi e i Freaks come protagonisti? Posso dirlo? Se anche fosse, questo tipologia di storia a metà tra i canoni del fumetto e i classici del cinema sono finite in ottime mani, però sono sicuro che se “Freaks Out” lo avesse diretto Guillermone, non avreste sollevato questo coro di «Mah, si bah, beh, see, si, boh, boff!», fate voi che sapete, io sono già pronto a rivedermelo anche subito un film così. Daje Gabriè!

Sepolto in precedenza giovedì 24 febbraio 2022

4 2 voti
Voto Articolo
Iscriviti
Notificami
guest
6 Commenti
Più votati
Recenti Più Vecchi
Inline Feedbacks
Vedi tutti i commenti
Film del Giorno

Mirtillo – Numerus IX (2025): Pampepato Fantasy

Non me ne vogliano i senesi o i ferraresi, ma per quanto mi riguarda, esiste una sola ricetta di Pampepato, quello giusto, quello ternano. Il Pampepato è un dolce della [...]
Vai al Migliore del Giorno
Categorie
Recensioni Film Horror I Classidy Monografie Recensioni di Serie Recensioni di Fumetti Recensioni di Libri
Chi Scrive sulla Bara?
@2025 La Bara Volante

Creato con orrore 💀 da contentI Marketing