Una volta da ragazzetto, dodici o tredici anni, avevo pensato di scrivere la storia di un supereroe con i poteri temporaneamente KO, finito in un manicomio, dove nessuno, ovviamente, credeva alla sua versione dei fatti.
Nella mia testa la storia doveva instillare nella mente del molto ipotetico lettore, il dubbio sulle parole del protagonista, anzi, lui stesso avrebbe dovuto dubitare di se stesso, prima di rilanciarsi in un finale in cui, a quel punto, non sarebbe stato nemmeno necessario mostrare l’azione… Se fossi stato abbastanza bravo a scriverla. Quella storia non è mai diventata niente perché un vecchio racconto di Marshal Law, scritto e disegnato da quei due punk di Pat Mills e Kevin O’Neill, aveva già reso antica la mia idea, ma mentre guardavo “Glass” mi è tornata in mente e un po’ mi consolo, perché alla fine M. Night Shyamalan è riuscito a scriverla, almeno lui lo ha fatto davvero oltre che a dirigerla, ma il risultato non è tutto pesche e crema.
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«Sarà difficile dare indicazioni agli attori, mantenendo questa posa da super eroe» |
Non avevo aspettative per questo film, consapevole di un dettaglio non da poco: Unbreakable resta un film fantastico e irripetibile, non ci sono più le condizioni, né per Shyamal… Shyam… Michael Knight, né per nessun altro regista di replicarne il tono, perché quel film ha silenziosamente contribuito a creare un genere, quello dei supereroi, che diciannove anni dopo domina il cinema e i botteghini.
Non so bene come sia andata, malgrado tutti i difetti del cinema del regista di Philadelphia, ma indiano di origine (indiano d’America!) Split era riuscito a mandare a segno un thriller originale che zitto zitto, s’incastrava nel solco dei film di supereroi. La leggenda vuole che l’Orda, il personaggio interpretato da James McAvoy era già previsto nella prima bozza di sceneggiatura di “Unbreakable” salvo poi venir tagliato, sarà per quello che con quella scena dopo i titoli di coda, Michael Knight si è lasciato tentare da inserire nuovamente il protagonista di Unbreakable? Avrà ricevuto delle pressioni dal suo nuovo produttore di fiducia Jason Blum? È stata una cosa fatta così per ridere? Dettata magari dal fatto che Bruce Willis, se lo chiamate, pagando il giusto, vi porta fuori anche il cane visto che la sua carriera non va proprio nel più luccicante dei modi?
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Il regista illustra al suo nuovo dog sitter Bruce la taglia del suo bassotto. |
Sta di fatto che Michael Knight si è ritrovato ad affrontare qualcosa di peggio dell’Orda, ma una serie di aspettative da parte del pubblico (meglio note come AAAAAAAAIIIIIIIIIIPPPPP, come dicono i giovani) che alla luce del risultato, forse lo hanno sopraffatto, evidentemente questo “Glass” piombato tra capo e collo ha sorpreso un po’ anche lui.
“Glass” inizia nel migliore dei modi, il primo atto è talmente buono da far pensare che il nostro Shyamalalàlàlàlà-là avesse davvero un piano a lungo termine peri suoi personaggi ed utilizza la prima ventina di minuti per aggiornarci sulla storia dei suoi tre protagonisti. Siccome il regista lo conosciamo, io vi rassicuro NO SPOILER! Giurin giurello!
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«Cassidy! Se fai spoiler giuro che m’incazzo!» |
David Dunn (Bruce Willis) continua la sua attività di “sorvegliante” incappucciato costruendosi una certa fama nella città di Philadelphia, il suo personale Alfred Pennyworth che lo aiuta a distanza è il figlio Joseph (Spencer Treat Clark) e i due sono sulle piste del misterioso rapitore di ragazzini dalle multiple personalità noto come l’Orda (James McAvoy, disponibile con tutte le voci e le vocine che volete), lo scontro tra i due è inevitabile e Michael Knight lo dirige in stile con i due capitoli precedenti di questa saga espansa, in maniera volutamente anti spettacolare, un duello fatto di primi piani e inquadrature ravvicinate, che termina con il doppio arresto di entrambi i personaggi, condotti a forza nel manicomio di Raven Hill, la locale versione dell’Arkham Asylum, il posto che da diciannove anni ospita l’Uomo di vetro, Mister Glass come preferisce essere chiamato ora, Elijah Price (Samuel L. Jackson).
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La mia faccia, quando qualcuno mi dice che è andato a vedere “Glass”, perché gli è piaciuto “Split” ma non ha mai visto “Unbreakable”. |
La nuova arrivata è la dottoressa Ellie Staple (Sarah Paulson) psicologa specializzata in pazienti convinti di essere supereroi e la domanda che mi sono fatto per tutto il tempo del film è stata: “Ha tanto lavoro questa donna?”. Cioè: quanti umani convinti di essere super-tizi ci saranno mai per giustificare una specializzazione? Ma con Shyamal… Shyam… Michael Knight, dietro l’angolo, uno il colpo di scena un po’ se lo aspetta, peccato che qui arrivi sotto forma di un secondo atto dove letteralmente “Glass” s’impantana su se stesso.
Parliamoci chiaro: una cosa è sfornare film dal ritmo volutamente lento, che ci mettono molto a portare trama e personaggi dove vuole il regista di The Visit, un’altra è avere una storia che non va da nessuno parte e non riesce a gestire in maniera convincete il fatto che i tre protagonisti (e i rispettivi “Sidekick”, le spalle, come si direbbe in un fumetto di supereroi) smettano quasi totalmente di credere nei poteri che a questo punto, doveva essere qualcosa di consolidato.
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«Mi stai dicendo che noi tre in pratica saremmo Robin?» |
Se Unbreakable era in grado d’incantare scoprendo le carte poco alla volta e Split di coinvolgere grazie a del thriller più che decente, “Glass” nella parte centrale dovrebbe far dubitare anche noi spettatori di quello che pensiamo di sapere sui protagonisti, peccato che manchi il bersaglio di un paio di metri, relegando a ruoli marginali i personaggi di contorno, Joseph Dunn che è sempre stato quello mosso da una fede certa, dubita per futili motivi e i personaggi di Anya Taylor-Joy Charlayne Woodard (che ha cinque anni più di Sam Jackson, ma interpreta sua madre) vengono ridimensionate al ruolo di generiche esperte di fumetti improvvisate, poca roba insomma.
Certo, Michael Knight lo fa senza perdere il suo stile, giocando ancora una volta con i colori che nel suo cinema sono sempre fondamentali, nella scena dell’anticlimatica rivelazione, i tre protagonisti si ritrovano in una stanza che è davvero troppo rosa per essere solo un caso, non ho indagato, ma sono sicuro che Shyamalan ha una spiegazione per questo rosso annacquato che ha di certo a che fare con la natura stessa della scena, ma se vi dicessi che ho capito perché ha scelto proprio il rosa mentirei, un misto dei colori dei tre personaggi? Il viola di Price, il giallo di Kevin e il verde di David? Bah, dubito che i tre colori insieme facciamo un rosa fenicottero.
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«Uhm rosa. Io lo odio il rosa» |
Parliamo dell’elefante (Indiano) al centro della stanza: i colpi di scena finali del regista sono forse il suo marchio di fabbrica più famoso, il famigerato “Shyamalan twist” qui è quasi anticipato dallo stesso M. Night Shyamalan che riprendendo il suo piccolo ruolo in Unbreakable, mette su un discorso che diventa chiaro solo dopo l’ultima scena del film. Siamo al primo caso di regista che fa “Spoiler” sul suo stesso film!
Ma gli indizi, come sempre, nei film del regista non mancano, Elijah Price ad un certo punto dichiara che questa è sempre stata una storia di origini, lo è sempre stata, infatti la svolta più grossa di “Glass” è un momento di “Retroactive continuity”, un concetto che i lettori di fumetti di supereroi ben conoscono, quando una nuova rivelazione modifica la storia passata dei personaggi per come la conosciamo.
Sì, perché in questo senso “Glass” è un omaggio ai fumetti, fatto da un appassionato come Shyamalan, uscito in un momento in cui a differenza dell’uscita del primo capitolo di questa saga, un pubblico per questo tipo di film nemmeno esisteva, peccato che “Glass” non riesca a spingersi fino a dove era arrivato Unbreakable, limitandosi a concludere l’arco narrativo dei personaggi in un modo molto coraggioso, prima che l’indecisione sul cosa fare con questa storia un po’ piovuta dal cielo, colga Michael Knight che trasforma tutto in un proliferare di finali uno in coda all’altro, nemmeno fossero alla posta.
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No, non è la stagione di American Horro Story ambientata in fumetteria (bentornate inquadrature riflesse!) |
Ho trovato l’idea di mostrare gli scontri, scegliendo sempre l’angolo di inquadratura opposto a quello che vedreste utilizzato in qualunque film di supereroi, un’idea molto azzeccata, un modo efficace per portare avanti la natura volutamente realistica e anti spettacolare di questa saga e penso che la conclusione scelta per i suoi personaggi dal regista farà storcere qualche naso (ma se pensate ai film precedenti, non è certo poi così fuori luogo), il problema è nella natura stessa del film.
Al netto della seconda rivelazione, dubito che quel grosso piano che va avanti con successo da tutto quel tempo, possa davvero andare in pezzi come ci viene mostrato nel film, ma il problema non è nemmeno questo, Unbreakable è stato il film che ha spiegato il mondo dei fumetti di supereroi, fino a quel momento riservato a pochi nerd appassionati, ad un’intera platea di pubblico che di lì a poco avrebbe iniziato ad accettare armature volanti, schiocchi di dita apocalittici e tutto il super-cucuzzaro. “Glass” non riesce a concludere la trilogia facendo da epilogo al genere che ha contribuito a creare, un epilogo che molta parte di pubblico forse sta anche aspettando e che, purtroppo, non è arrivato, per il semplice fatto che M. Night Shyamalan ha avuto tutta la sua vita di lettore di fumetti per pensare ad “Unbreakable”, ma solo un paio d’anni dal successo di Split per scrivere questo finale, tempo che, evidentemente, non è bastato per chiudere alla grande come aveva cominciato diciannove anni fa, purtroppo “Glass” non solo aggiunge poco nulla ai personaggi principali (se non quella rivelazione “Retcon”), ma da questo punto di vista è anche un’occasione sprecata.
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Se ve lo state chiedendo, quella dietro non è la cheerleader di “Heroes”. |
Quello, invece, per cui questo film risulta estremamente coerente all’interno della filmografia alla quale appartiene, è il messaggio finale, sì, proprio quello “Spoilerato” (perdonatemi l’orribile anglicismo, ma se siete sopravvissuti al non-doppiaggio di questo film, pieno di parole non tradotte, spero che una vogliate concederla anche a me) dal regista in persona, perché in tutti i film di M. Night Shyamalan, i personaggi sono alla ricerca di loro stessi, della loro fede e del loro posto nel mondo, in questo senso il finale è incredibilmente ottimista, anzi, proprio positivo, quasi un invito a seguire la strada che i fumetti da sempre indicano e di cercare il buono (e il supereroe) dentro di noi, un finale talmente bello che però va diluito se messo in coda ad un film con così tanti vistosi cali di ritmo e indecisioni nel finale.
Anche il cast, purtroppo, va a corrente alternata, Sarah Paulson che ultimamente si vede in tutti i film, dopo otto stagioni di sovraesposizione in American Horror Story mi è diventata così insopportabile da essere perfetta per il suo ruolo, ma a prendersi davvero il film divorandolo è James McAvoy.
Ora, io ho il sospetto che M. Night Shyamalan, la Blumhouse e la Universal, un po’ lo sapessero che buona parte del pubblico che scalpitava per vedere “Glass” in realtà Unbreakable non lo aveva mai visto, questo forse spiega perché la maggior parte dei minuti sono dedicati a Kevin Wendell Crumb e a tutta quella stanza piena di gente che è la sua testa, giusta decisione considerata la già citata svolta e il fatto che James McAvoy sia perfettamente a suo agio in tutte le personalità multiple del personaggio, davvero bravo, anche a intrannere il pubblico con il continuo rimbalzare tra personaggi.
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«Yuppi! Mi hanno fatto i complimenti sulla Bara Volante, balletto della gioia!» |
Samuel L. Jackson ci mette quaranta minuti per entrare in scena, ma grazie al suo carisma si prende le redini morali del film, provateci voi con quella cofana di capelli brizzolati in testa e poi ne riparliamo! Ma la vera coltellata al cuore per me è dover fare i conti con lo stato della carriera di Bruce Willis.
Ero abbastanza sicuro che “Glass” potesse rappresentare l’ultima chiamata per la carriera di Bruce Willis, ormai perso in un mare magnum di titoli DTV, in cui compare sulla locandina, due minuti nel film, incassa l’assegno e sparisce. Fallito il tentativo di suicidio assistito artistico del remake di Il giustiziere della notte (un disastro annunciato) restava davvero solo tornare sotto la cerata verde di David Dunn, il risultato è una sofferenza.
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Bruce magneticamente attratto da un cantiere da guardare (torna Bruce! Io credo ancora in te) |
Faccio il conto della serva: in dieci scene in cui compare il suo personaggio, in cinque Bruce è stato sostituito dalla controfigura e in tre, a Shyamalan tocca andare a riprendere altrettante scene prese da Unbreakable, per avere qualcosa in termini di emozione dal suo personaggio. Bruce è un vecchio leone che non se la passa benissimo, ma fa male al cuore vederlo aggirarsi per il film, senza più quella capacità di bucare lo schermo che gli è sempre stata propria, come se fosse uno di quei vecchi campioni con le ginocchia e la schiena beh, di vetro, giusto per stare in tema con il film.
Insomma, non avevo nessuna aspettativa per questo “Glass”, ma la speranza e la voglia di credere di cui parla M. Night Shyamalan nel film un po’ sì, peccato che il risultato finale non è stato all’altezza, anche se quel finale potrebbe giustificare che alcuni dei vecchi film del regista e perché no, magari anche dei prossimi, siano tutti parti dello stesso universo: Lo Shyamalan-verse!