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Grosso guaio a Chinatown (1986): è una questione di riflessi!

I consigli della Bara volante sono preziosi, specialmente nelle serate buie e tempestose, quando qualche maniaco alto due metri e mezzo e con l’occhio iniettato di sangue vi artiglia il collo e vi pianta l’unica testa che avete contro la parete di un bar chiedendovi se avete pagato il conto… Voi fissate a vostra volta il primitivo negli occhi e ricordatevi quello che il vecchio Cassidy dice sempre in casi come questi. Domanda: «Cass hai pagato il conto?». «Oggi è gratis, perché è il giorno della rubrica John Carpenter’s The Maestro!»
Oggi la rubrica è davvero speciale, non solo perché quest’anno “Grosso guaio a Chinatown” compie 30 anni, ma anche perché tengo davvero molto a questo film. Quando mi sono messo in testa questa stramba idea dei Classidy, ho preso carta e matita e ho provato a tirare giù qualche titolo di film, per capire se era qualcosa di fattibile, dopo una decina di nomi, mi sono detto: “Sento una predisposizione vincente in questa impresa!”. Ma mentre ero lì, con la matita in mano, il foglio bianco davanti alla faccia e tutti i titoli della storia del cinema nella testa da cui poter attingere, provate un po’ a dire qual è stato il primo titolo in assoluto che ho scritto? Quindi, con malcelata emozione lasciatemi issare il logo e iniziamo!
Trent’anni anni, siamo quasi coetanei io e questo film e a dirla tutta non ricordo un solo anno della mia vita in cui non mi sia rivisto (di gran gusto) “Grosso guaio a Chinatown” anzi, se devo essere schifosamente onesto a volte lo rivedo anche più di una volta l’anno. Penso che il mondo si divida in due: chi ama questo film e chi non lo ha mai visto, anche se sembra impossibile visto che canali come Italia 1 lo hanno replicato a rotazione per decenni!
«Guardatemi sono un Classido! Ho il certificato!»
 

Ho un modo tutto personale per misurare l’influenza che un film ha avuto sulla mia vita: quanti sono i dialoghi del film mandati a memoria, ma soprattutto utilizzati costantemente durante la vita di tutti i giorni. Non avete idea di quante volte mi ritrovo a citare (involontariamente o meno) i dialoghi di “Big trouble in little China”, quando qualcuno conferma un mio brutto presentimento rispondo “Ecco! Lo dicevo io!”, per non parlare dei vari “Porco mondo!” che puntualmente snocciolo (specialmente al lavoro).

Ma come me, immagino anche tanti di voi, perché “Grosso guaio a Chinatown” è incredibile, un film perfetto che riesce a far contenti tutti, abbracciando svariati generi (Western, Horror e arti marziali) e allo stesso tempo a funzionare alla grande come commedia. E’ biologicamente impossibile non considerarlo uno dei migliori lavori di John Carpenter, eppure quello che non si dice mai, è che tra tutti i film del Maestro, questo è il più anomalo di tutti, l’umorismo di Carpenter è sempre stato beffardo e satirico, solo “Grosso guaio a Chinatown” ha dei tempi da commedia classica, con battute e dialoghi impeccabili capaci di tirare dentro lo spettatore, il risultato è un film irripetibile, una tempesta perfetta di combinazioni che lo hanno reso una mosca bianca amatissima dal pubblico. Ci credete che quando uscì in sala trent’anni fa fu un fiasco? Pazzesco vero?

«Tzè! Questi non riconoscerebbero un bel film nemmeno se ci sbattessero contro il naso»
La trama… No, dai non scherziamo, devo davvero raccontarvi la trama? Vabbè, Jack Burton arriva a San Francisco, il resto è storia del cinema, tra esplosioni verdi, gente che entra ed esce volando, non chiamate la polizia, è tutta roba che trovate nella trama di questo capolavoro!

“Grosso guaio a Chinatown” è nato diverso dagli altri film fin dal primo momento e dopo 30 anni ancora non si è visto nulla di paragonabile. Ultima collaborazione di Carpenter con un grande studio, la 20th Century Fox, almeno per gli anni ’80, l’idea originale del Maestro era quella di fare un film Western e guardandolo la cosa è palese, nel commento audio del DVD è lo stesso Carpenter a confermare che nella prima bozza delle sceneggiatura, a Jack Burton veniva rubato il cavallo, quando hanno deciso di ambientare la storia nella San Francisco moderna, l’equino è diventato un camion, il mitico Pork Chop Express… Vi lascio il tempo per applaudire.

It’s all in the reflex RELAX.
 

I riferimenti ai film Western sono ovunque, tra membri delle gang cinesi con cinturone e revolver, fino al finale, con l’eroe (o presunto tale…) che cavalca verso il tramonto e non saluta la sua bella (“Maccome Jack, non le dai neanche un bacio di addio?”… Ecco che inizio con le citazioni!).

Quando riguardandomi il film (cosa che come detto faccio spesso) vedo la scena in cui Jack cerca di infiltrarsi alla tigre bianca, mi sembra quasi di vederla come sarebbe stata in un western classico, nemmeno il travestimento di Jack che vuole “andare a donnine”.

Dicono che gli occhiali fanno intellettuale Jack, farai strage di cuori!
 
Allora parliamo di Jack Burton, perché molti dei motivi che rendono questo film un capolavoro senza sterzo, stanno tutte sulle spalle (e nei riflessi) del personaggio, per il ruolo la 20th Century Fox, avrebbe voluto Jack Nicholson o Clint Eastwood e malgrado il fatto che Carpenter abbia inseguito il grande Clint per tutta la carriera, pur di averlo in un film (il Maestro lo voleva nei panni di R.J. MacReady ne La Cosa) questa volta disse “Basta adesso” e tornò a bussare alla porta del suo amico e attore feticcio Kurt Russell, avete tenuto il conto? Siamo arrivati a quattro per i film insieme di quei due e il tassametro continua a correre.
«Guarda che sono quattro John» , «Quattro? Facciamone un altro allora, no?»

Russell non era affatto convinto di accettare, arrivava da un paio di film che avevano floppato duro, Carpenter in tutta risposta gli disse: “E allora?” e un attimo dopo Kurt era dentro la canotta di Jack Burton, fondamentale non solo per il look del personaggio, ma anche per tenere bassa la temperatura del corpo di Kurt, che per quasi tutto il tempo delle riprese è stato falcidiato dall’influenza, quando lo vedete sudare nelle scene d’azione ora sapete il perché… Febbre da cavallo, probabilmente doveva ancora riprendersi dalle polmoniti multiple vinte sul refrigerato set de La Cosa.

Jack Burton è l’incudine su cui sono stati forgiati tutti gli sfigati arroganti della storia del cinema: è un maranzo ignorante per il quale è impossibile non fare il tifo, un inetto con una faccia da schiaffi che fa provincia, è uno che incarna alla perfezione il detto: Nel dubbio faccia tosta.

Perché proprio la faccia tosta non gli manca, parliamo di un personaggio che malgrado sia palesemente fuori luogo, fa di tutto pur di salvare la faccia, sfruttando una lingua lunga e una battuta sempre pronta, come la più bella di tutte: «Sei pronto Jack?», «Sono NATO pronto!»

Giuro, potrei guardarlo per ore… Miglior finale di SEMPRE!!
 

L’unico personaggio che può sedersi alla sua tavola e l’Ash di Evil Dead, con la differenza che Bruce Campbell ha una predisposizione naturale per la commedia (in particolar modo quella splastick), mentre Kurt Russell è un attore versatile, uno perfettamente credibile nei panni del duro, così come in quelli più comici di Jack Burton. La cosa pazzesca è che Carpenter, utilizzando il talento dello stesso attore, sia riuscito prima a delineare l’eroe cazzuto, taciturno e risulto per eccellenza (Jena Plissken di 1997 Fuga da New York) e solo cinque anni dopo, quello cazzone, ironico e spavaldo di questo film, costruzione e demolizione dell’eroe d’azione moderno. “Arma letale” il film che ha dato il via all’era dell’action con protagonisti che non si prendono sul serio è uscito soltanto un anno dopo, iniziate a segnare uno, per le cose che “Grosso guaio a Chinatown” ha portato al cinema prima degli altri.

La scena di apertura del film, quella in cui Egg Shen (il grande Victor Wong) parla della magia e spiega che Jack Burton è un grande eroe, è stata voluta fortemente dalla major pagante, per cercare di dare al protagonista un minimo di credibilità, anche perché le intenzioni di Carpenter andavano tutte in un’altra direzione, è proprio il Maestro, nel commento audio del film, a dire che a parte salvare Wang e uccidere Lo Pan, Jack Burton viene sbatacchiato qua e là per tutto il film, ogni volta che prova a prendere in mano la situazione colleziona figure di niente (va a sfidare il cattivone con i segni del rossetto di Gracie sulla faccia e quando parte all’attacco, spara in aria e viene steso dai pezzi di intonaco che lo centrano in pieno sulla zucca).

Lo so, non si direbbe, ma questo è l’eroe del film.
 

L’intento di Carpenter è quello di ribaltare i classici ruoli di eroe e spalla dell’eroe, se non fosse per Wang Chi, Jack non saprebbe che pesci pigliare. Per la parte Giovanni voleva a tutti i costi Jackie Chan dopo averlo visto in “Police Story” (1985), l’attore cinese rifiuto la parte (facendo tirare un grosso sospiro di sollievo alla 20th Century Fox), quindi venne scelto Dennis Dun, uno che purtroppo si è visto poco, peccato perché qui è veramente straordinario, specialmente quando elenca a Jack i vari inferni cinesi («Inferno dell’olio bollente!» , «Scherzi?!» , «Sì, dice vietato l’ingresso!»).

Se non bastasse un film pieno di Cinesi che fanno cose credibili per un piccola comunità cinese (tipo celebrare i loro riti), a stordire il pubblico americano del 1986, ci hanno pensato anche tutti gli elementi fantasiosi di Kung-Fu che caratterizzano la pellicola. Quanti altri film di Carpenter avete visto con di mezzo le arti marziali? Ecco, un altro motivo che rende questo film una mosca bianca.

Il Maestro dirige (con sigaretta) il leggendario Al Leong… Troppo mito in un foto sola!
 

All’epoca era davvero troppo (ma troppo tanto!) presto vedere tutte quelle arti marziali sul grande schermo, per i nostri amici Orientali è tutto normale, ma presso il grande pubblico occidentale, abbiamo dovuto aspettare altri vent’anni prima che i film con “Gente che entra ed esce volando” fossero sdoganatati, titoli come Matrix o La tigre e il dragone sono arrivati rispettivamente nel 1999 e nel 2000. Sapete quando parlavamo di “Cose portate al cinema da questo film prima degli altri”? Ecco, segnate due e lasciate la penna a portata di mano…

Anche le arti marziali e la cultura cinese in generale, vengono gestite con la grande ironia che contraddistingue il film, personalmente mi rotolo da ridere quando vedo Lo Pan ed Egg Shen combattersi sul piano spirituale, muovendo le ditine come se avessero un Joypad tra le mani, Giovanni Carpentiere, grande appassionato di videogames, ci ha messo sicuramente lo zampino.

«Vuoi vedere la mossa segreta dell’involtino primavera?»
 
A proposito di mani, un’altra cosa che mi fa impazzire di questo film (tra le tante) è il gesto che i guerrieri fanno tra di loro e a Jack Burton, una specie di saluto, ma anche forma di rispetto… Ehi, ci sono! Come ho fatto a non pensarci prima! Abbiamo finalmente il saluto ufficiale della Bara volante!
Dopo il Bro-fist, qui alla Bara volante ci saluteremo sempre così!
 
“Grosso guaio a Chinatown” ha una componente molto fumettistica: Jack Burton con il suo look così caratteristico (cominciando dalla mitica canotta!) sembra quasi la versione in carne ed ossa di un personaggio dei fumetti, Kurt Russell lo interpreta in maniera a dir poco brillante, quindi è facilissimo per il pubblico aggrappassi al personaggio di Jack anche quando, con il passare dei minuti, le cose intorno a lui si fanno sempre più assurde. Nei film di Carpenter non manca mai la figura dello scettico, qui è Jack Burton incarna alla perfezione questo tipo di personaggio, anche se tutte le sue certezze vengono messe a dura prova («Oh, magnifico, il “sacchetto dei sei demoni”, sensazionale…»)
«Vedi? Qui abbiamo le esplosioni verdi» , «John, ogni tanto un po’ di tabacco dentro metticelo»
 
Gli effetti speciali non fanno che contribuire la sospensione dell’incredulità nello spettatore e più passano gli anni, più i mostri così esagerati (fumettistici appunto) e animati con trucchi tutti rigorosamente vecchia maniera accentuano il senso discesa di Jack Burton in un mondo magico nascosto sotto la facciata del nostro mondo, una folle discesa nella tana del bianconiglio.

Effetti collaterali delle esalazioni del sangue nero della terra («E cioè il petrolio?» cit.).
 

In tutto questo, l’elemento comico la fa da padrone, l’umorismo e il ritmo indiavolato della pellicola (non c’è davvero un minuto di sosta fino ai titoli di coda) amalgamano insieme questo piatto cinese fatto con parti uguale di western ed horror. Ma a dettare il ritmo sono i tempi comici impeccabili e le battute, una più memorabile dell’altra. Sì, perchè “Big trouble in little China” fa ridere, fa ridere forte, l’unico altro film di genere con dialoghi che mi fanno lo stesso effetto che mi viene in mente è “Il buono, il brutto e il cattivo”, quindi non propriamente pizza e fichi.

Ogni volta che Jack Burton apre bocca, vien fuori una frase memorabile e gli scambi di battute funzionerebbero alla grande anche in una commedia pura, un esempio?
Eddie Lee: “L’importante è far fuori le guardie”
Jack Burton: “Ci proverò”
Wang Chi: “No, è sembrare stupidi!”
Gracie Law: “Ci riuscirà!”… Ecco, lo dicevo io!

«Tu sei riuscito a trovare il freno su questo trabiccolo?»
Quando le cose funzionano, tutto inizia a filare liscio come l’olio, malgrado abbia visto “Grosso guaio a Chinatown” un numero incalcolabile di volte nella mia vita, è ancora oggi uno dei pochi film che preferisco vedere doppiato piuttosto che in Inglese, sì perché il doppiaggio del film è quello che io definisco “Ignorante”, ma nel senso migliore del termine, esattamente come per Una poltrona per due, in fase di doppiaggio si sono inventati delle trovate che risultano molto più adatte ad un tipo grezzo come Jack Burton, ma che soprattutto… Fanno molto più ridere!

Ci sono momenti geniali come quando Egg Shen porge a Jack una 44 Magnum (quasi una strizzata d’occhio al fatto che questo film avrebbe dovuto interpretarlo Clint Eastwood) dicendogli: “Così ti sentirai un uomo arsenale”, in originale: “You’ll feel like Dirty Harry”, non oso pensare come avrebbero tradotto la frase se il film fosse uscito in sala oggi.

Ma i veri colpi di genio sono l’aver trasformato un normalissimo «Dammit» nel favoloso «Porco mondo!», oppure una delle mie sparate di Jack preferite, quando a Lo Pan dice «Come on, stick around!» che in Italiano diventa la clamorosa: «Aspetta, frena quella spider!», no sul serio, scoppio a ridere ogni maledetta volta!

Facce felici di persone che hanno bevuto il loro filtro.
 

Forse la modifica in fase di doppiaggio più clamorosa riguarda quella che è diventata ormai una delle mie massime preferite da 30 anni a questa parte, quando Wang Chi dice: «L’uomo coraggioso ama sentirsi la natura sulla pelle», nella versione originale del film è Egg Shen a rispondergli, mentre in Italiano la frase viene pronunciata da Jack Burton, con un effetto comico anche maggiore… Qualche frase? Posso dirla? Posso? Dai, la dico: «…Sì e l’uomo saggio ama usare l’ombrello quando piove!», mamma mia che bello che è ‘sto film! che bello! Posso citarvi tutte le battute a memor… Ok, va bene la smetto.

Nei suoi primi trent’anni di vita, “Grosso guaio a Chinatown” non solo è invecchiato alla grande, ma ha anche contribuito ad influenzare la cultura popolare in maniera massiccia, come detto, grazie soprattutto alle battute memorabili e al look del suo protagonista, ma se devo aggiungere una nota personale, quando mi capita di beccare in tv Kim Cattrall in una replica di “Sex and the city” ancora oggi punto il dito verso lo schermo gridando fortissimo: «Sta lontano anche da lei è mezza matta, fa l’avvocato!»

Il Maestro impegnato a broccolar… Ehm a dirigere Kim Cattrall.
Anche le tre bufere hanno contribuito fortemente alla cultura popolare, basta dire che Fulmine è stato un’ispirazione per il personaggio di Lord Raiden del videogames Mortal Kombat, ecco! Questa è una cosa che nessuno giornalista chiede mai a Carpenter quando ha la fortuna di intervistarlo, vorrei proprio sapere cosa ne pensa un fanatico dei videogames come lui di questo dettaglio… Non ho mai una tessera da addetto stampa quando mi serve!
Finish him! …FATALITY!
 

Come al solito, il capitolo musica non può mancare parlando di Giovanni Carpentiere, e per “Grosso guaio a Chinatown” il Maestro si è superato, non solo ha curato il (fighissimo) tema principale del film e la colonna sonora, ma ha anche composto e cantato la canzone che si sente sui titoli di coda! Il video musicale del pezzo è una delle cose più meravigliose che esistano su questo gnocco minerale che ruota intorno al Sole!

Vedere Giovanni, con gli occhiali dei Signori della morte, che suona, balla e canta con il suo gruppo, i Coupe de villes, insieme agli amici di sempre, Nick Castle e Tommy Lee Wallace è la prova che Carpenter ha sempre avuto l’animo della Rockstar e quel vocione che tira fuori quando canta “You better run” è la prova che il Maestro si è consumato le orecchie ascoltando i dischi di Elvis.

Insomma, “Grosso guaio a Chinatown” è uno dei migliori film di John Carpenter, anche se resta unico ed irripetibile anche all’interno della filmografia del Maestro, troppo avanti per il suo tempo per essere capito dal pubblico del 1986, un film che per trent’anni ha saputo guadagnarsi sul campo una meritatissima etichetta di Cult, ma più in generale di film della vita. Se dovessi pensare ad un film perfetto, in grado di accontentare tutto il pubblico, davvero non riesco a pensare ad un titolo migliore di questo, non a caso è stato il primo “Classido” della mia vita.

Quindi, andate a rivedervelo questo filmone, perché ne vale SEMPRE la pena e facciamogli tutti insieme gli auguri per i suoi primi 30 anni, che possa prosperare a lungo e che le ali della libertà non perdano mai le piume! Qui è Cassidy, della Bara volante, che saluta chiunque sia in ascolto. Come dicevo sempre alla mia ex: io mi rifiuto di commentare film più velocemente di quanto possa vederli e, a parte questo, è solo questione di riflessi!

Qui la Bara volante, passo e chiudo!
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