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Ghostbusters – Minaccia glaciale (2024): e chi chiamerai? La neuro, vi ricoverano

Ci risiamo. Malgrado sia risaputo che errare è umano mentre perseverare venga storicamente attribuito al maligno, mi tocca affrontare un altro tentativo di replicare (male) la formula inaugurata da Ivan Reitman del 1984, quando penso che le persone stiano iniziano a guarire dalla malinconia, quella torna di prepotenza ad incrociare i flussi, quindi andiamo avanti così, facciamoci del male.

Posso dirlo che palle però? Adesso mi ritocca fare tutto il discorso che tanto, verrà prontamente ignorato, quello che ho già fatto per il precedente, e a mio avviso francamente orribile al limite del cattivo gusto e dell’insulto all’intelligenza dello spettatore, Ghostbusters – Legacy. A grandi linee la questione è questa: l’originale film del 1984 radunava il meglio dei comici del SNL, lasciati liberi di improvvisare in un film girato con la fretta nel cuore e un piano di lavorazione ridicolmente breve, un miracolo di genialità dei soggetti coinvolti, spinti all’estremo della loro creatività in un trionfo di buona la prima o giù di lì.

Billy p#€&na, l’hai (ri)fatto per la grana!

Una formula che lo stesso Reitman non è mai più riuscito pienamente a replicare (malgrado ci abbia provato due volte, anche con “Evolution”), per assurdo il tanto bistrattato reboot del 2016 almeno manteneva l’idea originale del gruppo comico con lo zaino in spalla, peccato che poi non facesse ridere per abuso di Thor nella trama, ma questo è un altro discorso.

Ghostbusters – Legacy risultava urticante perché pura pornografia della malinconia, Jason Reitman alla regia, ha buttato giù un copione insieme a Gil Kenan bel oltre la paraculaggine, una storia che finché reggeva sul suo essere quasi meta-narrativa (figli che ereditano lo zaino protonico dai genitori, quasi poetico), si trasformava presto in una roba senza capo ne coda, che invece di omaggiare l’iconografia a cui teneva così tanto, la strangolava, la rendeva un’esposizione di salme, uno sfoggio di anni ’80 di plastica come piace fin troppo ultimamente, per un film talmente ruffiano che l’unica vera sorpresa consisteva nello scoprire che no, non lo ha diretto GIE GIEI Abrams anzi no, la vera sorpresa è che dal 2021 puntualmente, inciampo in qualcuno che mi dice: «A me è piaciuto» e poi mi snocciola motivazioni soggettive, su quanto sia bello “l’omaggio” ad Harold Ramis (di cui vorrei sapere se avete visto più di due film, anzi no, non lo voglio sapere) rafforzato il tutto con argomentazioni che non sono tali tipo che qualcuno si è commosso guardandolo.

«Mi chiamo Mary Sue Rey Phoebe Spengler Skywalker. Detta Nando»

Sincero? Beati voi, ma perdonatemi, sentirmi dire “A me è piaciuto” oppure “Mi sono commosso” sono argomentazioni soggettive, che lasciano il tempo che trovano, ma hanno effetti a lungo termine, tipo un seguito messo in cantiere in automatico, quindi come sempre: fate attenzione a quello che desiderate, perché poi Jason Reitman e Gil Kenan potrebbero accontentarvi.

Per questo nuovo capitolo, i due si sono invertiti i ruoli, la sceneggiatura (oddio, se così vogliamo definirla) è sempre frutto del loro lavoro congiunto, ma alla regia questa volta troviamo Gil Kenan, quindi iniziamo dai pregi di “Ghostbusters – Minaccia glaciale”, sono talmente pochi che potrò sbrigare la faccenda velocemente. Il film continua sulla linea del “tradimento” che ha rappresentato le colonne d’Ercole attraversate da Legacy. “Ghostbusters” non è più patrimonio dei comici del SNL, quindi la comicità per il pubblico dei grandi. Chi credeva (erroneamente) che il classico di Ivan Reitman fosse un film per bambini, solo perché quando lo ha visto era un bambino, ora ha davvero non uno, ma due “Ghostbusters” con i bambini, ed io mi chiedo, visto che Rick Moranis si chiedeva «Ok, chi ha portato il cane?», perché non farne uno con tanti cagnolini con la tutina e lo zainetto protonico? Essù si vende da solo, potenziale di meme altissimo!

«Chewbe. Siamo a casa!» (cit.)

“Ghostbusters – Frozen Empire” resta fedele alla sua nuova linea, sbagliata quando volete ma definita, anzi, si rende conto che aver tirato letteralmente fuori dalla tomba Harold Ramis e aver convinto Bill Murray a rimettersi lo zaino (com’era la storia degli anziani patetici che inseguono fantasmi Billy? Una volta ti stimavo, puah!) non era abbastanza, si poteva fare ancora di più, quindi armato di enorme imbuto, Gil Kenan prende quelle parti dell’iconografia legata a “Ghostbusters” e pensa bene di infilarle giù per la gola del pubblico che evidentemente, è qui per questo considerando gli incassi di “Legacy”.

Quindi sotto con New York, Slimer e una minaccia che prende vaga ispirazione ai mostri e ai fantasmi del cartone animato “The Real Ghostbusters”, ripeto vaga, perché nemmeno da lì sono riusciti a scopiazzare come si deve ma solamente a scimmiottare, ma ribadisco, a molti basterà, se hanno trovato un bell’omaggio quell’utilizzo di Harold Ramis nel film precedente, amici miei io allargo le braccia al cielo, le vie della soggettività applicate alla malinconia sono infinite.

«C’è Slimer!?! Capolavorooooooo!!!!1!!»

A dirla tutta “Ghostbusters – Frozen Empire” si apre con un prologo da brivido (ah-ah) con la vecchia caserma dei pompieri, un bel gancio con il passato di cui il film poi, allegramente se ne frega, troppo impegnato ad ammucchiare personaggi in quello che più che un film, mi è sembrato un episodio a caso di una serie tv, uno di quelli dove arrivano nuovi personaggi, interagiscono poco e male con quelli storici, perché non tutto il cast è disponibile contemporaneamente sul set e si allunga il brodo con tante chiacchierare, in attesa del finale di stagione… Brrrr raggelante!

La famiglia Spengler ha mollato Summerville nell’Oklahoma, ufficialmente per dare supporto agli acchiappafantasmi originali, di fatto perché molto pubblico aveva lamentato la quasi totale assenza di New York nel film precedente, quindi bisognava correre ai ripari. Intatto ritroviamo Mary Sue Phoebe Spengler (Mckenna Grace) sempre prima della classe, quello di “Strane Cose” (Finn Wolfhard) il cui arco narrativo consiste in «Ho diciotto anni, fatemi guidare la Ecto-1», insieme ad Ant-Man (Paul Rudd) e a quell’altra che ha colpito così tanto il mio immaginario che nemmeno me la ricordo (scusa Carrie Coon).

Faremo i conti con i danni fatti da Stranger Things per anni.

Il loro compito consiste nello sparare lucine inseguendo brutti fantasmi realizzati in CGI così così, utilizzando quanti più gadget possibili, questa volta hanno anche il drone-spara-trappola perché ehi! I collezionisti di plastica a tema Ghostbusters là fuori sono tanti, ne faccio parte quindi posso dirvi che il nuovo gioco è schifare (male) tutto il petrolio lavorato legato ai nuovi film, sport nazionale.

Zitto zitto, l’unico ad avere un po’ di fiuto per gli affari si è rivelato essere Winston Zeddemore (Ernie Hudson) che ha fondato una specie di società con laboratorio, dove si sviluppano tecnologie legate alla cattura dei fantasmi, perché non ne abbiamo mai sentito parlare prima (in “Legacy” sarebbe tornato comodo) non si sa, ma “Frozen Empire”, butta nel mucchio roba al grido di: più siamo più malinconia generiamo!

Quindi ecco rientrare in gioco [Cassidy insipira forte] Dan Aykroyd presentatore di un programma sul paranormale che strizza un po’ l’occhio al suo “PSI Factor”, l’immancabile Bill Murray più scazzato che mai per chi ancora crede alla sua posa ‘sto infame maledetto, fino ad arrivare anche agli ultimi dei panchinari, persino Annie Potts alla sua ragguardevole età deve entrare in azione con tanto di tuta, come non ha mai fatto negli anni ’80 e poi ehi! Vuoi non dare più spazio a William “Una vita da infame al cinema” Atherton? [Cassidy espira forte]

Vi voglio troppo bene per fare battutacce.

Ma basta così? Non volete altro come contorno? Quindi mettiamoci dentro una bamba di bambini, ma letteralmente bambini, parte della squadra speciale di scienziati (hanno gli occhiali, sono scienziati) messa su da Winston, una roba che ti fa pensare: perché dei ragazzini dovrebbero gestire quella tecnologia. Che poi è la stessa domanda sensata che si pone il sindaco Atherton, ma tanto ormai la questione è scappata di mano, in attesa della versione con i cani, “Ghostbusters” ormai è il raduno delle vecchie glorie, il trionfo dei ragazzini e nel mezzo, Paul Rudd, che non invecchia mai, ma rappresenta chi è cresciuto guardando i film di Ivan Reitman e ora può giocare con gli zaini protonici ed essere pagato per farlo. Certe persone hanno tutte le fortune.

Ah! La trametta con l’amicizia in odore di qualcos’altro non la vogliamo mettere? Vedere come protagonista Mary Sue Phoebe Spengler e una fantasmina della sua età con cui gioca a scacchi (tra le altre cose), se posso dirlo, per essere quella più stantia è anche l’unica che funziona per due ragioni, completa uno straccio di arco narrativo e poi Mckenna Grace è più brava dei ruoli che anche qui si ritrova a ricoprire, ma resta comunque troppo poco per salvare un film piatto, banale e fin troppo propenso a procedere (verso il nulla) per accumulo, di un bel niente per altro.

Ragguardevoli aggiunte al cast, di cui nessuno sentiva il bisogno. Nemmeno la trama.

Ad un certo punto credo di aver contato qualcosa come undici personaggi, tutti con tuta, zaini protonici o varianti sul tema e devo dirlo, se mi chiedessero, non saprei dire il nome di più della metà di loro, macchiette in un mucchio selvaggio che mette in chiaro che quantità non è sinonimo di qualità, per una trama che claudica per un’ora abbondante, prima di impantanarsi in un infinito ciarlare sul niente, spezzettato come il montaggio delle serie tv. Oggi sul set abbiamo Dan Aykroyd facciamogli dire le sue battute!

La sensazione aumenta anche “grazie” a quel montaggio salterino che è proprio quello di un episodio di una serie tv troppo lungo, spalmato su una trama esile e stiracchiata, che prevede una nuova buffa (no non è vero, non fa ridere nemmeno per errore) brutta copia del “Maestro di porta” del 1984, più il solito oggetto MacGuffin della settimana e altre trovate semi sconnesse, tanto che in più di un passaggio mi sono trovato a chiedermi: perché introdurre tale elemento per poi non utilizzarlo più avanti nel corso della trama?

Troppo tardi per mimetizzarsi Bill, ormai ti sei smerdato ancora e non per colpa di Slimer… E ridammi gli occhiali!

Perché tanto alla fine si risolve tutto negli ultimi, frettolosi, venti o venticinque minuti, dove New York si raggela (… deve aver visto questo film), spunta un brutto mostrone cornuto che dovrebbe occhieggiare alle creature grottesche di “The Real Ghostbusters”, ma in realtà è solo il generico cattivo in pessima CGI di turno, che viene battuto come? Sparando a caso il flusso, ma con l’espressione più accigliata di chi si impegna tanto. Tutto merito di Mary Sue Phoebe Spengler detta Nando, che ha “pucciato” un elemento del suo zaino in boh, nella bagna cauda probabilmente ed ora in virtù del suo essere impeccabile, fa cose e vede gente. “Pucciato” Cassidy? Molto scientifico (cit.)

“Ghostbusters – Minaccia glaciale” è immotivatamente piatto, inspiegabilmente pieno di gente e malgrado tutto, pallosissimo, una lunga attesa per un finale a tirar via in cui però ehi! Questa volta ci sono due scene con Slimer e una dopo i titoli di coda con i mini Puff di Marshmallow quindi secondo il VOSTRO (non il mio) metodo di giudizio, malinconia a manetta, quindi bello? No, bello proprio niente, mi si raggela il sangue a pensare che la maggior parte del pubblico voglia questo, perché è tutto quello che ha capito del Ghostbusters del 1984. Hai voglia a mettere la dedica paracula “Per Ivan” nel finale, brrrrrr!

Il vostro raggelante bisogno di malinconia a tutti i costi.
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