In un’epoca lontana ma non dimenticata, gli anni ’80, il vostro amichevole Cassidy di quartiere al tempo bambino, passava il suo discreto quantitativo di tempo libero, appeso ai cabinati del bar vicino a casa di mio cuGGGino. Storia vera, anche se sembra un pezzo degli Elii.
Uno dei miei preferiti era Toki, ma vi lascio immaginare la mia gioia quando, per un periodo incredibilmente breve, un vecchio negozio attaccato a casa mia venne riadattato a sala giochi. Non qualche cabinato in un Bar, ma una sala giochi vera, che frequentavo con un candore beh, tipico del bambino che ero. Tipi loschi, fumatori accaniti e il sospetto – più che legittimo – che le monetine infilate a ripetizione nei cabinati non fossero la principale fonte di introiti per il locale, chiuso dalla mattina alla sera, scomparso ma mai dimenticato. Come gli anni ’80. E il loro nemmeno velato consumo di sostanze a dirla tutta.
Dagli anni ’80 arriva anche il titolo di oggi, che spegne le sue prime quaranta candeline, un culto per me e molti altri della mia generazione per tante ragioni, ma per una più delle altre. Malgrado il ruffianissimo titolo di “Giochi Stellari” (a chissà cosa stavano pensando gli autori di questa storpiatura, non riesco proprio ad immaginarlo), il film diretto da Michael Myers, anche noto come Nick Castle, parlava, e per certi versi ancora parla, a tutti quei ragazzi che trovavano magici quelle enormi cabine del telefono con joystick, rese obsolete dalle prime console, in un film che altro non è che una fantasia adolescenziale: battere il record al cabinato, salvare la galassia, spupazzarsi la tipa. Anzi questo ultimo punto a ben guardare il film, non sembra nemmeno così fondamentale, malgrado la presenza della “Stupenderrima” (cit.) Catherine Mary Stewart.
Scritto da Jonathan R. Betuel, quello di “Ritorno dalla quarta dimensione” (1985), la storia di “The Last Starfighter” oggi non ci verrebbe raccontata, perché un cabinato non può essere pienamente sostituito da una console con partite potenzialmente infinite e gratis, ma sicuramente sarebbe raccontato utilizzando l’animazione, visto che siamo davanti ad un film per ragazzi fatto e finito.
Alex Rogan (il quasi esordiente Lance Guest), vive in una cittadina che è più che altro un campo caravan semi organizzato, i cui eventi principali sono la nuova puntata della telenovelas oppure vedere Alex giocare a “Starfighter”, il gioco spaziale che inizia sempre con la stessa frase tormentone, quella che tutti sognavamo di sentire pronunciare appesi al joystick: «Congratulazioni Starfighter! Sei stato reclutato dalla Lega Stellare per difendere la frontiera contro Xur e l’armata di Ko-dan!»
L’apice della vita di Alex è rappresentato dal record battuto al gioco, perché tanto è chiaro che l’unica evasione del ragazzo sarà solo quella videoludica, i suoi amici vanno al lago, lui sistema l’impianto elettrico per la comunità di vecchietti stile “Cocoon” dove vive. Persino la borsa di studio gli viene negata, ma quando “Giochi Stellari” sembra destinato a prendere la china di “Incompreso” (1966), di colpo si ricorda di essere un titolo da Bara Volante introducendo l’elemento fantastico.
Il record al cabinato di Alex ha attirato il creatore di Starfighter, un tale che dice di chiamarsi Centauri (Robert Preston), una sorta di Doctor Who che si aggira su un’automobile futurista e chiede a ragazzini come il protagonista di seguirlo e salire a bordo. Suona un po’ torbido? Si, ed ora che ci penso ricorda anche una scena identica di “Team America” (2004) anche per un’altra ragione, l’auto di Centauri improvvisamente mette le aaaaaaali (cit.) e decolla, rivelando che il pilota non solo è un alieno che si smonta la faccia in un fazzoletto (come quando sei molto raffreddato e starnutisci fortissimo) ma è anche un ben poco ortodosso selezionatore di piloti di Gunstar, i caccia spaziali di una vera guerra intergalattica che si sta combattendo tra le fila dei buoni, ovvero l’unione planetaria chiamata Lega Stellare e il malvagio Xur e l’armata di Ko-dan, proprio come recitava il videogioco, un avversario reso astioso dalla perdita di capelli preventiva e che ora vuole conquistare la galassia.
Il film dell’amico di John Carpenter, oltre che ripieno di Michael Myers, il mitico Nick Castle, altro non è che il cugino grande de Il piccolo grande mago dei videogames, che ridava un po’ di giustizia a coloro che dimostravano talento con le console collegate al televisore di casa, ma qui siamo davanti ad una sorta di rivincita dei Nerd in chiave spaziale, che è allo stesso tempo una dichiarazione d’amore a quelle astronavi, quei monoliti chiamati cabinati, perché il sottotesto del film, quello che capisci solo quando hai superato l’età anagrafica alla quale Nick Castle si rivolgeva, è che “Giochi stellari” parla a tutti coloro che alle ragazze preferivano i videogiochi o meglio, a quelli che sono in quella fase lì in cui anche Catherine Mary “Stupenderrima” Stewart, non smuove nulla al protagonista, in un film dove lui è un puro, il prescelto, l’ultimo Starfighter, la parabola dell’eroe “from zero to hero” come amano dire i nostri amici americani, quando intorno a lui sono tutti più carichi di ormoni del protagonista.
Il fratellino minore tiene i Playboy sotto il letto («Iolanda, che pupa!») e persino Beta Alex, lo spaventoso clone-sostituto, che spunta con la faccia pulsante da sotto le coperte, creato per impersonare Alex e non far sospettare della sua spaziale assenza, per lo meno un minimo di impacciato tentativo di approccio con la bella Maggie prova a metterlo su, anche se tra i dettagli che si notano solo quando ti riguardi “The Last Starfighter” alla stessa età anagrafica del film festeggiato oggi, diventa chiaro che Beta è il vero eroe dimenticato di questa storia.
Non solo è stato programmato per abbracciare la parte meno “sexy” della vita di Alex (e ci credo che almeno prova a compensare con Maggie!), ma quando Xur mangia la foglia e manda sulla Terra un facente funziona di Boba Fett per eliminarlo, il nostro Beta caccia fuori un piglio da eroe sacrificandosi per tutti quanto noi. Di tutte le morti “motivazionali” del film (che comunque non mancano), quella di Beta passa totalmente in cavalleria.
Nick Castle, al suo secondo film da regista in una carriera piena di titoli per ragazzi, dal suo amico John Carpenter pesca due elementi: l’essenzialità dietro alla macchina da presa e le atmosfere dal più atipico dei titoli del Maestro, “The Last Starfighter” sembra la versione adolescente di Starman, io non riesco a non pensare a Nick nostro che corre dal suo amico a dirgli che ha per le mani una sceneggiatura che parla di videogiochi. Carpenter deve aver approvato.
“Giochi stellari” se la gioca tutta di trucchi prostetici vecchia scuola, mescolati a rivoluzionari (per il tempo) effetti digitali, quasi tutti impiegati per realizzare le, anzi la Gunstar, che altro non è che la proiezione mentale dell’immaginaria navetta spaziale che ogni videogiocatore immagina di pilotare quando iniziava una nuova partita. Uso il singolare perché la trama spazza via tutti gli Starfighter in un solo attacco, una veloce mono-battaglia, dopo averceli mostrati durante la riunione pre-decollo, un misto tra i ribelli di Guerre Stellari e beh, la cantina-band, sempre dallo stesso film.
Ma staremmo qui a parlare della fuffa se non fosse per il mitico co-pilota, quello che vorremmo tutti se Chewbecca fosse già impegnato. Con la sua calotta cranica, a metà tra quella de La Cosa dei Fantastici Quattro e una Tartaruga, ma sopratutto con quella risata che sembra un attacco d’asma di un fumatore di sigari Toscani, sto parlando ovviamente di Grig.
Quello che ancora oggi, a quarant’anni di distanza dalla sua uscita, molti non sanno su “Giochi Stellari” è che non solo il film è diretto da Michael Myers in persona, ma che sotto il trucco di Grig si nascondeva l’Irlandese Dan O’Herlihy. Ancora non vi dice niente? Se non lo ricordate per Halloween III allora vi ricorderete di lui come mega direttore galattico della OCP di RoboCop.
Gli effetti speciali in CGI erano piuttosto futuristici per il 1984, a rivederli oggi fanno un po’ l’effetto TRON, il che ha senso, visto che sempre di videogiochi si parla e il “Fiore”, alla fine, altro non è che l’arma finale, quella raccolta è conservata solo per il Boss finale dell’ultimo livello, una volta scatenata, da qui è tutta una discesa, verso il finale.
La conclusione di questa fantasia adolescenziale travestita da romanzo di formazione (tanto il lavoro sporco lo ha fatto tutto Beta) a questo punto può prevedere anche un po’ di gnagna, visto che l’apice del trionfo del videogiocatore ormai lo abbiamo raggiunto, una capatina sulla Terra per portarsi via “Stupenderrima” Catherine Mary Stewart ci sta. Non ho mai capito perché lei possa volare nello spazio senza casco spaziale, ma tanto con quelle tute spaziali lasche sul collo vale tutto.
Anche perché quando parte il tema musicale del film che gli vuoi dire a “The Last Starfighter”? Il pezzo ufficiale che risuonava nelle teste di tutti noi, piccoli ex “pitonati”, intenti a svincolarsi appesi a qualche cabinato, sperando di fare così tanti punti, anche solo per sentire una volta: «Congratulazioni Starfighter! Sei stato reclutato dalla Lega Stellare per difendere la frontiera contro Xur e l’armata di Ko-dan!»
Lo dico? Lo dico! Era più o meno dal 2015 che sognavo di portare “Giochi Stellari” dove merita di stare, ovvero a bordo mio personale Gunstar, questa Bara (storia vera), missione compita e record raggiunto, auguri!
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