Su questa Bara non mi sono fatto mancare niente, ho
portato film d’animazione, titoli con Nick Cage, follie da Oriente ad Occidente. Non mi sono fermato davanti a niente lanciando addosso a voi Bariste
e Baristi ogni genere di film matto, ma quello di oggi attenta almeno ad una
delle prime dieci posizioni dell’assurdità, eppure deve stare su questa Bara
perché è il nuovo capitolo della rubrica… Hurricane Billy!
«Ho lavorato con molti talenti, ma solo con pochi geni.
Uno di questi fu Sonny Bono».
Così William Friedkin definisce il celebre cantante nella
sua autobiografia “Il buio e la luce” (Bompiani… Altamente consigliata da cui
ho pescato parecchio materiale per questa rubrica), anche perché Bono,
cresciuto artisticamente come galoppino di Phil Spector, il leggendario
produttore Rock creatore del “wall of sound”, era un artista dotato di
manifesto talento, totalmente incapace di leggere una nota su uno spartito,
Sonny Bono scendeva dal letto con una canzoncina accattivante nella testa,
faceva una telefonata al suo arrangiatore Harold Battiste junior che riversava
su un pentagramma il motivetto canticchiato da Bono che, non pago e in preda ad
una visione artistica che esisteva apparentemente già fatta e finita nella sua
testa, chiedeva di aggiungere percussioni, archi, trombe, controcanti per poi
concludere l’opera chiedendo alla sua giovanissima fidanzata, Cherilyn
Sarkisian LaPierre, in arte Cher (ho scoperto grazie al libro che Cher ha anche
un cognome), diciotto anni e già un regale distacco degno della miglior Greta
Garbo, di cantare il ritornello. Risultato? Pezzi in grado di scalare le
classifiche, conquistandosi la rotazione costante nelle radio e accumulando il
numero di dischi venduti. Sonny Bono si definiva il tramite attraverso cui la
musica fluiva, come i grandi compositori del calibro di Stravinskij, con la
differenza che lui e Cher hanno venduto qualcosa come ottanta milioni di
dischi, prima di venire spazzati via dal cambio dei gusti del pubblico,
dall’ondata Rock ‘n’ Roll degli anni ’70 capitanata da gruppi come i Rolling
Stones, i Doors e i Jefferson Airplane, senza contare poi la separazione, non
solo artistica, tra Sonny e Cher, che come solista sarebbe diventata una diva e
un’icona per un altro paio di decadi o forse più, anche perché sospetto che sia
immortale.
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Questi due insieme hanno venduto più dischi di un negozio di vinili usati. |
In questo trionfo musicale che ruolo potrebbe avere un
giovane regista, conosciuto per i suoi documentari e per la regia di un
episodio di “L’ora di Hitchcock” come William Friedkin? Semplice, vuoi non far
fare un film a Sonny e Cher per sfruttare la loro enorme popolarità? Ma perché
proprio il nostro “Hurricane Billy”? Perché Nicholas Hyams, autore del soggetto
del film e stretto collaboratore di Sonny, aveva proposto di fare un
documentario sulla vita della coppia, anche perché detta fuori dai denti:
sognava di dirigerlo lui il film. Ma quando venne proposto lo specialista di documentari Friedkin, tra lui e Sonny nacque un’amicizia, il nostro Billy era
costantemente a casa di Sonny e Cher, tenuto d’occhio sia
dall’invidioso Nicholas Hyams che da Joe DiCarlo, un tipo nervoso esperto di
arti marziali, che ricopriva il ruolo di guardia del corpo di Sonny e Cher.
Fare un documentario realistico sulla vita delle due
celebrità era impossibile secondo Friedkin, le loro dinamiche di coppia erano
troppo strambe, quindi l’unica opzione era gettarsi sulla fiction anche perché
il nostro Billy continuava a coltivare il sogno di diventare un regista di film
e non più di documentari, quindi gomito a gomito con Sonny i due tentarono di buttare
giù una sceneggiatura, alimentati con litri di zuppa di vongole, piatto di cui
Bono era ghiotto (storia vera).
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Da notare che Sonny ha lo stesso taglio di Cher, solo più corto. |
Mentre la pre-produzione del film faticava a cominciare,
William Friedkin ricevette dal suo agente Tony Fantozzi una di quelle notizie
in grado di far vacillare chiunque: uno dei grandi idoli del nostro Billy, il
regista John Frankenheimer (se avete un cappello in testa, questo sarebbe il
momento di togliervelo in segno di rispetto), aveva messo gli occhi su di lui,
lo voleva come regista della seconda unità per un film sulla formula 1 che
aveva nel mirino quello che sarebbe diventato quella pietra miliare di “Gran
Prix” (1966) il film che fino a Giorni di Tuono è stato il modello da imitare per raccontare le gare di corsa al
cinema. Billy è pronto a gettarsi tra le braccia del suo mito al grido di
«Johnny! Johnny!», ma il suo agente gli porta buoni argomenti: “Se farai una
buona regia per la seconda unità per Frankenheimer, avrai fatto il tuo e farai
solo più quello a vita. Se dovessi sbagliare non troveresti più lavoro nemmeno
in una pompa di benzina. Ma se farai il film su Sonny e Cher firmerai un film
tutto tuo, buono o no, loro sono così famosi e tu ti sarai fatto notare”. Le
ragioni pratiche hanno la meglio su quelle del cuore, Friedkin era pronto a
mettersi al servizio del musicarello con le due celebrità.
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“Ultime notizie: Friedkin ha voltato le spalle al suo eroe cinematografico, restate sintonizzati per i dettagli” |
Il piano di Sonny Bono e Billy Friedkin è il più classico
dei “scrivi di quello che conosci”, il soggetto del film diventa quello di
Sonny e Cher, famosa coppia di cantanti che vogliono fare il loro primo film e
fanno i conti su quanto sono disposti a vendersi accettando compromessi pur di
farlo. Direi che cantante e aspirante regista non avrebbero potuto essere più
onesti di così, per dare un tocco “faustiano” al tutto, viene aggiunto il
personaggio di Mordicus, il mefistofelico produttore che offre a Sonny e Cher
questo particolare patto cinematografico. Friedkin era entusiasta di poter
dirigere nel ruolo George Sanders, attore che aveva ammirato in “Eva contro
Eva” (1950), ma presto il giovane registra scoprì che chi è un mito sul grande
schermo non per forza deve esserlo anche nella vita reale, Sanders era in preda
ai suoi demoni personali, accettò i suggerimenti del giovane regista, ma per
lui quella roba era solo lavoro e niente di più, benvenuto ad Hollywood Billy!
Sonny Bono riesce ad evitare a tutti di ritrovarsi a
lavorare su un film intitolato “The Sonny and Cher Movie”, componendo come al
solito di getto “Good Times”, il prossimo brano da lanciare diventando anche il
titolo del film, a questo punto ci vuole solo qualcuno che metta su carta le
idee, per questo viene assunta una dattilografa, entusiasta di conoscere i
mitici Sonny e Cher dal vivo, la ragazza viene abbandonata davanti ad una
macchina da scrivere per diverse ore, risultato finale? Afflitta da fanatismo
congenito la ragazza aveva buttato giù un’idea tutta sua, su una giovane
dattilografa che dopo aver conosciuto Sonny e Cher arriva a diventare la loro
manager. La mitomane è stata allontanata, ma non prima di ricevere in cambio
gli avanzi della zuppa di vongole preferita di Bono, storia vera e ve lo dico
subito: gli aneddoti di produzione di questo film sono ben più interessanti
della pellicola stessa.
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Il titolo del film e la tradizione della rubrica, l’abbiamo messa in cassaforte. |
La realizzazione, infatti, ha avuto più di un intoppo, Cher
era professionale, ma distaccata, il suo sogno era fare cinema, ma non così, in
linea di massima ci sarebbe riuscita (premio Oscar come miglior attrice per
“Stregata dalla luna” nel 1987, altro che ‘sto coso canterino), quindi girava le
sue scene credendoci il giusto, il tutto mentre Friedkin realizzò che tra un
intoppo e l’altro, dopo giorni sul set avevano solo 45 minuti di girato utile e
rischiavano già di sforare il risicato budget di mezzo milione disponibile.
Qualunque altro regista esordiente, alle prese con un musicarello con due divi
e le sirene di Frankenheimer nelle orecchie, alla prima difficoltà avrebbe
smollato il colpo, ma qui Friedkin mostrò di che stoffa era fatto, la sua
esperienza come documentarista tornò molto utile.
Di fatto Billy gironzolando con cast e troupe sui set
della ABC, cominciò a girare scene utilizzando le scenografie e i costumi
disponibili e i costumi lasciati a prender polvere, tutto senza licenza o
autorizzazione, non dico proprio “Guerrilla style”, ma quasi. Ci sono costumi
Western? Cher mettiti davanti al pianoforte e canta “Good Times” vai! Facendo
così non solo il girato utilizzabile lievitò, ma si poteva fare quasi tutto
senza spendere molto, certo, poi sarebbe stato necessario rimontare tutto
insieme, ma quello Friedkin sapeva come farlo forte della sua esperienza come
documentarista, non aspettatevi qualcosa di morigerato e cartesiano, perché
se l’idea di un film su Sonny e Cher che cercano di sfondare ad Hollywood vi
sembra assurda è solo perché non avete avuto il piacere di vedere il risultato
finale.
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Cher ci canta qualcosa, davanti ad un set organizzato ad arte (seee proprio!) |
Ad Austin, qualcuno ha avuto l’onore di godersi
un’anteprima organizzata con l’idea di rendere l’uscita del film, un grande
bagno di folla per i due cantanti, ma nella sonnolenta cittadina del Texas, la
risposta di pubblico fu scarsa, alla parata organizzata prima della proiezione
parteciparono in pochi, molti dei quali nemmeno sapevano chi erano quei due
fricchettoni vestiti strani che salutavano dalla loro auto. In compenso, in sala
le persone erano ancora meno, attratte più che altro dalla gara di imitatori di
Sonny e Cher organizzata per dare un tocco di colore, primo premio? Un viaggio
in California per visitare la casa di Sonny e Cher (storia vera).
Su “Good Times” cosa vorreste sapere esattamente da me?
No, nel senso, cosa vi dovrei raccontare? Io di roba strana nella mia vita di
cinefilo ne ho vista, ma questo titolo prende gli schiaffi dai film di Celentano
che comunque sono oro vero, anzi credo che in uno scontro diretto, “Good Times”
uscirebbe con le ossa rotte anche contro i musicarelli nostrani, quelli con
Gianni Morandi oppure con Al Bano e Romina. Si comincia con Sonny e Cher
chiamati nell’ufficio di Mordicus che per convincerli del loro potenziale sul
grande schermo, fa vedere un loro filmato girato per la tv (in realtà da
Friedkin gironzolando tra i set abbandonati) dove Sonny e Cher cantano “It’s the
little things” davanti a quadri in stile pop art che ritraggono Batman e Dick
Tracy, il livello lisergico del film è già bello alto e siamo solo all’inizio.
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Mi sento già travolto dalla psichedelia e siamo solo ad inizio film. |
Per tentare di giustificare le scene “rubate” girate con
costumi Western riciclati, Friedkin s’inventa un duello per strada, tra Sonny
e un bambino, entrambi armati di pistoline in plastica, che fa cominciare il
flashback Western intitolato “The saga of Irving Ringo”, non pensate
propriamente a Sergio Leone, ma nemmeno a Trinità, diciamo che è qualcosa che
per costumi e trovate avrebbe fatto impallidire anche Roy Rogers, con Sonny
alle prese con il tabasco nella zuppa e Cher che per lo meno quando canta “Good
Times” lo sa fare. E se pensate che io mi stia inventando tutto, vi sfido a
guardarlo questo film, io l’ho fatto e ho capito perché chiunque si lanci
nell’impresa di scrivere qualcosa su un regista che ha fatto la storia del
cinema come William Friedkin, di solito salta a piè pari questa porzione della
sua carriera gettandosi subito sui titoli grossi.
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“Non hai mai visto un film western?”, “Ma certo, Doc. E Clint Eastwood non ha mai indossato niente del genere”, “Clint chi?” (cit.) |
Vorrei avere una spiegazione sulla trovata di mettere un
piccolo caschetto sulla testa dello Yorkshire di casa, a cui Sonny prepara la
pappa in una scena, ma sono più tentato di prescrivervi la pelliccia con cui
Cher torna nell’ufficio di Mordicus, uno che nell’atrio fa combattere due
lottatori così, per il suo diletto personale, mentre Cher sfila con addosso una
pellicciona a pois che sembra urlare fortissimo: Crudelia levati, ma levati proprio!
Cher viene colta da malinconia e aggirandosi tra
diligenze abbondante e pezzi di set anacronistici canta un’altra canzone, roba
che qui a casa Cassidy, dove si guarda “Burlesque” (2010… sempre pescando dalla
filmografia di Cher) a ripetizione ad uso ridere (ridere forte),
improvvisamente il film con Christina Aguilera e i suoi vestiti anti-gravità,
messo accanto a “Good Times” sembra non dico “West side story film” (1961), ma
quasi.
Se pensate che sia tutto, è perché non avete idee di cosa
accada ancora in “Good Times”, evidentemente William Friedkin deve aver scovato
costumi e animali da qualche film o telefilm su Tarzan, perché in questo
delirio lisergico, improvvisamente Sonny e Cher alla ricerca del genere giusto
per il loro film, si ritrovano novelli Tarzan e Jane a vivere in una casa
sull’albero, una roba da far rimpiangere immediatamente i nostri Sandra e Raimondo.
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E voi pensavate che “L’esorcista” fosse il film più spaventoso di Friedkin eh? |
In quello che sembra anticipare la pubblicità delle
Gocciole, Cher cavalca un elefante e Sonny “lotta” con un tigrotto che pare più
un grosso gattone che fa le fusa, roba impensabile oggi dove rifanno i Dalmata in CGI e che William Friedkin ha
girato così, cambiando scenario e canzone in sottofondo, in quello che potrebbe
tranquillamente essere l’antesignano dei futuri videoclip, ma questo è un
giudizio che possiamo dare noi oggi, una conclusione a cui lo stesso Billy giunge
nella sua autobiografia, ma resta il classico tentativo di tirare le somme fatto
a freddo, dopo aver messo la distanza di sicurezza degli anni tra noi e questo
film. Io me lo immagino Billy morto dentro, che pensa a Frankenheimer ma
intanto dirige scene in cui un gruppo di scimpanzè, dietro alla casa
sull’albero di Sonny e Cher, giocano a dadi, fumano sigari e parlano tra di
loro come in una puntata di “Lancillotto 008”. Lo sapete che in quanto
“Scimmiologo” per me ogni film migliora quando ci metti dentro le SIMMIE, però
ve lo ripeto per darvi il tempo di assimilare: William Friedkin, futuro premio
Oscar e più in generale genio della macchina da presa, dirige degli scimpanzè
che fumano e giocano a dadi, poi ditemi che non vi avevo avvertiti che il post
di oggi sarebbe stato la prova che negli anni ’60 ad Hollywood, girava della
roba veramente buona.
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Mi hanno messo anche le SIMMIE, direi che per me può bastare. |
Non me la sento di aggiungere altro, se non che “Good
Times” termina a tarallucci e vino, dopo aver stremato i miei zebedei con un
numero imprecisato di canzoni, bello e brutto (barrare opzione “B” in questo
caso), William Friedkin aveva firmato il suo primo vero film, al botteghino un
flop clamoroso, per stessa ammissione di Billy, non il suo lavoro migliore (e
ci mancherebbe!), ma quello dove si è divertito di più, non stento a crederlo,
perché, come vi dicevo, gli aneddoti sul film sono più spassosi della pellicola
stessa.
Ad esempio, uno degli ultimi giorno passati da Friedkin a
casa di Sonny e Cher, un sabato sera andato lungo per via di una partita di
Poker, verso le due di notte suonò il campanello di casa, un fatto così strano
da far scattare quel mastino di Joe DiCarlo, pronto a correre alla porta, ma
solo dopo aver messo mano alla pistola che portava sempre dietro sotto la
giacca. Trambusto, urla, «Andate fuori dalle palle!», Joe, ma chi era alla porta
a quest’ora? Risposta di Joe: «Due stronzi che sono venuti qui in taxi da
Austin. Dicevano di aver vinto non so che concorso per sosia» (storia vera). Ve
lo avevo detto che le storie sul film sono meglio di “Good Times”.
Prossima fermata? Il resto della lunga gavetta di William
Friedkin e qui cominciamo davvero a scaldare i motori, non mancate perché
dobbiamo festeggiare un compleanno, solo il primo della carriera di Hurricane
Billy.