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From Beyond – Terrore dall’ignoto (1986): gli esseri umani sono prede così facili

Iniziamo a fare sul serio questo venerdì, oggi andiamo davvero oltre, quindi mettetevi comodi e benvenuti al nuovo capitolo della rubrica… Stuart Gordon above and beyond!

H.P. Lovecraft e il cinema, argomento vasto e sempre in voga che prima o poi rispunta sempre perché oggi il solitario di Providence è il preferito di tutti, anche di chi non ha mai letto i suoi racconti, ma non è sempre stato così, altrimenti il buon vecchio H.P. non sarebbe morto solo e povero, no? La popolarità dello scrittore è cresciuta esponenzialmente anche grazie al cinema horror che ha spesso provato ad adattare le sue storie, ecco, provato, perché parliamoci chiaro, la prova di Lovecraft è anti cinematografica.

Lo scrittore di Providence scriveva di orrori tali da non essere concepibili per la mente umana, di colori (dallo spazio) fuori dalla gamma di quelli riconosciuti, suggeriva geometrie impossibili e tutta una serie di mostruosità perfette per la parola scritta che costringe il lettore a mettere in moto la fantasia, ma decisamente meno adatte al cinema, dove la narrazione viene portata avanti dalle immagini. Insomma, per pensare di adattare Lovecraft come si deve sul grande schermo devi essere pazzo, oppure devi essere Stuart Gordon.

In gita alle montagne della follia insieme a Stuart Gordon.

Dico sempre che il film più Lovecraftiano di sempre lo ha diretto John Carpenter, ma bisogna essere intellettualmente onesti, il Maestro non ha portato al cinema materiale scritto di pugno da Lovecraft, Il seme della follia ha qualcosa di Stephen King e molto di H.P. il risultato è magnifico e riuscito, ma è un modo di omaggiare Lovecraft in absentia, girando attorno al Grande Antico all’elefante al centro della stanza, perché inevitabilmente per portare Lovecraft al cinema qualcosa ti devi inventare che, poi, è quello che ha fatto Stuart Gordon.

Quando Brian Yuzna propose a Stuart Gordon di portare al cinema il racconto del 1922 “Herbert West rianimatore”, il regista di Chicago non lo aveva nemmeno letto, non perché non conoscesse Lovecraft, ma per il semplice fatto che i suoi racconti non erano così facili da reperire come possiamo fare oggi. A colpire l’immaginario di Gordon, oltre al racconto fu la possibilità concentrata di portare al cinema una versione personale del Dottor Frankenstein, da sempre una delle grandi passioni del regista stufo marcio di vedere sempre i soliti quattro vampiri al cinema (storia vera).

Uno dei tanti “mad doctor” del nostro Stuardo.

Re-Animator oltre ad essere stato un buon successo al botteghino, è stato per Gordon la possibilità di raccontare uno di quei “Mad Doctor” che tanto gli piacevano e che hanno popolato buona parte della sua filmografia, ma anche la concreta possibilità di fare con Lovecraft quello che Roger Corman prima di lui aveva fatto con i racconti di Edgar Allan Poe, anche per questo Re-Animator era stato un esordio fulminante, perché tracciava tutta la direzione che la carriera di Gordon avrebbe seguito in modo chiaro e netto, in questo senso “From Beyond” non solo prosegue lungo lo stesso solco già tracciato, ma come da titolo va oltre.

Pink, it’s my new obsession (cit.)

Squadra che vince non si cambia e in quello che non è un seguito, ma un modo per portare avanti un discorso cinematografico, vale un po’ la regola aurea dei seguiti: uguale, ma di più. Infatti, buona parte del cast da entrambi i lati della macchina da presa resta lo stesso di “Re-Animator”, tornano l’attore feticcio di Gordon, Jeffrey Combs, ma anche la bellissima Barbara Crampton, la produzione è sempre affidata a Brian Yuzna che scrive la sceneggiatura insieme a Dennis Paoli e lo stesso Stuart Gordon, questa volta, però, l’ispirazione arriva dal racconto breve (anzi brevissimo) di Lovecraft intitolato “Dall’ignoto” pubblicato per la prima volta nel 1934.

Oltre a rispettare lo spirito della “Regola aurea dei seguiti”, sapete perché mi piace tanto Stuart Gordon? Per molte ragioni, innanzitutto è uno pane e salame, con una tecnica sopraffina e ben pochi grilli per la testa, è rimasto sposato con la stessa donna tutta la vita e ad una villa a Malibu (o sul lago di Como), ha sempre preferito un buon horror, inoltre, se per mantenere bassi i costi di produzione bisognava andare che so… A girare in Italia? Ben venga, infatti “From Beyond” è il primo di tre film girati dal regista di Chicago in uno strambo Paese a forma di scarpa, perché in fondo quello spirito da compagnia teatrale itinerante con cui Gordon ha iniziato, non lo ha mai perso per davvero. Ecco perché “From Beyond” è stato girato poco fuori Roma, tutto in interni, al costo totale di un paio di milioni di fogli verdi con sopra facce di ex presidenti defunti, Brian Yuzna ha sempre dichiarato che un film così negli Stati Uniti, sarebbe costato attorno ai 15 milioni (storia vera).

Tranquilli, le scene d’interni di questo film, torneranno di moda anche la prossima settimana (vedere per credere)

Un’altra ottima ragione per cui vado pazzo per il cinema di Stuart Gordon è che i suoi film sono il perfetto esempio di quello su cui sproloquio sempre (i famigerati cinque minuti iniziali di una pellicola che ne determinano tutto l’andamento), Gordon ha sempre reso il prologo di ogni suo film qualcosa di magnetico, forse anche per via della sua esperienza in tv con serie come “E-R medici in prima linea”, sta di fatto che molti film del buon vecchio Stuardo iniziano con quelli che sul piccolo schermo vengono definiti “Cold open”, l’inizio a freddo, la scena prima della sigla del telefilm che deve convincere lo spettatore a guardarsi tutta la puntata, pubblicità comprese.

Esattamente come Re-Animator, anche “From Beyond – Terrore dall’ignoto” (perché il sottotitolo rafforzativo è come il caffè, in Italia non manca mai) inizia con una scena drammatica e tiratissima: Crawford Tillinghast (Jeffrey Combs) vive e lavora in un maniero al civico numero 666 (perché l’ironia con Gordon non manca mai) insieme al famigerato dott. Edward Pretorius (Ted Sorel) piuttosto differente rispetto al racconto di Lovecraft che prende il nome da un personaggio del film “La moglie di Frankenstein” (1935). I due scienziati conducono esperimenti con un macchinario chiamato risuonatore, una sorta di enorme diapason in grado di sollecitare la ghiandola pineale, quella che Cartesio chiamava il terzo occhio, l’organo in grado metterci in contatto con i mostri che vivono in una dimensione adiacente e sovrapposta alla nostra, noi non possiamo vederli e loro non possono vedere noi, la macchina permette di fare quel passo alla scienza che nei racconti di Lovecraft il più delle volte si risolve in tragedia.

«Ahia! A me nemmeno piace la scienza! Io preferivo l’ora di ginnastica!»

Il risuonatore una volta acceso fa entrare nel nostro mondo queste creature per nulla rassicuranti, delle sorte di anguille falliche spettrali, che svolazzano in aria emanando un colore rosa intenso che anni dopo, un altro regista alle prese con un adattamento Lovecraftiano come Richard Stanley, avrebbe citato uguale identico nella stessa tonalità, perché per certi versi ad aprire la porta agli orrori del solitario di Providence al cinema è stato proprio il dott. Gordon, tutti gli altri lo hanno seguito.

Le creature fucsia sono tutto tranne che pacifiche, prima dei titoli di testa in cui l’uso del genitivo sassone (H.P. Lovecraft’s From Beyond) conferma le intenzioni di fedeltà di Gordon, il dramma si consuma, Pretorius viene portato dall’altra parte da quelle cose e ovviamente causa intervento dei vicini impiccioni, nessuno crede alla delirante verità di Tillinghast, trascinato nel più vicino manicomio urlando come da tradizione. Non so voi, ma ho visto horror iniziare in maniera meno tirata ed interessante di questo.

Lo sguardo spiritato di Jeffrey Combs, quello che ti aspetteresti da un personaggio uscito da un racconto di Lovecraft.

Le cure della rigida dott.ssa Bloch (Carolyn Purdy-Gordon moglie del regista con cognome citazionista) non sembrano sortire effetti, quindi viene invocata la consulenza della dott.ssa Katherine McMichaels, interpretata da una Barbara Crampton con capelli legati, occhialoni alla Romero e camicetta abbottonata fin dietro le orecchie, un canone cinematografico che tenta di far passare per, non dico sciatta, ma almeno canonica una bellezza come la Crampton, ma che ci fa anche intuire che da lì a poco la dottoressa non sarà per forza sempre così morigerata nel vestire, più avanti ci torniamo, so che state aspettando quel momento, un po’ di contegno!

Barbara “mi manca solo il berretto di lana” Crampton (versione invernale)

Se Gordon ha imposto il fucsia come colore Lovecraftiano, ci tengo a sottolineare che la camminata della dottoressa davanti alle celle dei vari pazienti della struttura, compresa quella dove uno di loro è… Beh, diciamo impegnato in attività onanistiche, ha anticipato di cinque anni buoni la scena quasi identica di “Il silenzio degli innocenti” (1991), libro compreso, visto che Thomas Harris lo pubblicò nel 1988. Questo giusto per ribadire, come vedremo nel corso della rubrica, che il talento di anticipatore di tutto il cinema giusto di Gordon, è stato ampiamente sottovalutato.

Per dimostrare la teoria del delirante Tillinghast per cui Pretorius non è morto, ma solo andato “oltre”, si va tutti nel maniero al civico 666, questa volta con il supporto del poliziotto Buford ‘Bubba’ Brownlee (il leggendario Ken Foree). “From Beyond” è puro Lovecraft nello spirito, ma raccontato con lo stile sanguigno, intelligente e diretto di Stuart Gordon, per certi versi è la prova perfetta a supporto della tesi per cui se vuoi adattare Lovecraft al cinema, in qualche modo devi tradirlo. Il buon Stuardo dimostra ancora una volta dopo Re-Animator, di essere come quegli studenti che magari in classe hanno l’aria un po’ distratta, ma una volta chiamati alla lavagna dimostrano di aver davvero appreso la lezione, perché gli altri registi davanti all’impresa di adattare Lovecraft al cinema provano a ripetere come pappagalli fallendo, Gordon invece fa sua la materia, la modifica (anche molto) tradendola, ma riuscendo a coglierne in pieno l’essenza.

La ricordavo un po’ diversa la Scooby Gang.

Parliamoci chiaro: la vita di Lovecraft è stata assurda, meritevole di una biografia cinematografica, parliamo di uno che ha avuto un rapporto difficile con il sesso e con l’altra metà del cielo, perdonate il largo giro di parole, perché sono stato magnanimo su questo concetto. Persino qualcuno leggerissimamente più competente di me in tutto, ovvero Alan Moore, quando si è messo in cammino sulla via di Providence, ha ironicamente (all’inizio) sottolineato come tutti quei tentacoli e quelle schiume salate descritte da Lovecraft nei suoi racconti, fossero metafore chiare di un rapporto più che distorto con il sesso.

«Comincia un mondo diverso, ma fatto di sesso, chi vivrà vedrà», «Ok, però rimettiti le mutande»

Lovecraft scriveva di orrori impossibili da descrivere, bandiva il sesso dalle sue storie e di certo non era un amante delle deformità della carne trasformata, almeno non raccontate in maniera diretta. Stuart Gordon, invece, abbonda con Eros e Thanatos (che giova ricordarlo, non è un cattivo della Marvel), ci dà dentro con il “Body Horror” più spinto e non tira mai via la mano quando è il momento di mostrare i dettagli più estremi e raccapriccianti, insomma tratta le storie di Lovecraft come il solitario di Providence non avrebbe fatto mai e centra il bersaglio in pieno, perché la lezione va capita, assimilata e rielaborata, Gordon ci è riuscito perfettamente.

Ecco perché i personaggi in “From Beyond” vivono di una sessualità distorta e latente, che il risuonatore fa emergere, trasformandoli tutti in esseri famelici, ad esempio Tillinghast e Pretorius all’inizio del film sono quasi impotenti, in modo diverso perché il secondo amava invitare belle donne nel suo maniero, solo per torturarle con legacci e fruste di pelle (questo spiega il video che tanto sconvolge la morigerata dottoressa interpretata da Barbara Crampton), mentre Tillinghast durante questi giochi erotici che somigliano più a torture che a gioie del sesso, resta impotente ed inerme ad ascoltare le urla di dolore senza intervenire, perché Pretorius è fondamentalmente un sadico che gode nel provocare dolore (in particolare a belle donne), mentre Tillinghast passivo e remissivo subisce in silenzio. Se non è un modo per portare i personaggi in sessuali e malsani territori questo, allora non saprei proprio come un film potrebbe andare più “oltre” di così.

Christian Grey e la sua stanza rossa… MUTO!

Il risuonatore nuovamente in azione porta tutti i personaggi nel fucsia mondo celato appena sotto la soglia del nostro, un luogo sinistro dove Pretorius è stato trasfigurato in un grottesco mostro, la sua vera natura resa carne ed estremità pseudo falliche, perfetta rappresentazione del Thanatos di cui sopra, reso molto bene dagli effetti speciali orgogliosamente artigianali di John Carl Buechler e William Butler.

Ehi tu porco levale le mani di dosso (cit.)

L’eros, invece, è rappresentato da Barbara Crampton, se in Re-Animator Stuart Gordon era bravissimo a bilanciare l’umorismo nero e un senso di orrida repulsione, quando il corpo nudo della Crampton subita l’aggressione della lasciva testa parlante, qui si va davvero oltre (che poi è il tema del film): le dita deformi e orribilmente lunghe di Pretorius sul corpo della bella dottoressa sono attrazione e repulsione, sono sesso e orrore nella stessa sequenza, un modo perfetto per adattare sul grande schermo e rendere per immagini, quel senso di malsano che Lovecraft sapeva suggerire alle menti dei lettori con la sua prosa. La lezione Lovecratiana applicata, Gordon dieci in pagella, puoi tornare al suo posto grazie.

Gli effetti del risuonatore cambiano i personaggi, se la voracità sessuale di Pretorius è sempre stata sadica (anche quando era un mostro solo interiormente), anche gli altri personaggi ne escono cambiati, questo spiega come mai in “From Beyond” abbondino così tante scene dedicate al cibo, perché i morti non mangiano e non fanno sesso, quindi questi due elementi sono una prerogativa di noi viventi, trasformarli in qualcosa di grottesco e “sbagliato” è il modo che Gordon utilizza per portare in un distorto mondo Lovecraftiano sovrapposto al nostro e invisibile, almeno fino al momento in cui quella fatidica porta tra le dimensioni non viene aperta.

Delicate metafore sessuali che avrebbero fatto venire una sincope al vecchio H.P.

Ken Foree chiede ai suoi compagni come facciano a mangiare dopo quello che hanno visto, però poi si sofferma a cucinare per tutti il suo piatto speciale, nel 1986 non esisteva il contemporaneo concetto di “Food porn” (perché l’itanglese è la lingua principale parlata in Italia), la mania moderna di fotografare piatti, riempire i palinsesti di persone che cucinano e affondano (pornograficamente) i denti nelle loro portate, quindi per certi versi Gordon ha saputo anticipare anche questa bizzarra abitudine umana, una società dell’apparenza perennemente a dieta che ha nel cibo la più grande delle tentazioni.

«La mia non è proprio fame, è più voglia qualcosa di buono»

Tutti i personaggi diventano schiavi delle loro voracità, Barbara Crampton dall’esperienza non viene cambiata nel corpo (sarebbe stato un crimine), ma nella mente sicuramente, ecco perché in una scena ci fa capire di essere stata colpita nel profondo dai sadici filmini di Pretorius, finendo per indossare abiti in lattice nero da dominatrice sessuale, appartenuti ad una delle amanti (ma sarebbe più azzeccato definirle vittime) del dottore, una scena che, sono sicuro, ha fatto terminare più di un’infanzia facendo cominciare parecchie adolescenze, visto che il corpo di Barbara Crampton era un po’ il motivo per cui questo film passava spesso in seconda serata su vari canali minori anche qui da noi (storia vera).

Barbara “You can leave your hat on” Crampton (versione estiva)

Tillinghast, invece, viene decisamente trasformato nel corpo, seguendo il solco del suo mentore esprime la sua voracità con il cibo (tutto considerato che tra i due scienziati, lui era il più remissivo). Inutile girarci troppo attorno: quella specie di antenna che gli spunta dal centro della fronte è l’ennesimo elemento fallico con cui Gordon omaggia la mania dei tentacoli di Lovecraft, ma Tillinghast cerca di placare la sua malsana fame con il cibo, trasportato in ospedale lo vediamo cercare ancora di nutrirsi con del cibo per umani rubato da un carrello per le pietanze, anche se ormai il personaggio è andato troppo oltre e per placare la sua fame, avrà bisogno di una tipologia di cibo del tutto differente.

Ho la sensazione che non sia vegetariano.

Stuart Gordon preme a tavoletta sul pedale del “Body Horror”, facendo quasi della pornografia delle carni mutate, dei corpi deformati o avvolti nel latex, Lovecraft davanti a qualcosa di così esplicito probabilmente si sarebbe rifugiato nella sua soffitta a scrivere lettere inorridite ai suoi amici di penna, ma quella sensazione malsana, sbagliata di personaggi che si sono spinti troppo oltre che Lovecraft sapeva raccontare attraverso le parole, Stuart Gordon ha saputo trasformarla in carne, sangue e in definitiva, puro cinema.

Perché, citando la frase di lancio del film (tanto efficace che ho voluto omaggiarla nel titolo del post), quando si parla di malvagità, gli esseri umani sono prede così facili e Stuart Gordon con il suo cinema ha sempre saputo raccontare le storture e il lato più grottesco dell’umanità. Ma tranquilli, siamo solo all’inizio, ci saranno ancora tanti finale neri come quello di “From Beyond”, tanti altri dottori folli ispirati a Frankenstein e soprattutto tanto altro H.P. Lovecraft, oggi ci siamo spinti oltre, ma questa rubrica è solo all’inizio, tra sette giorni affronteremo un altro orrore, spero non abbiate paura delle bambole.

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