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Giù la testa (1971): c’era una volta la dinamite

Quando ero giovane credevo in tre cose: il Marxismo, il potere redentore del cinema e la dinamite. Oggi credo solo nella dinamite. Questa affermazione di Sergio Leone è l’argomento del giorno, bentornati a… Un mercoledì da Leone!

Qual è il vostro film preferito di Sergio Leone? Sì, così inizio, spietato come Sentenza, pistola alla testa, cappio al collo, dinamite («Miccia corta..» cit.) accesa: fuori un titolo! Il mio è “Giù la testa”.

Sì, sì, lo so, vi ho fatto una testa così su come abbia scoperto il Cinema, quello vero, con Il buono, il brutto, il cattivo, ma questo non cambia di una virgola il discorso, senza l’ultimo capitolo della “trilogia del dollaro” probabilmente ora avrei un blog sull’allevamento di criceti da combattimento o che so io. Ma se puntiamo proprio al cuore come ci ha insegnato Ramòn io non ho nessun dubbio, alla fatidica domanda sul Leone preferito, io rispondo di getto “Giù la testa” e non mi pento, anche se qui da noi in uno strano Paese a forma di scarpa, questo è stato il film del grande maestro che ha incassato meno (solo, si fa per dire, due miliardi di vecchie Lire) e ancora oggi forse è più amato all’estero che qui, anche perché, beh, questo film Leone non lo voleva proprio dirigere.

Sul set di C’era una volta il West, il fidato Sergio (Donati) iniziò a parlare a Sergio (Leone) di una storia riguardante la rivoluzione messicana, un tema al passo con i tempi, visto che il 1968 aveva acceso la miccia per una rivolta culturale che stava scuotendo tutto il mondo, anche l’Italia. Urca se interessava l’argomento a Leone, se C’era una volta il West era l’occasione per decostruire il mito della frontiera raccontandone l’ultimo malinconico capitolo, questo nuovo soggetto poteva fare lo stesso per il fascino della rivoluzione e poi era l’occasione per Leone per rispondere a quella critica italiana che lo voleva di destra a tutti i costi, visto il pessimismo dei suoi film e il fatto che per decenni la critica cinematografica sia sempre stata pronta a dare addosso a tutti quelli che fossero anche solo minimamente legati al genere di quel reazionario di John “Il Duca” Wayne. Ma se ci pensate non è cambiato niente, succede ancora oggi a Clint Eastwood, viviamo in uno strambo Paese a forma di scarpa, dove tutti dicono di stare più a sinistra di te, anche se di veramente di sinistra, non accade più nulla.

Una citazione iniziale di un certo peso…
… e i titoli di testa, che arrivano solo a fine film.

Ora, sarebbe bellissimo potervi raccontare di una reazione di Leone in stile Mario Brega in “Un sacco bello” (1980), però Sergio questo film ha provato a farlo dirigere a chiunque, convinto di restare a bordo solo come produttore, il primo della sua lista era Peter Bogdanovich che secondo lui avrebbe potuto avere lo stile giusto per la storia, ma niente da fare tra i due non scatta la chimica, quindi Leone propone ai dirigenti della United Artists, uno che di Western se ne intende parecchio, Sam Peckinpah (non proprio la pizza con i fichi) che, se ci pensate, sarebbe stato perfetto per “Giù la testa” visti i tanti punti di contatto con le sue pellicole.

«Appena vi do il segnale… Famo er botto»

Ma si sa, il vecchio “Bloody Sam” è un deviante che amava il cinema e la bottiglia allo stesso modo, la United Artists non vuole correre rischi, quindi Leone si gioca il jolly «Giancà pensace te!». Giancarlo Santi, l’affidabile e collaudato regista della seconda unità dei film di Leone, per ben dieci giorni è stato il regista di “Duck, you sucker”, titolo per il mercato americano, una mediazione anche quella, perché Leone avrebbe voluto tradurre quasi letteralmente il glorioso ammonimento «Giù la testa, coglione» con “Duck, you asshole” (storia vera), ma con un titolo così col cavolo che esci nei cinema americani, ecco perché da quella parte della grande pozzanghera nota come oceano Atlantico, il film è noto anche come “A fistful of dynamite” un titolo che oggi definiremmo acchiappa click, ma per dirla alla Leone, forse paraculo mi sembra la definizione migliore. Più azzeccato quello francese da questo punto di vista, “C’era una volta la rivoluzione” che è molto più in linea con l’atmosfera del film.

Dinamite! Dinamite! Dinamite! (Cit.)

Quindi “Giù la testa” il più bel film della filmografia di Giancarlo Santi, ehm no. Perché a quel punto inizia la girandola degli attori e qui la United Artists fa ancora valere il peso politico, il personaggio di John “Sean” Mallory sarà anche stato scritto con in testa Jason “Cheyenne” Robards, ma la casa di produzione vuole un nome più grosso e dopo averlo desiderato fin dai tempi di Per un pugno di dollari, finalmente Leone può aggiungere alla sua collezione un altro dei Magnifici Sette, James Coburn che accettò di recitare ad un compenso più basso, dopo che Henry Fonda gli disse che Leone era il più grande regista da cui era stato diretto in carriera (storia vera).

Ironico, perché Fonda si era convinto a lavorare con Leone, su consiglio di Eli Wallach che gli aveva detto più o meno la stessa cosa, infatti proprio il caro vecchio (e brutto) Tuco avrebbe dovuto interpretare Juan Miranda, anzi esisteva già un accordo, ma niente da fare, anche qui la United Artists preferì sfruttare la popolarità di Rod Steiger, fresco fresco del suo Oscar per “La calda notte dell’ispettore Tibbs” (1967). Le scuse di un contrito Leone, sono servite a poco, Eli Wallach ci è rimasto malissimo lo stesso (storia vera).

Rod Steiger ha due espressioni: con il cappello bucato e senza.

A questo punto ci siamo, no? Abbiamo James Coburn e Rod Steiger così chi ci mette i soldi è felice, Giancà! Vai! Eh, no niente, perché ora i due grandi attori non possono mica farsi dirigere dal primo che passa, quei due vogliono Sergio Leone e malgrado le storie tese sul set con Steiger (che prima lo voleva, ma poi parlava durante le riprese, rovinando l’audio in presa diretta dei Western all’italiana, per somma gioia di Leone che voleva farlo saltare in aria con il tritolo) questa è la storia di come “Giù la testa” alla fine, lo ha diretto per davvero Sergio Leone. Posso aggiungere anche “per fortuna”? Tanto ormai mi sono schierato con questo film, più di Juan e John con i ribelli messicani.

Sergio Leone è del popolo, e dal popolo arrivano i suoi
protagonisti.

“Giù la testa” è il film più politico mai diretto da Leone, è perfettamente calato nel periodo storico in cui è uscito, perché cavalca in pieno i sentimenti di disillusione per una rivoluzione che doveva cambiare tutto e invece ha lasciato strascichi anche violenti. Eppure, allo stesso tempo è anche un film grandioso perché ancora attualissimo, perfetto nel suo inquadrare le differenze tra i signori che comandano e i peones che la rivoluzione la combattono sul serio e ne pagano le conseguenze più dolorose, quelli che sanno leggere i libri, contro quelli che non sanno leggere i libri dell’incazzato, qualunquista, ma ineccepibile discorso che fa Juan nel film, quello che termina con John che lancia nel fango il suo libro sul patriottismo.

Se Il buono, il brutto, il cattivo è un film d’avventura puro, una caccia al tesoro con il passo del grande Cinema, “Giù la testa” è politica con il passo del Cinema migliore, la citazione iniziale di Mao Zedong non poteva essere più chiara. Orgogliosamente proletario, ma anche disilluso e cinico nel suo togliere tutta la poesia al sogno romantico di una rivoluzione che ci farà tutti vivere alla grande. C’era una volta la rivoluzione ci dice Leone, ormai possiamo credere solo alla dinamite e, infatti, ogni volta si arriva a fine film storditi come dopo un’esplosione, anche se malgrado la roboante citazione iniziale al maestro, in questo Classido trovo ancora tanto di quel potere del cinema che spesso ha la stessa forza della dinamite.

L’inizio di “Giù la testa” è micidiale, un treno pieno una carrozza piena di signori, da un passaggio al povero e spiantato Juan (Rod Steiger) che sale a bordo scalzo e grattandosi il culo, perfetto per essere deriso dai riccastri a bordo che sembrano tutti volutamente stereotipi: il prete, lo Yankee spavaldo con il sigaro, la signora bene in parti uguali schifata e attratta. Leone usa i primi piani e ci dà dentro con i primissimi sulle loro bocche che mangiano cibo voraci e avidi e allo stesso tempo vomitano crudeltà razziste su queste bestie che vivono in promiscuità, una lievissima critica alla classe borghese, che sembra divorare e sputare il proletario Juan.

La rivoluzione sa di rivalsa, quella di Juan era tutta una recita e insieme alla sua infinita collezione di figli (il mio preferito resta il piccoletto in fissa col voler ammazzare tutti, un mito!), i signori finiscono chiappe al vento tra i maiali (quindi indistinguibili) e Juan vince una carrozza nuova fiammante, ma il meglio arriva in motoretta rombante, e voi ora vi beccate il flashback sul giovane Cassidy nei suoi anni d’infanzia.

«Fate i bravi lì dietro, sta per cominciare il flashback su Cassidy, non sentite la musica di sottofondo?»

Sergio Leone ha reso epiche le entrare in scena dei suoi personaggi, ma quella di James Coburn in questo film per me è speciale, quando arriva sulla sua motoretta sul fischio della colonna sonora di Morricone, sembra un marziano (o un Marxista?) caduto sulla Terra, Juan gli buca la gomma, lui scende, calmissimo, sistema il cavalletto e le falde dello spolverino, parte il tamburo in sottofondo, primo piano su quegli occhialoni da aviatore e il fazzoletto (ovviamente rosso) sulla bocca, para ra wam wam! Se lo toglie solo per sfoggiare i baffoni e i dentoni di James Coburn che ancora più quieto di Fonzie dice «fammi accendere» e poi fa un buco nel tetto della carrozza con la dinamite e ci regala una “frase maschia” che diventa subito il titolo del film.

Una faccia da schiaffi, dietro ad un paio di occhiali da
moto
(e dei baffi a manubrio)

Carico di dinamite e nitroglicerina, “Mezza botta” come lo chiama Juan è una visione, anzi lui ha proprio una visione: quello è l’uomo che lo porterà alla terra promessa, la scritta d’oro che compare sopra Coburn “Banco Nacional de Mesa Verde” ha qualcosa delle visioni a sfondo Biblico di Fantozzi, tutta la prova dell’umorismo di cui Leone era capace, anche restando sempre così incredibilmente epico.

Tanto lo so che nella testa in questo momento, sentite
risuonare solo questa.

Ma il flashback sul giovane Cassidy? Ci arriviamo, perché Juan sogna da tutta una vita di rapinare Mesa Verde, una banca che dai suoi ricordi infantili sogna ancora tutta fatta d’oro («…anche le sputacchiere sono d’oro») e “Acqua santa” lì, appena sceso dalla motoretta gli serve. Ma l’uomo che si presenta prima come Sean e poi come John arriva da un Paese che la rivoluzione la conosce bene (l’Irlanda) e guardando il film con mio padre da bambino la prima volta, quando spunta quella bandiera verde dalla roba si John, io mi sono chiesto cosa fosse, chi era era questo personaggio misterioso? Il signor Cassidy Senior, che il film già allora lo aveva visto quel centinaio di volte (io lo avrei recuperato presto consumando la vhs) mi risponde placido: «È un terrorista dell’IRA».

Non mi serve sapere altro, sfiga! Pochi giorni dopo a scuola la maestra si gioca la fatidica domanda: Qual è il vostro film preferito di Sergio Leone? Cosa volete fare da grandi? Ed io con ancora questo film negli occhi cosa rispondo secondo voi? “Il terrorista dell’IRA (storia vera)”. La maestra si è leggerissimamente (e giustamente) preoccupata riguardo all’educazione a casa Cassidy, ma cosa dovevo rispondere? L’avete vista quella scena? Per me uno che arriva in moto nel deserto, figo come la neve a Natale, carico di dinamite e rilassato come i pistoleri sicuri di loro, è il meglio della vita! Se andare in giro per il Messico rombando e facendo esplodere sassi voleva dire essere un terrorista dell’IRA, io quello voglio fare, voglio essere un terrorista dell’IRA! Anche se forse è meglio se smetto di scrivere “terrorista”, prima che mi oscurino per sempre la Bara.

Tema scolastico: Il lavoro che vorrei fare da grande. Svolgimento…

“Giù la testa” è il “Buddy movie” definitivo, Juan e John hanno lo stesso nome (per altro Sean, è l’equivalente irlandese di John, storia vera), ma sono opposti nei modi: uno è rozzo e proletario, l’altro è colto e istruito. I loro siparietti sono meravigliosi anche se i passaggi televisivi spesso sfumavano l’audio cercando di limare qualche volgarità («Purtroppo avevi ragione tu, averlo nel culo fa male») ed i protagonisti sono accumunati da un destino inesorabile: entrambi hanno una rivoluzione che li lascerà a fine film cambiati profondamente.

La rivoluzione di John è quella irlandese e dopo il mio bislacco tentativo di arruolamento tra le fila dell’IRA, mi rendo conto che tutta la mia passione per la storia, la cultura e la birra di quell’isola, è solo l’onda lunga dell’influenza di Leone sulla mia vita. Qui Sergio scopre le carte sul personaggio poco alla volta, una versione espansa e ancora più epica dei flashback sul passato di Armonica, ed ecco perché innamorarsi del cinema di Leone da bambino era facilissimo, libero dalla sovrastrutture dell’età adulta, quella che t’insegna che dichiararti un membro dell’IRA ecco, magari anche no, cosa resta? La capacità di narratore di Leone, che pensava ai film partendo dalla immagini e non dalle parole, ecco perché il cinema del grande Sergio non è mai verboso, ma è sempre limpido ed istintivo, in combinazione con le musiche di Ennio Morricone poi, è qualcosa che ti arriva dritto al cuore.

«Ultime parole?» , «Ramòn era più delicato»

Il famoso Sean Sean Sean del coro è stata un’idea della signora Carla Leone, in alternativa al solito wa wa (storia vera), ma per ammissione del Maestro Morricone, è un caso se il coro pare invocare il nome del personaggio. Sarà, ma non credo ci sia mai stato un momento nella storia del Cinema, in cui le musiche e le immagini si siano sposate meglio di così. “Giù la testa” è la mia colonna sonora di Morricone preferita perché insieme al brillante e centellinato uso dei flashback, racconta la storia di un personaggio portandoci di peso nei suoi ricordi che possono essere anche dolorosi, perché la malinconia di fondo di tutta la “trilogia del tempo”, in questo capitolo morde a tradimento, i ricordi brutti possono tornare a perseguitarti anche nei momenti peggiori, come nella scena della fucilazione sotto la pioggia, una delle più artistiche ed emotive mai dirette da Leone, ispirata al guardo di Francisco Goya “I disastri della guerra” (storia vera).

La narrazione per immagini di Leone è geniale perché piano piano, grazie ai flashback fa compiere agli spettatori lo stesso percorso emotivo di John, è impossibile non patteggiare per lui proprio come è impossibile non voler bene al rozzo Juan, anche lui impegnato nello stesso identico percorso. Lui che sognava solo di essere come il più grande bandito del mondo Pancho Villa, ripulendo Mesa Verde ed invece proprio come lui «…è finito a merda», perché la banca ora è usata come prigione politica e quel posto dove nei suoi ricordi tutto era fatto di oro, ora non esiste più, viva Miranda! Sì, però che cacchio, eh!

«Non prendertela con me, è Cassidy che ti sta facendo rivivere il trauma con la rubrica»

Leone riflette sulla rivoluzione e sui sogni di gloria della politica su vari livelli, ad esempio il dottor Villega di uno splendido Romolo Valli, è il cervello della rivoluzione, quello che di fatto la combatte al sicuro al caldo negli scantinati, ma che anche lui dovrà ridimensionare la forza dei suoi ideali davanti ai metodi brutali di una realtà che avanza come una forza e con metodi e aspetto di estrema destra. Se Leone ci ha sempre regalato cattivi anche perfidi ma con un etica, Günther Reza (il volto scavato di Antoine Saint-John) non ha il dramma di Indio ne la silhouette elegante di Sentenza, è il male come lo potrebbe intendere solo un disilluso elettore di sinistra, infatti sembra un nazista.

Di tanti cattivi dipinti da Leone, questo è il più infame di tutti.

La tradizione vuole che i capitoli di mezzo di una trilogia, siano sempre quelli più drammatici, valeva per Per qualche dollaro in più e succede lo stesso per “Giù la testa”: le lunghe carrellate sulle fucilazioni mettono in chiaro che Mesa Verde non è mai stata così lontana dai sogni di gloria di Juan e Rod Steiger sarà stato anche un chiacchierone sul set, ma il suo faccione rubicondo passa dalla gioia assoluta all’inizio del film, allo sconforto più totale nei momenti tragici. Il tema delle vendetta è ricorrente nei personaggi leoniani e in “Giù la testa” Juan percorre un arco narrativo completo davanti ai nostri occhi a differenza del Colonello o Armonica che volevano vendetta per torti raccontati solo in scene flashback. La particolarità di questo personaggio è che da spettatori ci troviamo a seguirlo anche dopo la sua vendetta, quando quello che gli resta è solo il suo compare John e il sogno di qualche altra “Mesa Verde” in giro per l’America. Quel suo malinconico «E adesso io?» nel finale, è un po’ il nostro, visto che questi personaggi siamo costretti a salutarli sui titoli di coda, ma soprattutto quello di chi della rivoluzione, ha visto e subito solo le parti meno gloriose.

Per essere uno che ha smesso cinicamente di credere nel Marxismo e nel potere redentore del cinema, questa cosetta della settima arte a Leone riesce benino e nel finale (proprio come John) si affida al suo ultimo baluardo, la dinamite e… Beh, i treni, l’altra grande passione del regista. Non mancano mai i treni nei film di Leone e nella “trilogia del tempo” hanno sempre un ruolo chiave, se in C’era una volta il West rappresentavano la fine di un’era, qui rappresentano la fine degli ideali.

L’unica certezza che ci resta: La dinamite!

Quanti ex Brigadisti Rossi si sono riconosciuti in John? Quanti peones come voi e me (più me che voi) hanno smesso di credere in “quelli che leggono i libri”? Francesco Guccini ha composto quel capolavoro che è “La locomotiva” nel 1972, chissà se quando ha scritto di quel treno, con dentro un potere tremendo (…La stessa forza della dinamite) aveva visto “Giù la testa”? Lui almeno non ha terrorizzato la maestra dichiarando la propria affiliazione alle fila dell’IRA.

“Giù la testa” è il mio Leone preferito perché è epico, divertente, figo, ma anche malinconico, disilluso e cinico, come chi ha imparato che la distinzione tra buoni e cattivi non è netta come quella tra il rosso e il nero, ma soprattutto è cinema, allo stato puro e nel pieno della sua deflagrante potenza, abbiamo perso il Messico, l’Irlanda e gli ideali, ci resta solo la dinamite e perciò fino a mercoledì prossimo… Giù la testa, coglione (cit.)

P.S. Vi ricordo il post su questo film di la Fabbrica dei sogni, e vi pongo una domanda: Chi vuole un post su “Giù la testa” scritto da Quinto Moro?

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