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Fuga da New York vol. 2 – Ritorno a Manhattan: Continuavano a chiamarlo Jena

Si lo so che il
seguito ufficiale di quel capolavoro di 1997 Fuga da New York è quell’altra discreta bomba di Fuga da Los Angeles (non accetto discussioni in merito! Anzi si, parliamone
nei commenti!) ma la Cosmo Editore sta portando in questo strambo Paese a forma
di scarpa un po’ di fumetti dedicati a Jena Plissken, cosa che non può che
farmi molto piacere!

Il primo volume presentato dalla Cosmo
diciamolo, non era tutto pesche e crema, l’autore Christopher Sebela dava
l’impressione che i film di Carpenter li avesse giusto visti in cartolina,
purtroppo ritroviamo questo losco figuro anche al timone di questo secondo
volume, che se non altro prova a correggere un pochino il tiro riportando Plissken
(chiamami Jena!) dove lo abbiamo incontrato la prima volta, ovvero nell’isola
prigione di New York.
All’inizio
dell’albo il nostro anti-eroe con la benda preferito (Capitan Harlock STACCE!)
si trova in Canada, ma dopo aver velocemente evitato (a revolverate) l’attacco
di un paio di sicari del Duca di New York, il nostro decide di fargliela pagare
dandogli la caccia proprio nel suo territorio, dietro le mura della prigione.
Ora, già la
premessa scricchiola lo so, voi direte, ma il Duca non era morto alla fine del
primo film? Certo infatti è proprio così, quello che non capisco è come mai uno
con il carattere di Plissken decida di mettersi nei guaio da solo, solo per una
cosetta come una vendetta trasversale, da cui per altro è uscito senza un
graffio, senza nemmeno dover ricorrere al vecchio trucco del barattolo, “Come
si fa a Bangkok” (cit.).


Figo vero? Ecco non abituatevi perché nella versione Cosmo i colori non ci sono.

A New York hanno
un nuovo Duca, che si agita e parla come quello vecchio, con tanto di
tormentone “Sono il numero uno!”, anche se non somiglia per niente al mitico
Isaac Hayes. Esattamente come nel primo volume, Christopher Sebela si gioca nuovamente il trucchetto di riportare
in scena un personaggio importante del film, in un ruolo del tutto diverso.

Si tratta del
Presidente, «Il Presidente di che?» (cit.) Il Presidente degli Stati Uniti
d’America caduto in disgrazia e tornato in auge come nuovo Duca di New York, vi
avevo detto che la premessa era scricchiolante no? Il disegnatore Maxim Simic
con il suo tratto abbastanza grezzo ma efficace riesce a rendere piuttosto
riconoscibile il mitico Donald Pleasence, però davvero leggendo la storia non
riuscivo a prenderla sul serio, due volte lo stesso trucco caro Sebela? No, questo
proprio no dai.
Ci sarebbe il
piccolissimo problema di ENTRARE a New York per continuare con lo strampalato
piano, poiché il Gullfire è ancora parcheggiato sul tetto del World Trade
Center. Sebela deve inventarsi un modo per far sorpassare il muro a Jena,
quindi pensa bene di farglielo letteralmente saltare con un auto per i numeri
da Stunt. Cosa vi devo dire gente? Voi ed io lo sappiamo che la sorveglianza
sul muro farebbe saltare l’auto a mezz’aria, ma Sebela i film di Carpenter mica
li ha visti, fa quello che può poveretto.


Quello che vorresti fare allo sceneggiatore se ti capitasse per le mani.

Se non altro una
volta iniziata questa stramba storia, Christopher Sebela cerca di portare il
suo contributo alla popolazione locale, non ho trovato troppo male l’idea che
la comunità dei nativi americani imprigionati nel carcere, fondasse una specie
di nuova tribù, capace di riempire il vuoto di potere tra la caduta del primo
Duca e l’arrivo del secondo.

Peccato che il
finale sia nuovamente frettoloso e poco credibile, i sogni di gloria del nuovo
Duca finiscono male e la prima storia del volume non vola, nemmeno quando
Sebela pensa di inventarsi un (Sigh!) auto volante, fatta con i pezzi del
vecchio Gullfire. No sul serio ancora qualcuno non è convinto che Fuga da Los Angeles fosse una bomba!?
Nella seconda
storia Sebela tenta un colpo ancora più difficile, ovvero trasformare Snake Plissken
in una specie di (Old man) Logan, il
nostro si lascia crescere la barba e vive solo come un cane, anzi! Vive solo
con un cane, una vita lontano da tutti. Può durare davvero? Figuriamoci!
Infatti il passato ritorna sotto forma di alcuni tizi armati che assediano casa
di Jena. Appena ho capito che un assedio era nell’aria, ho cambiato posizione sulla poltrona mentre leggevo, peccato
che Christopher Sebela riesca a risolvere senza molta enfasi nemmeno un
assedio, ma vi rendete conto?! Uno dei temi portanti del cinema di Carpenter! No guarda Chris, di male in peggio
proprio.


Ain’t indicative of my place, left the porch, Left the porch, oh oh oh (Cit.)

Per tentare di
recuperare Sebela pesca ancora a piene mani dai film di John Carpenter, sposta
tutta l’azione a Cleveland, introducendo anche il personaggio del traditore di
nome Malone, che qui è ancora un uomo a tutti gli effetti, quindi prima di
cambiare sesso diventando la Pam Grier di Fuga da Los Angeles. Che poi anche l’idea di vedere Jena alle prese con ciò che
resta della costituzione americana, il famoso “Bills of rights” poteva anche
essere una buona idea, ma a quel punto della lettura ormai la noia aveva già preso
il sopravvento.

Lo Snake Plissken
di Christopher Sebela parla troppo, non somiglia davvero molto al personaggio
cinematografico che tanto amiamo noi Carpenteriani, ma in generale tutta questa
trama risulta frettoloso e ben poco avvincente. Sarebbe stato molto meglio
raccontarci per bene quella famosa “Fuga da Cleveland” che Giovanni Carpentiere
aveva solamente accennato all’inizio di Fuga da Los Angeles.
Non so voi, ma io
ho fantasticato su quella missione finita drammaticamente male e terminata con
il tradimento di Malone per qualche ora delle mia vita. Quella è una storia mai
narrata di Jena che mi piacerebbe conoscere, invece Sebela non osa mai e il
risultato è davvero poco memorabile.


Nemico pubblico numero uno.

Non bastano
quattro strizzatine d’occhio a farmi contento, inutile che Sebela si diverta a
suggerire che a fine volume, Jena Plissken sia finito a fare il lottatore in un
arena (mai mostrata per altro!) con il soprannome di “La sagoma”. Perché uno
che va in giro ringhiando a tutti “Call me Snake!” improvvisamente dovrebbe
farsi chiamare “La sagoma”? Perché ha iniziato una carriera di cabarettista e
tutti gli dicono «Sai che sei una sagoma?».

Una trovata
talmente scema che anche la Cosmo ha cercato di mimetizzare, traducendo con “La
sagoma” l’originale “The Shape”, che ai Carpenteriani (e non solo) dovrebbe ricordare qualcosina.
Insomma, citando
proprio Plissken (chiamami Jena!): Erano anni che non vedevo New York.

Spero invece che sia
Christopher Sebela a non vedere più i personaggi creati da Carpenter, che
evidentemente non sa proprio come scrivere o gestire. Chris! Di corsa a
ripassare i film del Maestro, iniziamo con dieci Essi Vivono, così, per scaldare i muscoli.
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