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Galaxy Quest (1999): mai darsi per vinti… mai arrendersi!

Ogni viaggio deve avere una destinazione che per me è stato anche il punto di partenza, in realtà, io volevo solo scrivere un post su “Galaxy Quest”, ma siccome mi piace fare le cosette per bene, ho finito per fare un’intera rubrica dedicata a Star Trek (storia vera).

Ci sono tanti film di “Star Trek” usciti nel corso dei decenni, ma il migliore, in realtà, non ha nulla a che spartire con il canone ufficiale, anche se di fatto ha davvero tutte le caratteristiche che hanno reso la saga creata da Gene Roddenberry un patrimonio della cultura popolare. Questo film uscì nel 1999, un periodo in cui in sala i film di Star Trek erano ancora la normalità, anche se per tono fu, forse, oscurato dall’umorismo di un film simile, ma più facile da vendere al grande pubblico come “Men in Black”.

Sta di fatto che “Galaxy Quest” dal pubblico di fine anni ’90 è stato scambiato per quello che non era (un altro film alla “Star Trek” con un cast di lusso) quando, invece, è il più riuscito ed amorevole sfottò (quindi omaggio, perché chi ti conosce meglio sa come prenderti amabilmente per i fondelli) all’iconografia creata dalla serie televisiva e ai suoi appassionati. Un film che è arrivato troppo presto, ma che già aveva capito tutto e ha saputo omaggiare meglio di tutti la cultura Nerd, diventata imperante di lì a poco, ai tempi ricordo le sue pubblicità in sala anche se a me è capitato di vederlo solo in tv, quasi sicuramente su Sky (o più probabilmente Tele+, come si chiamava allora), perdendo completamente la testa per questo gioiellino.

Anche i titoli di testa sono in puro stile Star Trek.

Cresciuto (come vi ho ribadito in ogni capitolo di questa rubrica) con i film di Kirk e compagni, m’innamorai subito di questo film geniale pieno di tanti dei miei prediletti, per altro scritto da due ragguardevoli Nerd come David Howard (autore della sceneggiatura di “Trek: the movie” del 2018, questi sì, davvero senza legami con il mondo di “Star Trek” se non per una curiosa assonanza) e da Robert Gordon che, non a caso, sarebbe poi finito a sceneggiare “Men in Black II”.

La regia di questo gioiellino venne affidata a Dean Parisot, uno che si era fatto le ossa in televisione e che magari potrebbe dirvi poco, anche se ultimamente ha firmato il terzo capitolo delle avventure di Bill & Ted. La scelta non poteva essere migliore, Parisot forte di tante regie televisive, ma con esperienza cinematografica è l’uomo dei due mondi, infatti nella sua filmografia “Galaxy Quest” spicca come una gemma.

«Ho solo doppiato Buzz Lightyear, non so se posso davvero andare verso l’infinito e oltre»

La storia è, senza troppi giri di parole, geniale. Si comincia in un glorioso 4:3 con la proiezione di uno degli ultimi episodi della leggendaria “Galaxy Quest” serie televisiva interrotta anzitempo negli anni ’80, ma ancora amatissima e replicata nei palinsesti. Il suo contenuto? Sentiatevi liberi di immaginare un incrocio tra la serie classica di Star Trek e alcuni elementi caratteristici presi da “The Next Generation”. Proprio come accaduto a buona parte del cast delle due serie più amate dai Trekker, gli attori non hanno combinato poi molto, per sempre legati al loro personaggio del piccolo schermo, infatti il film comincia alla Convention che per molti attori resta l’unica fonte di reddito, oltre che l’occasione per bearsi (o disperarsi) delle glorie passate. Tra le tante trovate geniali di “Galaxy Quest”, il cast è la prima che balza agli occhi.

Ammettiamolo, non è uno dei migliori equipaggi mai visti?

Tim Allen ha battuto la concorrenza di svariati attori e qui brilla nel ruolo del vanesio e spocchioso capitano della nave, l’attore Jason Nesmith ha l’atteggiamento, la pettinatura e la fama di stracciamutande di William Shatner, unita alla capacità di aizzare la folla con la sola presenza di Patrick Stewart. Di tutto il cast è quello che ancora si gode questi bagni di folla, come se la fama non fosse mai passata, infatti, gli altri attori del cast non lo sopportano per quel suo essere un attore fallito, che gonfia il petto come il peggior pallonaro incontrato al bar.

«… Il mio migliore amico era un cowboy giocattolo», «See vabbè a chi vuoi farlo credere?»

L’attore dai trascorsi teatrali, in eterna lotta con il personaggio che gli ha regalato la fama, grazie a vistose appendici in gomma sulla capoccia e a frasi ricorrenti è Alexander Dane, interpretato dal mai abbastanza compianto Alan Rickman, uno degli eroi di questa Bara, qui nella sua migliore interpretazione del Leonard Nimoy di turno, ma facciamo anche in una delle sue migliori interpretazioni di sempre. Piton? Tzè! Per questo film dovreste tutti amare Alan Rickman altro che!

Non guardava qualcuno così male dai tempi di Ellis.

Nel ruolo della bella di turno, troviamo le bocce strizzate in una tutina di una Sigourney Weaver più autoironica che mai, la sua Gwen DeMarco che ha un solo stupidissimo compito a bordo, ovvero quello di ripetere le frasi del computer, di fatto è la pietra tombale su tutte le ridicole linee di dialogo pronunciate da Deanna Troi, tutti i suoi «Avverto una certa ostilità», quando l’altra nave sta lanciando siluri addosso all’Enterprise ha lo stesso peso dei dialoghi di Gwen, inoltre ogni volta che in una discussione qualcuno sostiene che Sigourney Weaver è troppo mascolina/magra/ossuta, insomma non abbastanza bella secondo i canonici classici, voi piazzategli una bella foto presa da “Galaxy Quest” e mettete su i pop-corn.

Sì, sarà sempre una delle predilette di questa Bara e allora?

Ma anche il resto dei personaggi che popolano la plancia della (finta) nave spaziale sono stati selezionati con la stessa identica cura: il Tommy Webber di Daryl Mitchell non riesce ad essere odioso come il suo modello di riferimento, ovvero Wesley Crusher perché tanto nessun personaggio dell’immaginario raggiungerà mai tali livelli di insopportabilità.

Tony Shalhoub, invece, ci regala una splendida parodia di Data, l’androide che vorrebbe essere umano e che parla con una flemma tutta sua, il film doppiato non perde nulla della sua efficacia, ma se ne avete la possibilità, godetevi la parlata che Shalhoub si è inventato per il personaggio, un vero spasso.

Più Data di Data senza bisogno nemmeno del cerone sul volto.

“Galaxy Quest” è il classico film che rivisto oggi, si gioca un sacco di facce note notevoli (sono sicuro che riconoscerete anche Rainn Wilson), ma quello che spicca più di tutti è senza ombra di dubbio un giovane e baffuto Sam Rockwell che nel 1999 non era certo l’attore di oggi, infatti si becca una parte geniale, quella della comparsa senza (cog)nome che muore nell’episodio sei, l’omaggio a tutte le “red shirt” lasciate defunte su pianeti ostili da “Star Trek” che qui trova una voce e tra una crisi isterica e l’altra, anche un ruolo.

Anche il vecchio Sam ha cominciato come “red shirt” di lusso”.

Sì, perché se nel 4:3 del finto telefilm intitolati “Galaxy Quest” troviamo palesi omaggi a “Star Trek”, l’amorevole sfottò è totale, Tim Allen che manda a quel paese un fan impegnato a rivolgergli domande “tecniche” sulla tecnologia nei singoli episodi, sembra ricalcato sulle leggende urbane di William Shatner alle convention e proprio per questo, il film manda a segno anche un’azzeccata critica al mondo non proprio scintillante di Hollywood e della fama in generale.

Ma “Galaxy Quest” funziona su più livelli, infatti non solo il giovanissimo fan Brandon interpretato da Justin Long ha preso la serie con estrema serietà (ah-ah!), qualcuno ha fatto anche peggio di lui, ovvero i Thermiani, una razza extraterrestre con indosso un travestimento da umani che prevede capelli da Vulcaniani, una risata comica e un modo di applaudire ancora più esilarante, ha di fatto basato tutta la propria cultura su quelli che loro chiamano “documenti storici” ovvero le vecchie puntate di “Galaxy Quest” intercettate via etere e scambiate per realtà assoluta, un po’ come gli alieni teledipendenti di “Explorers” (1985), ma con un livello di dedizione… Beh, da vero fan.

La tradizione degli alieni teledipendenti è al sicuro con i Thermiani.

Le trattative tra i Thermiani e una verdastra razza di alieni decisamente minacciosi (e realizzati in grandiosi effetti speciali orgogliosamente vecchia scuola da Keith Marbory e Matt Sweeney), sono andate decisamente male, gli alieni ostili pretendono di mettere le mani sull’Omega 13, citato in una delle ultime puntate di “Galaxy Quest” e diventato nel tempo oggetto di leggende presso i fan, ma sta di fatto che questa sorta di MacGuffin narrativo, sarà la ragione che porterà Jason Nesmith e tutti i suoi compagni a tornare ad interpretare i ruoli della vita, questa volta sul serio!

Quando hai il dopo sbronza duro, quello che ti fa vedere le stelle (in tutti i sensi)

Quindi, ricapitolando: abbiamo veri attori che interpretano finti attori in una finta serie tv, ispirata ad una vera, alle prese con alieni veri (che però sono finti) e che offrono lo spunto per riflettere sul rapporto tra gli attori e i loro personaggi, sugli effetti della fama e sulla dedizione dei fan. Tutto chiaro? Solo a me sembra matto e geniale in parti uguali? Se vi sembra una frase particolarmente intricata, sappiate che ho solo ripetuto quello che ha detto il computer.

Dean Parisot fa una scelta cinematografica quasi subliminale, ma azzeccatissima, cambia formato al film tre volte, come a voler sottolineare la natura posticcia (o meta cinematografica) di “Galaxy Quest”, che inizia in 4:3 come i vecchi programmi tv, poi adotta un formato 1.85:1 per tutte le parti ambientate sulle Terra e alla Convention, salvo poi espandersi fino al formato 2.35:1, quanto Tim Allen, portato a bordo della replica della nave spaziale dai Thermiani, scopre di essere per davvero nello spazio.

Trucchi vecchia scuola ne abbiamo? Va che figata questa meraviglia firmata Stan Winston!

Da qui “Galaxy Quest” non prende più prigionieri e non abbassa mai un ritmo che è del tutto impeccabile, le battute e le gag si sprecano e sono diventate tutte di culto per lo zoccolo duro di appassionati di questo film (lasciatemi l’icona aperta, più avanti ci torneremo), ecco perché tutti dovrebbero vederlo, perché che voi siate Trekker duri e puri oppure totali neofiti, amerete questa geniale commedia fatta con parti uguale di cuore e cervello.

Ogni volta che Tim Allen resta a torso nudo è impossibile non pensare a William Shatner che sfoggiava il fisico nella serie classica. Per ogni lamentela di Alan Rickman non si può non pensare al tormentato rapporto tra Nimoy e il suo Spock, inoltre, “Galaxy Quest” riesce ad ironizzare alla grande su tutti i momenti classici alla “Star Trek”, ad esempio avete presente l’enorme quantitativo di enfasi davanti al varo e alla partenza di ogni nuova versione della USS Enterprise? “Galaxy Quest” scherza anche su questo, grazie alla difficile manovra di partenza di Tommy Webber che rischia una fiancata della nave.

Quando dicevo che Sigourney Weaver qui è più ironica che mai, lo intendevo anche per la scena in cui Gwen e il capitano strisciano nei condotti, con Sigourney che finisce per esclamare «Condotti perché sono sempre condotti?». Ogni riferimento a fatti, cose, persone o scene di Alien è puramente voluta.

«Il peggior episodio di sempre» (cit.)

Ma il momento chiave di “Galaxy Quest” è la confessione sotto tortura del capitano al capo dei Thermiani, nel suo dover confessare di essere solo un attore, il vecchio equipaggio tira fuori l’orgoglio mettendo in chiaro che a volte, l’immaginario è l’unica arma che hai per salvarti la vita, infatti tutti quanti smettono di essere attori ex famosi e si calano completamente nel loro personaggio, la scena chiave in cui questa immedesimazione si completa? Non poteva che essere affidata al miglior attore di tutto il cast.

Per tutta la durata del film, Alan Rickman odia, letteralmente odia la frase tormentone del suo personaggio, continuare per decenni a ripetere parole senza senso, ma soprattutto continuare a sentirle pronunciare da fan esagitati alle convention sarebbe troppo per chiunque. Infatti, Alan Rickman ripete quella baggianata sul martello di Grabthar con la stessa gioia di un impiegato comunale il lunedì mattina, ma quando la faccenda si fa seria, quando il coinvolgimento diventa totale, quella stessa identica frase un po’ cretina, in bocca ad un motivato Alan Rickman raggiunge lo stesso livello di enfasi dell’Enrico V, raggiunge lo stesso livello di epica che ha nel cuore dei fan: «Per il martello di Grabthar, per i figli di Worvan… Io ti prometto che sarai vendicato». Già solo per questa scena, Rickman dovrebbe essere anche il vostro attore del cuore.

Quando trasformi una frase cretina in pura epica, signore, signori, indimenticabile Alan Rickman.

“Galaxy Quest” è un enorme omaggio alla passione dei Trekker e più in generale, di tutte le comunità Nerd che nel 1999 non erano certo popolari come oggi. In quel periodo essere fan voleva dire non essere di certo popolare, voleva dire doverti andare a procacciare le informazioni sull’oggetto della tua passione tra giornali, riviste e sulla neonata Internet che ancora si muoveva giurassica a 56k. Volete farvi un salto indietro nel tempo? Andate a navigare il vecchio sito dedicato a Galaxy Quest, pura archeologia di Internet.

Justin Long il nerd che è in tutti quanti noi.

Pensateci, qual è il più grande sogno di qualunque vero appassionato? Poter interagire con i propri beniamini avendo un ruolo chiave nelle loro avventure. Per questo Justin Long rappresenta un po’ tutti quanti noi: novello uomo fumetto dei Simpson ha finalmente la prova che no, non ha sprecato tutte quelle ore della sua vita dietro ad una storiella immaginaria. Per questo “Galaxy Quest” più che essere la rivincita dei Nerd è la loro vera affermazione, se uscisse ora tanti salterebbero sul carro del vincitore e con questo approccio post-moderno e malinconico, spaccherebbe in due i botteghini, ma nel 1999 questo film era qualcosa per pochi, per chi aveva le orecchie (a punta) per capire e potersi riconoscere. Sì, è il momento di chiudere quell’icona lasciata aperta lassù, dedicata agli appassionati di “Galaxy Quest”.

Il Fanboys di Star Trek è servito, con dieci comodi anni di anticipo.

Anche se il film ha incassato risate al botteghino, nel corso degli anni la sua fama di culto è cresciuta, per questo vi consiglio il bellissimo “Never Surrender: A Galaxy Quest Documentary” (2019), dove oltre a volti noti come quello di Wil Wheaton che paragona il polpo tatuato sul suo avanbraccio alla vera forma dei Thermiani, oppure Damon “Cioccolatino” Lindelof che con negli occhi la stessa nostra luce di appassionati di “Star Trek”, confessa il suo amore per questo film, per altro, facilmente intuibile visto che nella sua versione di Star Trek, il volo senza paracadute di Sulu e Kirk è chiaramente un omaggio al grandioso salvataggio volante di Tony Shalhoub in questo titolo, vedere per credere.

Meraviglioso vedere come alla convention di Star Trek, ci sia parecchie gente che si presenta concitata come la Laliari interpretata da Missi Pyle, come se fosse un personaggio canonico dell’universo creato da Gene Roddenberry, anche se per certi versi lo è, perché il finale di “Galaxy Quest”, con la nuova serie che torna finalmente sul piccolo schermo, sembra quasi un cortocircuito con “The Orville” che non sarebbe mai esistito senza il film di Dean Parisot e i suoi quintali di amore per “Star Trek”.

«Quindi, ora la nuova serie di Galaxy Quest si chiama The Orville, ho capito bene?»

Ogni tanto si parla di una serie tv dedicata a “Galaxy Quest”, non so se avrebbe davvero senso (non con “The Orville” in circolazione almeno), di sicuro l’omaggio a “Star Trek” e a noi appassionati dell’immaginario non poteva essere più riuscito con questo film, di cui vi ricordo anche l’esaltante post Zinefilo. Vogliamo omaggiarlo come merita? Classido!

Direi che ora sì, questo è il finale giusto per questa lunga maratona Trekker che si è seduta al posto di comando di questa Bara Volante per tutti questi mesi, ora che abbiamo chiuso il cerchio con “Galaxy Quest”, il viaggio quinquennale può dirsi davvero completo. Fino alla prossima serie di “Star Trek”, fino al prossimo strano, nuovo mondo da esplorare a tutti quanti voi auguro lunga vita e prosperità anzi meglio: mai darsi per vinti… mai arrendersi! [Cassidy batte le mani come un Thermiani mentre scompare del raggio del teletrasporto]

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