Squadra che vince non si cambia dice il proverbio, no? Più o meno è l’argomento alla base del post di oggi, benvenuti al nuovo capitolo della rubrica… Life of Brian!
Il successo di critica e pubblico di Carrie, mette finalmente De Palma sulla mappa geografica, che fosse un vero talento lo sapevano tutti, ora, però, aveva anche un grosso successo al botteghino sul suo curriculum, ma sapete come funziona Hollywood? Come qualunque altro posto di lavoro del mondo: se ti fai un nome per qualcosa, ti cercheranno tutti per quella, quindi, dopo Stephen King a De Palma tocca l’adattamento di un altro romanzo, anche questa volta con adolescenti dotati di telecinesi e percezioni extrasensoriali, insomma la stessa formula, almeno ad una prima occhiata.
La differenza sta nel fatto che De Palma ha semplificato la struttura narrativa di un romanzo breve come “Carrie” di Stephen King, optando per una scelta saggia, quella di narrare tutto in maniera lineare, senza iniziare con il flashback, presagio delle sventure future per la povera Carrie. Un trucchetto che con “The Fury” di John Farris non ha potuto fare, non solo perché il romanzo dello scrittore, pubblicato per la prima volta nel 1976 risulta più arzigogolato di quello di King e, a dirla tutta, anche meno appassionante, ma questo è un mio parere soggettivo, quindi siete liberi di ignorarlo.
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«Prometto che non ci sarà nessun secchio pieno di sangue per te, credimi» |
Se Carrie era stato adattato per il grande schermo da Lawrence D. Cohen, per “Fury” («Togliete il “the” è più pulito» cit.) è lo stesso Farris ad occuparsi della sceneggiatura, il che comporta il solito problema di fondo: difficilmente uno scrittore ha la freddezza necessaria per potare rami della sua storia scritta con tanta fatica, quindi di base “Fury” è tante cose tutte insieme.
Potremmo dire che sul suo impianto da B-Movie, De Palma aggiunge classe e stile piegando il genere alle sue esigenze narrative, come ha sempre fatto per tutta la sua carriera, inoltre, non tutti i B-Movie possono contare sul talento di attori come Kirk Douglas o John Cassavetes, al centro di una faida che è il punto di partenza della storia.
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Nessuno può resistere al mento del grande Kirk Douglas! |
Infatti, la scena iniziale di “The Fury” ci getta tutti al centro di questa faida iniziata anni prima: su una spiaggia mediorientale il diabolico Ben Childress (John Cassavetes) manda alcuni sgherri armati a far rapire il figlio Robin Sandza (Andrew Stevens), il figlio di Peter Sandza (Kirk Douglas), un ragazzo dotato di poteri mentali che Childress vorrebbe catturare ed utilizzare come arma. Il nostro Kirk con il suo toracione combatte come un leone a colpi di AK47, ma ha la peggio, suo figlio viene rapito e lui stesso viene creduto morto.
Quindi, da una parte abbiamo Douglas che, in fuga, cerca di celare la sua identità e di ritrovare il figlio, mentre Robin viene scortato nella clinica di Childress ed è qui che la trama trova la svolta ancora una volta, cambiando il punto di vista con l’entrata in scena di Gillian Bellaver, nella carrellata di bellissime attrici che hanno popolato il cinema di De Palma, aggiungete anche Amy Irving, direttamente da Carrie e qui più bella che mai, ma anche questo, se volete, consideratelo un parere soggettivo e ignoratelo.
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Posso risparmiarmi la fatica di scrivere la didascalia, tanto non la noterà nessuno. |
Gillian è un’adolescente che scopre di essere dotata di telecinesi e di percezioni extrasensoriali, che causano emorragie nelle persone che la toccano, insomma è una sorta di Rogue degli Uomini-Pareggio ante litteram (considerando che il personaggio ha esordito sulle pagine di Avengers King-Size Annual n. 10 nell’agosto del 1981), nel tentativo di imparare a controllare i suoi potere, potete facilmente intuire che la ragazza finirà proprio nella clinica di Childress prima e a sviluppare un legame psichico con Robin subito dopo.
Questo arzigogolo di trama, meno lineare di quella di Carrie, mescola adolescenti con quelli che per comodità chiameremo super poteri, alle tematiche care a De Palma, quel tocco leggermente politico che al regista del New Jersey è sempre gradito, aggiungiamo uno degli elementi cari a Brian da Newark, ovvero il doppio.
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Poteri mentali e occhi strabuzzati, connubio imbattibile. |
Per certi versi Gillian e Robin diventano due facce della stessa medaglia, il loro modo di gestire i poteri con diverso livello di responsabilità rende i due personaggi una variante sul tema di Le due sorelle, ma rivisto dopo il successo al botteghino di Carrie. Affrontiamo l’elefante nella stanza? Forza allora.
Se volete un bellissimo documentario sul regista del New Jersey, vi consiglio “De Palma” (2015) dove Noah Baumbach intervista il nostro libero di spaziare su tutti i suoi film, la porzione di documentario dedicata a “Fury”? Presto riassunta: De Palma intervistato afferma «Non è nemmeno lontanamente uno dei miei film preferiti tra quelli che ho fatto», poi incrocia le braccia mettendosi sulla difensiva, come a voler dire, non parliamone più.
Da un certo punto di vista si capisce perché “The Fury” non sia il preferito del suo creatore, il secondo atto risente di qualche problema di ritmo, gli elementi della trama sono tanti pezzi sulla scacchiera che devono per prima cosa trovare il loro posto, un difetto imputabile già al romanzo originale, per nostra fortuna De Palma è un tale talento che nel corso dei 118 minuti del film, riesce a mandare a segno una serie di scene madri notevoli, anche quando non aveva molta voglia di dirigerle, come la scena dell’inseguimento.
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Ha iniziato in volante e poi è arrivato alla sicurezza negli aeroporti. |
Per sua ammissione (e lo fa anche nel documentario citato), De Palma odia girare gli inseguimenti, li trova noiosi, inquadratura dal parabrezza, protagonista dietro al volante, troppo facili? Troppo banali? Nel documentario De Palma cita Il braccio violento della legge come esempio virtuoso, la sua stima per il collega Friedkin è nota tanto quanto la sua scarsa passione per “The Fury”, per certi versi De Palma sa che non si può fare meglio di Hurricane Billy, quindi, qui nella scena di fuga di Kirk Douglas, il regista del New Jersey si gioca la sua versione di una scena d’inseguimento in auto, in cui il vero protagonista, però, è il poliziotto interpretato da Dennis Franz, attore destinato a diventare uno dei fedelissimi di De Palma, che qui è in pena per la sua auto nuova.
Per essere uno che si annoia a dirigere inseguimenti, quello di “The Fury” è molto avvincente anche se, ovviamente, non è il centro della storia, anche se ogni volta che penso a questo film, la prima immagini che mi viene in mente è Douglas che sgomma in auto (storia vera).
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La prima immagine nella mia mente, legata a questo film. Sono strano lo so. |
Per certi versi, la scena più iconica del film resta quella della scalinata, sulle note di John Williams che le prova tutte per Bernard Herrmaneggiare (ho inventato una parola? Forse sì) con la sua colonna sonora. Gillian sulla scala viene afferrata per la mano dal dottore, il contatto fisico fa iniziare quello che non è solo un semplice flashback, ma è il momento in cui la ragazza stabilirà la sua connessione definitiva con Robin, un momento chiave che De Palma rende estremamente visivo, grazie al montaggio e alla scelta delle inquadrature, sembra quasi che tutti gli eventi scorrano dietro al primo piano su Amy Irving, come se la protagonista fosse calata al loro interno, avvolta, proprio per questo siamo ben oltre al semplice flashback ed ora che il cinema è pieno di personaggi con super poteri, De Palma stava già scrivendo le prime pagine del nuovo libro di grammatica cinematografica da usare in caso di protagonisti con super poteri, anche se a voler fare un po’ di filosofia, potrebbe essere considerata una versione in piccolo di un’altra scena con una scalinata, al centro di un film ben più famoso di De Palma, ne parleremo diffusamente nel corso della rubrica.
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Scalinate e scene madri, De Palma è un grande esperto. |
“The Fury” è un horror atipico, sfruttando i meccanismi del thriller (anche un po’ politico) cari al regista, con questo film De Palma traccia una linea tesa tra Carrie e il successivo Scanners, visto che questo è il post dei pareri soggettivo (ma questo ha anche molto di oggettivo), il film di David Cronenberg è di due spanne superiore, ma è chiaro che De Palma per certi versi, abbia battuto piste che poi il Canadese avrebbe seguito successivamente, con risultati rimasti ben più impressi nella memoria del pubblico.
Alla faccia di tutti i moderni film sugli Uomini-Pareggio, dove i personaggi per utilizzare i loro poteri mentali, tendono la manina verso lo schermo in un gesto del tutto inutile quando con la mente puoi fare tutto, De Palma qui aveva già reso obsoleta la manina, gli è andata bene avere sul set un attore del calibro di John Cassavetes, che qui manda a segno un cattivo spietato e gelido, senza mai scivolare sulla buccia di banana della macchietta del super cattivo, che non solo non aveva intenzione di lanciarsi in scene da indemoniato per il finale, esplosivo in tutti i sensi.
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David Cronenberg, la palla ora è nel tuo campo. |
Prima di Cronenberg è stato Brian De Palma a far esplodere una testa umana in un film rivolto al grande pubblico, il finale del bizzarro romanzo di formazione di Gillian, un’altra ragazzina che consuma la sua vendetta nel sangue dopo Carrie White, un modo molto cinematografico per rappresentare il manifestarsi del potere femminile, per un regista che ha sempre amato mettere le donne in difficoltà nei suoi film, non solo per rispettare la tradizione dei film di genere, ma specialmente per mettere in chiaro che sono loro i personaggi davvero forti al centro delle sue storie, ma su questo argomento avremmo modo di tornare diffusamente nel corso dei prossimi capitoli della rubrica.
“The Fury”, costato poco più di cinque milioni di fogli verdi con sopra facce di ex presidenti defunti, al botteghino ha incassato circa ventiquattro milioni, una cifra dignitosa, ma ben lontana dal trionfo di Carrie, poco male, ormai il talento di De Palma era esploso, il suo nome veniva già associato ai grandi Maestri, non solo della New Hollywood, ma della settima arte in generale. A questo punto De Palma avrebbe potuto fare due cose: mettersi a riflettere sulla sua nuova condizione o iniziare a sfornare capolavori uno via l’altro, il buon vecchio Brian ha pensato bene di fare entrambe le cose, lo vedremo qui tra sette giorni, con il prossimo capitolo della rubrica, non mancate!