Cari lucertoloni atomici, vi siete persi la settimana di proiezione di Godzilla Minus One? Il nostro Quinto Moro vi darà un Godzilione di motivi per recuperarlo.
Ebbene sì, sto invecchiando. Mi capita sempre più raramente di vedere un trailer e dire: “questo film lo voglio vedere assolutamente!” Anche perché non credo più a un trailer dal 2005 o giù di lì. Sono diventato allergico all’hype, poi capita di vedere il trailer di Godzilla -1.0 e di gasarmi come un ragazzino e andare al cinema al primo giorno utile, ritrovandomi davanti agli occhi una goduria di devastazione e orgoglio nippo di rara magnitudine.
Questo è il 37° film della serie Toho su Godzilla, ma il numero importante è un altro: 15. Quindici. Milioni. Di dollari. Questo è il budget, roba che a guardare il film immaginavo Hollywood in fiamme. Se fossi un produttore yankee reagirei trasferendomi seduta stante in Giappone, o fustigando colleghi e sottoposti da un lato all’altro degli States. Io mi chiedo come sia possibile che un film simile sia realizzato con quelli che altrove sono due spicci, o com’è che il blockbuster medio americano di questi tempi sfori regolarmente i 150-200 milioni e poi magari floppare alla grande (e no, non è tutta colpa della pandemia, l’andazzo c’era già).
Godzilla Minus One è una produzione orgogliosamente made in Japan che strizza ogni centesimo ma ci regala città devastate, esplosioni, inseguimenti in mare aperto, navi da guerra squarciate come scatolette e voli in aeroplano. Poco importa che sia l’ennesimo reboot se c’è tutto e di più per un kolossal a tutti gli effetti, negli intenti, nella voglia di emozionare e stupire. Scusate se è poco.
S’è già capito che questo film l’ho adorato. Non avevo chissà quali aspettative, sono un ammiratore di Godzilla ma non un superfan, amo le cose semplici: mostri giganti, esplosioni, morte e distruzione. Ciò che il trailer prometteva il film ha mantenuto, ben al di sopra delle aspettative. Non mi era mai successo, giuro, di ritrovarmi a fine primo tempo e a momenti gridare: “ma quanto dura ‘sto film? Perché fanno già la pausa?” Invece era passata un’ora. Volata. La prima metà del film rasenta la perfezione in termini di ritmo e spazio concesso ai personaggi e a Godzilla. La battaglia sulla barca sembra un riferimento neanche troppo velato a Lo Squalo, ma il film non si fossilizza su una situazione o uno schema, procede sempre spedito, e c’è un senso di epopea dato dalla narrazione spalmata su mesi e anni, anche se – sempre nel finale – la gestione dei tempi è molto più caotica.
La sceneggiatura è tanta roba, specie nella prima parte, mentre nel finale scade un po’. Minus One è come un buon caffè, ti accelera il battito, ed è buono perché amaro e non troppo zuccherato, ma sul finale c’è scappata tutta la bustina. La storia però funziona, coinvolge nella sua semplicità perché punta tutto sulle vicende umane, toccando note di intimità che non mi sarei aspettato.
Siamo sul finire della Seconda Guerra Mondiale, col Giappone ormai agli sgoccioli. Shikishima è un pilota kamikaze che viene meno al suo “dovere” suicida, atterrando su un’isoletta del Pacifico adibita a officina per aeroplani. Sull’aereo di Shikishima non c’è niente da riparare, i meccanici già gli danno del codardo ed ecco che appare Godzilla a peggiorare le cose. Non è il kaiju gigante che conosciamo, è una versione baby alta “appena” dieci metri, ma tanto basta a mettere a ferro e fuoco l’isola e far crescere i rimpianti di Shikishima per non esser stato un buon soldato. Quando poi torna a casa, beh, la casa non c’è più. Tutti morti, e i sopravvissuti gli danno addosso per non aver fatto il suo dovere di kamikaze.
La senso di devastazione è ben visibile nelle buone scenografie, e il senso di generale miseria e prostrazione racchiude il senso del titolo “Minus One”, ovvero il Giappone che dopo le bombe atomiche e la sconfitta era sotto zero, ma il titolo può essere anche interpretato come semplice reboot della saga, facendo un passo indietro anche rispetto al primo storico film.
Minus One è un film sul Giappone che cerca di rialzarsi, e sul dramma di chi è sopravvissuto, vergognandosi per quella vita che non sente di meritare. Shikishima cerca di dare un senso a quel che resta della sua vita – cioè poco – prendendosi cura di una famiglia non sua, e imbarcandosi su una bagnarola per sminare il Pacifico, che non è più così Pacifico visto che nel frattempo baby-Zilla si è preso una testata nucleare sulla capoccia, trasformandosi nel gigante che conosciamo. Le origini nucleari del mostro sono dunque rispettate.
Le apparizioni di Godzilla sono impregnate della giusta dose di minaccia e cazzimma. La prima, in notturna, sembra un escamotage per mascherare la CGI povera. Nient’affatto! Quando lo vediamo emergere dall’oceano in pieno giorno, Godzilla è una vera gioia per gli occhi, anche se meno convincente sulla terraferma per via dell’andatura legnosissima, quasi robotica (che tuttavia sembra voluta). Il design è una via di mezzo tra lo Shin Godzilla e quello visto nel film di Gareth Edwards, cosciotte e coda giganti, sguardo assassino, e scaglie che si caricano di energia atomica. Le scene di distruzione sono tante, brevi ma appaganti. La CGI è notevole nell’assalto alla città di Ginza, spazzata via in pochi minuti con palazzi sbriciolati, esplosioni e onde d’urto. La sensazione di potenza del kaiju permea ogni scena, è una presenza terrificante e ci fa temere per la vita dei protagonisti, al netto di qualche ingenuità con gente che sta ferma per strada a bocca aperta.
Anche se le animazioni di Godzilla sono discontinue, specie nella camminata, i poteri del mostro, i suoi sguardi, la sua fisicità riempiono lo schermo, così come il sonoro. Il ruggito di Godzilla è esagerato, poderoso, a vederlo e sentirlo in sala metteva i brividi ed è un peccato che così poca gente avrà avuto l’opportunità di goderselo al cinema. La colonna sonora è intensa, epica e usata benissimo nei momenti clou, anche da qui si sente tutto l’amore e la cura messi nel progetto. Ho avuto l’impressione che i giapponesi abbiano avuto uno scatto d’orgoglio nel mettercela tutta per riappropriarsi della loro icona nazionale, restituendole il ruolo di minaccia assassina e non di mostracchione benevolo circondato da inutili umani. Minus One usa il mostro per rimettere al centro i personaggi umani, che nel MonsterVerse della Warner sono sempre stati inutili.
La regia di Takashi Yamanaki è solida. Pur mantenendo quella formula da fumettone con esagerazioni e un’epica edulcorata a tratti prevedibile, si percepisce quanto ci abbia creduto. Yamanaki sembra migliorato abissalmente dai tempi del live action Space Battleship Yamato (che pareva quasi un fan-film), e dopo il buon adattamento in CGI di Lupin III c’è da sperare di vederlo all’opera in film sempre meglio distribuiti. La sua sceneggiatura di Minus One è sentita, con una riflessione non banale sul tema dei kamikaze e sul modo in cui il Giappone ha trattato la sua stessa gente durante la guerra. Tutti i temi accennati nella prima parte trovano sempre più spazio nella seconda, con Godzilla che per un po’ scende in secondo piano. C’è anche un po’ di retorica ma ci sta, come in Shin Godzilla, gli attacchi del mostro sono un’occasione per i giapponesi di riflettere su se stessi, di criticare la propria società e il proprio governo. Magari sono io che mi entusiasmo facilmente, ma in un film su un mostro gigante non è poco.
La bellezza di Minus One, è come Godzilla non sia mai soltanto un mostro. Nella prima parte sembra una metafora sul senso di colpa del protagonista, e al crescere di quel senso di colpa anche Godzilla si fa più devastante. Diventa poi la leva per lo spirito di reazione giapponese, di sacrificio e cooperazione, di fiducia nel futuro. Poco male per la retorica, si vuol bene ai personaggi ed è quel che conta.
Il film ha raccolto consensi un po’ ovunque, ed è già un miracolo che sia stato distribuito – poco e male – nel nostro strambo paese a forma di scarpa, una settimana con pochi spettacoli, e solo in lingua originale. Poco male, meglio nessun doppiaggio di una ciofeca fatta in fretta e furia, e magari svogliata. In certe scene, la recitazione dei giapponesi è perfetta, con quel loro andare sopra le righe che fa folklore.
Però caspita, i filmetti del MonsterVerse Warner entrano dalla porta principale dei nostri cinema, e questo Godzillone d’annata ce l’han fatto vedere quasi di nascosto. A questo mondo non c’è proprio giustizia.
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Fede67 ha detto:
Visto ieri in versione doppiata..secondo me un grandissimo film e non me l’aspettavo..Godzilla come metafora dei sensi di colpa, film scritto benissimo
Cassidy ha detto:
Anche io l’ho rivisto, davvero bellissimo. Cheers!
Elfoscuro ha detto:
Bello, davvero ben elaborato. Ho adorato le strizzatine d’occhio alle meglio scene di Spielberg, cosa che non guasta. Godzy sempre imponente e devastante al punto giusto.
Cassidy ha detto:
Ha i Titani e sa come usarli, ‘Zilla e zio Steven 😉 Cheers