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Giurato numero 2 (2024): la parola al giurato Eastwood

A quanti ultimi film di Clint Eastwood siamo arrivati? Stando alla stampa specializzata saranno più o meno dieci anni che sembra non si possa leggere un parere sul suo nuovo film senza quell’effetto “coccodrillo” di sottofondo? Da allora l’inossidabile Clint ha sfornato circa un titolo l’anno, per il 2024 è questo, il per nulla pubblicizzato “Giurato numero 2”.

Come avete intuito, le penne stipendiate devo metterci il guacamole, qualche problema di salute che ha ritardato le riprese, oltre al nostro Eastwood che la lasciato intendere che forse sì, potrebbe smettere, che nel suo dizionario vuol dire che ha mezzo sollevato un sopracciglio, nulla di più.

«In realtà dicevo che avrei smesso sì, ma di farmi la barba»

Poi non vuoi condire tutto con l’argomento caldo nel mondo ad oggi, data novembre 2024? Eastwood non ha nascosto il suo appoggio al nuovo, o meglio, secondo estratto, presidente americano eletto e quindi, secondo qualcuno, Hollywood lo avrebbe “punito” facendo uscire il suo “Juror #2” in un numero di copie limitato, trentuno per la precisione, un numero da titolo medio in uno strambo Paese a forma di scarpa, praticamente una visione da cinema parrocchiale negli Stati Uniti.

La verità è diversa, la Warner già mirava a far uscire il film in streaming e il motivo del rallentamento (forse) annunciato da Clint per me sta tutto qui, alla fine sono gli stessi che sono riusciti a far incazzare il loro pupillo Nolan, che comunque al botteghino muove due soldi in più dell’ultimo Eastwood, quindi si riduce a questo, una strategia commerciale, discutibile quanto volete ma tarata sui risultati degli ultimi film di Eastwood al botteghino, tipo Cry Macho, il titolo pomo della discordia tra me e quelle merde di Blogger, il titolo che a mio modo, di ispirazione eastwoodiana, sono ancora qui, a volare.

Eppure “Giurato numero 2” è tutto tranne che un titolo trumpiano, forse sarebbe stato più facile per molte penne stipendiate giudicarlo se così fosse stato, in realtà è l’ennesimo e coerentissimo esempio del cinema etico di Eastwood, quel tipo di storie che ruotano attorno a persone ordinarie in cui a tenere banco è il fattore umano, quello che fa davvero la differenza.

Il giurato dagli occhi di ghiaccio.

Un po’ come nel recente Richard Jewell, anche in “Giurato Numero 2”, l’ex sindaco di Carmel-by-the-sea ci mette di fronte ad una situazione giudiziaria al limite, non per dire che i giudici sono tutti comunisti e difendere i suoi interessi economici, ma per fare quello che Eastwood ha sempre fatto, parlare in maniera lucida del suo Paese, quello che volenti o nolenti tira ancora le fila di tutto il mondo occidentale. Ancora una volta abbiamo un innocente imputato, solo che il punto di vista, Hitchockianamente, non è dell’innocente Riccardo Gioiello, queata volta il regista chiarisce presto chi è l’involontario colpevole della morte di Kendall Carter (Francesca Eastwood) ed è proprio il nostro punto di vista di spettatori sulla storia, ovvero Justin Kemp (Nicholas Hoult), il giurato numero due del titolo.

Pensate un po’ a Mystic River, in quel caso coloro che agivano in nome della verità, facevano scadere tutto in una vittoria di Pirro, una menzogna da mandare dritta sul fondo del fiume, a distanza di una ventina d’anni da quel film, il tema resta simile, ma le modalità meno feroci, più distaccate, forse figlie di una società abituata a giudicare a distanza, al sicuro sui Social-Cosi.

«Ma come ha fatto Henry Fonda?»

Il giurato numero due del titolo è un tipo ordinario, giornalista locale, marito e padre di una figlia in arrivo, chiamato al suo americanissimo dovere di giurato proprio negli ultimi giorni della difficile gravidanza della moglie. La giuria popolare dovrà decidere di quello che pare un omicidio intenzionale: l’accusato, con diversi precedenti nel suo passato, è sospettato di aver ucciso la compagna a bordo strada, dopo essere stato visto da numerosi testimoni a litigare con lei in un pub, e di aver lanciato il suo cadavere in un fossato.

Tutto lo scavare nella dinamica dell’incidente suscita ricordi in Justin, anche lui ha frequentato quel bar quasi pronto a cedere all’idea di tornare a bere dopo anni di sobrietà, il suo ricordo è quello di aver urtato un cervo, e sul tonfo secco che fa eco nei ricordi di Justin, Eastwood ritorna spesso, rendendolo ogni volta più spaventoso. Tra i segni sul paraurti del suo pick-up e unendo i puntini, Justin sa che l’imputato non è colpevole, perché il vero involontario assassino è lui.

La trama ed Eastwood costruiscono un riuscito parallelismo con Justin, come se l’imputato fosse una versione meno fortunata del protagonista, il nostro giurato numero due, per non avere un innocente sulla coscienza, dovrà provare a fare come il mitico giurato numero otto impersonato da Henry Fonda nel classico di Lumet La parola ai giurati, ovviamente citato apertamente perché non può che essere così. La differenza sostanziale consiste nel fatto che il primo giurato a dare man forte alla teoria dell’innocenza, supportata per motivi opportunistici e di senso di colpa da Justin, è un altro anziano signore, ma questa volta fatto a forma di J.K. Simmons.

La faccia di chi sta facendo la conta per capire quanti ne ha ancora da convincere.

La sceneggiatura dell’esordiente Jonathan Abrams… No scusate, riparto, la sceneggiatura dell’esordiente Jonathan Abrams… Niente, ho un dubbio. Jonathan Abrams, J. Abrams. Ok, una “J” in meno può fare una bella differenza, mi sono sbloccato, riparto per l’ultima volta… La sceneggiatura dell’esordiente Jonathan Abrams descrive un tipo di umanità che ben si sposa con la poetica di Eastwood. L’avvocatessa Toni Collette, che punta al ruolo di procuratrice distrettuale e vuole cavalcare il clamore di un femminicidio per farlo, può sembrare una critica ad una certa parte di popolazione, in realtà è un personaggio realistico, ben sfaccettato e ovviamente recitato alla grande da Toni Collette (una sicurezza), che per altro si ritrova su un set con Nicholas Hoult, ventidue anni dopo “About a boy”.

L’avvocatessa della accusa impersonata da Toni Collette per certi versi, sarebbe la cattiva della storia, oppure l’eroina che cerca la verità, infatti è proprio lei quella che non mollerà fino alla fine, quella che malgrado tutto sentirà il bisogno di andare e vedere con i propri occhi, per avere una risposta, per trovare una verità che va oltre le parole e che può essere compresa solo guardandosi in faccia, puro Eastwood.

«Devo dire che sei cresciuto dall’ultima volta», «Tu invece sei sempre brava uguale»

Nel mezzo, una serie di giurati che come commentatori sui Social dicono la loro sulla base del loro vissuto, sui loro preconcetti o di quello in cui credono, ma per certi versi al sicuro, proprio come sui Social giudicano senza il livello di coinvolgimento che invece Justin non può che avere e che a suo modo, cerca di influenzare.

“Giurato numero 2” funziona ovviamente sul piano del “legal thriller” in cui la parte netta è quella del thriller, perché la mossa Hitchockiana di dare al pubblico più informazioni di quelle, in questo caso del resto dei giurati, crea un piccolo sporco segreto condiviso, che non può che portare proprio dove Eastwood ci vuole portare tutti, in quella zona grigia che il cinema contemporaneo spesso evita (trentuno sale negli Stati Uniti, ve lo ricordo) in cui come spettatori possiamo farci una sola domanda: ed io cosa farei al suo posto?

Trova l’intruso, il giurato infiltrato.

In quanto giurato numero Cassidy, ve le dico proprio tutte, il difetto più grosso di “Juror #2” oltre alla NON pubblicità fornitagli dalla Warner per me resta una certa difficoltà, condivisa con altri registi della sua leva, ad adattarsi in modo organico alla fotografia digitale, certe transizioni di montaggio risultano piuttosto bruttine, o meglio, fuori tono rispetto al cinema americano classico di cui questo signore, di novantaquattro primavere è fiero rappresentante, ma questo è più che altro una questione di trasparenza da parte mia, perché ancora una volta Clint Eastwood avrà messo su un altro titolo dal montaggio e dal taglio delle inquadrature volutamente classico, ma che parla ancora del suo Paese, anzi, dell’umanità dell’anno 2024, inquadrando la situazione molto bene, correte a vederlo, tanto il seguito del gladiatore farà soldi (forse) lo stesso, invece alla faccia delle penne stipendiate e dei loro coccodrilli già pronti, di film così abbiamo sempre bisogno, grazie Clint.

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