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Fuga dal pianeta delle scimmie (1971): il paradosso dello scimmionauta

“Fuga” e “Scimmie” nello stesso titolo, come fare felice il Carpenteriano e lo Scimmiofilo in me in un solo colpo, con il film di oggi della rubrica… Blog of the Apes!

Scimmia se vince non si cambia, e anche se non vince, sfornando forse il più brutto sequel della storia del cinema, non si cambia lo stesso! Chiedetelo al produttore Arthur P. Jacobs, che forte dei non proprio scintillanti (ma comunque in positivo) dati del box office del secondo capitolo, ha inviato un telegramma allo sceneggiatore Paul Dehn con su scritto “Apes exist. Sequel required.” (Storia vera!), ok che nei telegrammi si pagava a numero di caratteri, ma forse Jacobs lo ha dettato alla segretaria pensando di essere a sua volta uno scimpanzé.

Paul Dehn, invece, di venir licenziato per la sua precedente sceneggiatura, si mette subito al lavoro, con una direttiva di scuderia ancora più chiara: spendere il meno possibile. D’altra parte se il tuo produttore risparmia sui caratteri dei telegrammi, figuriamoci per i film!
Sullo stesso principio, viene chiamato il regista Don Taylor, che in virtù della sua lunga gavetta in tanti film per la televisione, è l’uomo giusto per dirigere la saga di punta della 20th Century Fox, no? Quando pensate che le Major facciano pessime scelte solo ora, adesso potete ricredermi, in realtà non hanno mai smesso!

Hai ragione Cornelius, siamo “Gente cattivi”!

“Fuga dal pianeta delle scimmie” è in tutto e per tutto un film quasi di stampo televisivo, per fortuna questa saga ha sempre saputo mantenere una certa continuità estetica, di attori cast tecnico coinvolto, da non andare troppo sotto e dopo quella porcheria di Beneath the Planet of the Apes, se non altro, sembra un film, che tutto sommato, si lascia guardare.

Il grande merito di Paul Dehn, non è certo quello di aver firmato delle grandi sceneggiature (proprio no), ma cercando di accontentare il pubblico, ha puntato l’ago della bilancia di questa saga in direzione “Scimmie”, il primo film era tutto raccontato dal punto di vista dell’umano Charlton Heston, da qui in poi la saga prende le parti dei primati, un modo palese di simpatizzare che ricorda quello di zio George A. Romero con i suoi amati Zombie.
Anche se il film è del 1971, la storia è ambientata un paio di anni nel futuro, nel 1973, la scena di apertura è nuovamente la spiaggia resa celebre dal finale (mitologico) del primo film, ancora una volta vediamo la stessa nave spaziale utilizzata da Taylor precipitare in acqua e con questo sono tre film su tre che una nave centra in pieno l’acqua, una percentuale di realizzazione degna di Steph Curry, che mi fa capire anche perché la chiamano NAVE spaziale.

«Un piccolo passo per uno scimpanzé, un grande passo per la scimmiosità»

Dalla bagnarola nave spaziale scendono tre astronauti, che davanti all’esercito degli Stati Uniti schierato, si tolgono gli elmetti rivelando la loro vera identità, sono tre scimmie, anzi, tre scimmionauti! (Ape-o-nauts in originale). La scena è veloce e realizzata con mezzi decenti, infatti risulta un inizio davvero niente male, che entra dritto sparato tra le scene più memorabili della saga, ha la forza di un finale a sorpresa di un episodio di “Ai confini della realtà”, da qui in poi il film tende ad andare parecchio sotto l’equatore, ma l’inizio mi è sempre piaciuto.

La reazione dei militari è senza senso, un paio di facce stupite (ma nemmeno poi tanto) e poi il fatto che gli Scimmionati indossino dei vestiti (tirati fuori da una borsa da vecchia signora, eh vabbè!) sembra del tutto normale, non so voi, ma io non avrei mai dato coltello e forchetta ad una specie misteriosa e palesemente evoluta, chiamatemi paranoico.
Non vedo, non sento, non parlo… Però mangio!

Le scenette in cui il Dr. Lewis Dixon (Brad Ford Dillman) e la Dr.ssa Stephanie Branton (Natalie Trundy, unica attrice insieme a Roddy McDowall a comparire in quattro seguiti della saga) servono giusto a far simpatizzare il pubblico per il trio di scimpanzé, Zira che strizza l’occhio ai suoi facendo finta di non saper parlare è una palese dichiarazione d’intenti.

L’idea di rendere Cornelius (di nuovo interpretato dal mitico Roddy McDowall) e Zira (Kim Hunter) assoluti protagonisti non è affatto una brutta idea, diciamocelo chiaramente: i due scimpanzé hanno sempre rappresentato (serie TV compresa) i due personaggi con cui anche il pubblico poteva identificarsi, bisogna dire, però, che Zira in particolare, non brilla proprio per simpatia, di fatto incarna tutte le caratteristiche della moglie rompiballe, se fossero talpe e non scimmie, sarebbero Enrico e Cesira delle strisce di “Lupo Alberto”.
Gli eventi della vita reale, hanno avuto effetto sulla trama del film, ad esempio, quando Zira rompe il silenzio urlando “Because I loathe bananas!” deriva da un tormentone nato sul set del primo film, dopo quattro ore di seduta per indossare il bellissimo make-up da scimmia creato dal grande John Chambers, gli attori si tenevano su la maschera anche per mangiare, certo, non cene luculliane visto che la maschera limitava i movimenti del viso, roba semplice, tipo la frutta (storia vera), la reazione alla Johnny Stecchino di Kim Hunter deve aver creato così tanta ilarità da trovare spazio anche in questo film è non facciamo battute facili sulle banane ok, dai, troppo scontata su!

«Sei più banale dell’allusione sessuale sulle banane» (Cit.)

La morte del terzo Scimmionauta, il Dottor Milo, invece, è stata dettata dal fatto che l’attore Sal Mineo, convinto di lanciarsi in una lunga carriera da scimmia cinematografica come Roddy McDowall, si è scontrato con la realtà della scomodità della maschera che davvero non riusciva a sopportare (storia vera) licenziato in tronco è anche stato eliminato dalla storia da Paul Dehn, con una svolta ben oltre il ridicolo: il gorilla assassino nella gabbia accanto (con tanto di montaggio di animali urlanti preso dal National Geographics, e vabbè!) sembra quello di Una poltrona per due, con i FACCIAPALMO al posto delle risate.

‘Cause every girl crazy ‘bout a sharp dressed man monkey.

In qualche modo, però, la coppia di protagonisti funziona, fin dalle mie prime bimbo-visioni del film, mi ha sempre fatto ridere la risposta di Cornelius allo stupito giudice che gli chiede “Anche tu parli?”, “Solo quando lei me lo permette”, in qualche modo rende i due personaggi dei Sandra e Raimondo scimmieschi.

La parte che funziona meno è sicuramente quella che io chiamo “Fase Vogue” dei personaggi, che in poco tempo diventano due celebrità, due VIM (Very Important Monkeys) che sfilano con bei vestiti, oddio belli, la vestaglia color “Un estate al mare, stile balneare” di Cornelius è un pugno in un occhio!
Nessun ombrellone è stato maltrattato per realizzare questa vestaglia.

Non aiuta nemmeno la caratterizzazione del cattivo, Dr. Otto Hasslein (Eric Braeden) TeTesco di Cermania, personaggio già citato brevemente nel film precedente, qui caratterizzato come un proto-Nazista con gran pigrizia da parte di Paul Dehn.

Pigrizia e ben poca cura in fase di scrittura, perché il film è pieno di momenti “MACCOSA”, ad esempio, non è mai davvero chiaro perché questo cattivo cattivissimo, sia così ossessionato dal sapere il destino della Terra tra duemila anni, anche se scoprisse che il pianeta è esploso, cosa potrebbe mai fare per impedirlo? Organizzare un giro-giro-tondo per far diventare tutti amici i popoli della Terra?

«Zei Zimpatico caZZidy Zarai il primo ad andare a fare la doccia»

Inoltre, Paul Dehn perde un sacco di tempo a parlarci di cose inutili (i dettagli dell’interrogatorio a Zira) e nemmeno un minuto a spiegarci come, un gruppo di scimmie provenienti da un Medioevo prossimo venturo, siano riusciti a riparare l’astronave di Taylor, a capirne il funzionamento e a guidarla indietro nel tempo, un attimo prima che la Terra venisse distrutta dall’RAZZO nel finale di quel film del Razzo precedente. E’ evidente che sia successo questo, ma è una deduzione che viene lasciata agli spettatori, perché l’unica vera spiegazione, la scena in cui i tre scimmionauti guardano il mondo esplodere dall’oblò (annoiandosi un po’) della nave spaziale in volo, è stata tagliata perché considerata troppo costosa da girare (storia vera).

In tutti questi pasticci, come dice Lucius Etruscus, evidentemente Paul Dehn deve aver letto il romanzo originale di Pierre Boulle, decidendo di ripescare l’idea della rivoluzione, quindi Cornelius racconta la grande storia di come dopo la morte di tutti i cani e i gatti del mondo, l’uomo adottò le scimmie prima come animali domestici e poi come servitori, da qui in poi, il passo che porta alla rivoluzione è breve, con grande trasporto Roddy McDowall/Cornelius ci racconta quella che sarà la trama del prossimo film, spiegandoci chi, mai, spezzerà, le nostre catene? Chi da quest’incubo nero ci risveglierà? Chi mai potrà? Un prescelto, la scimmia che disse no agli umani e come si chiama questo eroe? Avrà un nome figo tipo Ken Shiro? Hiroshi Shiba? Neo? Aspettate ci sono… John Connor! No niente, ancora meglio! Il prescelto che guiderà le scimmie si chiama… ALDO!

«Maaaaaria! Adesso anche il mondo devo salvare! Tutto io devo fare!»

In molte edizioni del film, il nome “Aldo” è sparito dai doppiaggi, ma nei sottotitoli italiani del cofanetto DVD che ho io, Cornelius parla proprio di Aldo e con tutto il rispetto per gli Aldo di questo mondo, Paul Dehn? Ma davvero non sei riuscito a pensare a niente di più epico di così?

“Escape from the Planet of the Apes”, oltre ad essere l’ultimo capitolo della saga, il cui titolo è stato tradotto in maniera decente dalla nostra distribuzione (da qui in poi sarà un casino vi avviso!), ha anche una certa dose di coraggio, forse dettata dagli eventi, come portare avanti una saga che era PALESEMENTE terminata al secondo capitolo? Paul Dehn si gioca la carta del paradosso temporale, il cucciolo di scimmia partorito da Zira (che si scopre essere incinta così, senza preavviso, quando è stato concepito ‘sto scimmiotto? Nello spazio per riempire il tempo sull’astronave? Con Milo come terzo incomodo a fare il guardone? Bah!) e l’entrata in scena del circo con gli animali, guidato dal simpatizzante degli scimpanzé Armando (il mitico Ricardo Montalbán… Khaaaaaaaaaaan!!) fa già abbondantemente capire come terminerà il film.

«Potete fidarvi di me” , «Si certo, guarda che ci ricordiamo cosa hai fatto a Spock!»

Proprio per via di questo trucco, dettato dalla l volontà di sfornare altri sequel, più che dal talento di Paul Dehn, per assurdo “Fuga dal pianeta delle scimmie” sarebbe il primo film da vedere, se decideste di guardare questa saga in ordine cronologico, mi state seguendo? No? E’ perché non state pensando quadrimensionalmente!

Il finale poi, anche se telefonato, risulta particolarmente crudo, pensare che i produttori volevano che tutto terminasse con Zira e Cornelius sbranati dai doberman degli inseguitori (storia vera), decisione cambiata in corsa perché considerata troppo cruenta per il pubblico, ah sì? Perché, invece, vedere Sandra e Raimondo impallinati come due tordi è una soluzione tutta pesche e crema, vero? Arrivi alla fine che da spettatore, ormai ti sei affezionato così tanto a quei due, che ogni colpo che subiscono, ti viene da reagire come fa Natalie Trundy nella scena, Cornelius colpito a morte che sbava e cade, Zira che lancia il cucciolo in acqua e poi si accascia sul marito prima di morire, gli stivali dei soldati, l’occhio della madre! La carrozzella col bambino! No no, non posso farcela a veder scimmie maltrattate così!

Addio Cornelius, insegna agli angeli a creare paradossi temporali.

Per altro, l’ultima scena, sarà per L’ambientazione in prossimità dell’acqua, o per la macchina da presa che si sposta all’indietro mi fa sempre pensare ai finali dei film dell’ispettore Callaghan, sarà stata una moda dei film anni ’70, oppure Don Taylor, che improvvisamente pensava di essere Don Siegel? Seeee ti sarebbe Taylor!

Insomma, non siamo di certo di fronte ad un capolavoro degno del primo film, ma nemmeno al disastro del secondo, tra la morte violenta dei protagonisti e il loro viaggio da paradosso temporale, “Fuga dal pianeta delle scimmie” gioca un paio di carte che in un film moderno non vedremmo mai, ma alla fine a Zira Mondaini è Cornelius Vianello ci si affeziona, forse anche solo perché sono uno scimmiofilo convinto e senza questo film, non avremmo avuto il capitolo successivo, ma questa, è un’altra storia.
Carucci vero? Manca solo la musichina.

Intanto, passate dal Zinefilo, che anche lui ha già detto la sua sulla fuga di Zira e Cornelius!

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