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[Guest post] Regalo di Natale (1986): Facce da poker (e da schiaffi)

Sono molto contento di lasciare la parola a Zio Portillo,
che oggi ci parlerà di un bellissimo film di Pupi Avati, come al solito, vai Zio,
la palla è nel tuo campo!

A chi mi chiede un consiglio su un buon film italiano da
vedere, magari un po’ meno famoso o pubblicizzato, il mio pensiero corre subito
a “REGALO DI NATALE” (1986) di Pupi Avati. Tanti lo hanno solo
sentito nominare e lo confondono o idealizzano come un cinepanettone o una
stupida commediola scoreggiona. Ma i più non sanno neanche di cosa sto parlando
e fanno la faccia da “mucca che guarda passare il treno”. Se rilancio
e insisto dicendo che tra i protagonisti ci sono Diego Abatantuono, Alessandro
Haber e Carlo delle Piane la smorfia e la disapprovazione è palese. Peggio per
loro! Non sanno cosa si stanno perdendo visto che il film di Avati (forse la
sua miglior pellicola in assoluto) [Dopo “La casa dalle finestre che
ridono”. Nota Cassidiana] è un capolavoro di cinismo, cattiveria e
amarezza ambientato a Bologna, ovviamente, la notte di Natale.
La pellicola è interamente creata da Pupi Avati che ha messo
la sua mano sul soggetto, sulla sceneggiatura, sul cast, i dialoghi e, come se
non avesse fatto abbastanza, si è preso la briga di curare la regia. Non mi
sorprenderebbe sapere che a fine riprese ha tirato su le sedie e dato una
passata di aspirapolvere alla villa dove si consuma la crudele partita di
poker. Ah già, che scemo! Non ve l’ho detto… il film è una lunga partita di
poker, inframmezzata da qualche flashback, dove i cinque protagonista daranno
sfogo alle proprie frustrazione in uno scontro ad alto tasso di cattiveria dove
non ci sarà spazio per sentimenti e dove non ci sarà nemmeno il lieto fine
(classico, come lo intendiamo noi), anche se qualcuno dei protagonisti chiuderà
la nottata in modo felice. Ovviamente il poker è quello tradizionale a 5 carte
(5-card draw) diverso quindi dal “moderno” texano (Texas hold’em) con
due carte ciascuno e poi flop, turn e river. [E qui, la figura della “mucca
che guarda passare il treno” la faccio io a sentire questi termini. Nota
Cassidiana].
“Perdonatelo, Cassidy capisce solo le regole del basket”.
Il film è un gioiellino minimalista. Una location, 5 attori,
un tavolo e un mazzo di carte. Stop. Bastano i dialoghi, gli sguardi, i gesti
dei cinque disgraziati per dare vita a mille emozioni. Una pellicola perfetta
per il teatro e infatti un rifacimento teatrale sarà fatto proprio nel 2018 con
altri interpreti ma senza perdere un briciolo della bellezza della pellicola.
Ugo (Gianni Cavina) lavora in una piccola tv privata come
venditore di casalinghi con scarsi risultati. È separato, ha quattro figli che
vede col contagocce, è indebitato fino al collo e il suo posto di lavoro è a
rischio viste le scarse vendite. Nel suo piccolo la sua vita è un fallimento.
In pratica, il tizio della barzelletta che compra le scarpe due taglie più piccole.
Gabriele, “Lele” (Alessandro Haber), è nevrotico e
inaffidabile. Lavora in un quotidiano come critico cinematografico sognando di
guadagnare abbastanza per scrivere un libro su John Ford, il suo mito. Anche la
sua vita professionale è mediocre visto che i colleghi lo considerano un inetto
e lui è costretto a scrivere trafiletti che nessuno leggerà mai.
A mani basse, uno dei miei attori Italiani preferiti (storia vera).
Sarà proprio Lele ad accogliere in hotel Franco (Diego
Abatantuono), un piccolo imprenditore milanese. Questi è sì il proprietario di
un cinema, ma anche lui come gli altri, ha milioni di Lire di debiti e i
creditori lo assillano costantemente. Franco e Ugo erano anni prima migliori
amici fin quando la prima moglie di Franco, Martina, l’unica donna che abbia
mai amato e che ama tutt’ora, lo ha tradito. E come miglior tradizione vuole,
il tentatore che ha approfittato dell’ingenuità della donna è proprio il suo
migliore amico. Martina (Kristina Sivieri) quindi ha in un colpo solo mandato
in malora il matrimonio e l’amicizia tra i due uomini che da allora non si
parlano più.
“Fortuna che ho un cervello eccezziunale”.
Il quarto del gruppo è Stefano (George Eastman), un
istruttore di palestra omosessuale represso.
“Zio? Perché io mi becco una sola riga di descrizione? Uffa”.
Ugo, Lele e Stefano hanno bisogno di Franco e della sua
abilità nel giocare a poker perché hanno individuato il pollo da spennare:
l’avvocato Santelia (un monumentale Carlo delle Piane). Questo Santelia è un
viscido e flemmatico avvocato, famoso in tutta la Romagna l’Emilia per
la passione nell’azzardo ma pure nella sua totale inettitudine tanto che perde
vagonate di milioni ad ogni serata di gioco. La partita e la potenziale vincita
è per i quattro un motivo di riscatto e di rivalsa. E ovviamente sarebbe pure
l’occasione per vincere qualche soldo che possa dare respiro ai quattro
disgraziati.
Se giochi contro di lui, sono soldi in banca (forse).
Franco è bravo con le carte e ha pure qualche soldo per
poter tener testa alle puntate dell’Avvocato Santelia visto che gli altri tre
non possono “vedere” le giocate milionarie del perdente cronico che
mai si abbasserebbe a giocare per quattro spicci contro dei morti di fame. Visto
che ci siamo, perché non provare a utilizzare la serata di Natale per provare a
ricucire l’amicizia tra Franco e Ugo? Magari la serata natalizia, la trappola
tesa ai danni del pollo e la facile vincita potrebbe far tornare disteso il
rapporto tra i due. Franco accetta di giocare non perché gli interessa tornare
amico con Ugo, anzi. Il rancore che porta è troppo grande per passargli con una
serata dopo 10 anni di rancore. Lui gioca per pagarsi la ristrutturazione del
cinema a Milano e darsi respiro con i creditori. E per non venire tradito
nuovamente dall’ex amico pone una condizione non trattabile: ognuno gioca la
sua partita. Chi vince tiene per sé quanto guadagnato senza smezzare.
Ovviamente Ugo accetta, altrimenti senza Franco non ci sarebbe nessuna partita.
Si comincia e tutto sembra apparecchiato per bene e si segue il piano
prestabilito. Dopo le scaramucce iniziali si fa sul serio e, come da copione,
gli sfidanti veri e propri sono Franco e Santelia con il resto della compagnia
a fare da tappezzeria. Il primo vince bene e il secondo perde pesante come
abitudine ma…
Ora tiro una riga grossa così e ci scrivo a caratteri
cubitali: SPOILER! Se non avete visto la pellicola correte subito a rimediare e
tornate qua una volta fatto. Non voglio rovinarvi la sorpresa quindi non
leggete oltre perché rischiate di rovinarvi un film fantastico.
“Io lo SPOILER, me lo pappo!”.
…ma ovviamente nulla è quanto sembra. Il gioco di
equilibri e di incastri creato da Avati pian piano si mostra nella sua
interezza. Come in una partita di poker dove si sbirciano le carte pian piano,
anche la sceneggiatura si mostra lentamente. Prima si presentano i giocatori,
poi si dettano le condizioni e poi… poi arriva il bello! Il bello della
pellicola è la costruzione dei personaggi. Un capolavoro di equilibrio,
cinismo, psicologia e cattiveria dove il fumantino Franco e il flemmatico
Santelia sono la punta dell’iceberg. La vincita iniziale (75 milioni) è buona
ma non ancora sufficiente e così l’ingordo Franco continua a giocare per
accaparrarsi più denaro possibile. Si arriva quasi al termine della partita e
un “disperato” Santelia si gioca il tutto per tutto con un rilancio
pesante: 200 milioni. È fatta! L’avvocato si è scavato la fossa visto che
Franco ha in mano un “full”. Da buon giocatore di poker Franco però
non vede subito, attende e decide di prendersi del tempo per pensare perché la
posta è altissima. Ugo parla con Franco e chiede di non andare a vedere perché “sente”
che l’avvocato ha qualcosa di grosso in mano. Consiglia l’ex amico di uscire e
accontentarsi della vincita accumulata finora. È in queste piccolezze che il
film di Avati è un capolavoro.
“Rilancio”, “Passo”, “Passo” , “Vedo”… “Tombola!”.
Il discorso tra i due ex amici è un trattato di psicologia
inversa capace di accendere l’orgoglio di Franco e al posto di farlo desistere
lo fa giocare e, ovviamente, perdere contro il “colore” di Santelia.
Franco, sconvolto, parla ancora con Ugo e questi pian piano si mostra per
quello che è: un diavolo. Da un lato c’è un riavvicinamento tra i due ma
dall’altro Ugo è un figlio di puttana capace di ributtarti a fondo se provi a
risalire. Tutti noi abbiamo gli amici che ti conoscono bene. Ma il tuo migliore
amico ti conosce meglio di tua madre. Sa come calmarti e sa come accenderti, sa
usare le parole giuste per manipolarti e in determinare situazioni può farti
fare quello che vuole lui se usa i modi e i tempi giusti. Magari ti sfida e sei
tu quello che si tira indietro o magari sei tu quello che vuoi dimostrare che
si sbaglia e Ugo conosce Franco come le proprie tasche, lo pungola
nell’orgoglio tanto che quest’ultimo si convince di poter recuperare la perdita
all’ultima mano. Sembra mettersi bene ma l’avvocato cala un altro rilancio
impossibile: 250 milioni. Per Franco sarebbe la bancarotta totale ed è Lele
questa volta a provare a salvarlo dicendogli di uscire dal gioco. Franco
vacilla ma è l’avvocato a calare la mannaia finale offrendogli il “Regalo
di Natale”: uscire dalla partita azzerando la perdita maturata a patto di
non mostrarsi le carte reciprocamente. In pratica per Franco significa
ammettere la sconfitta e pure subire l’umiliazione. Come può un caratterino
come lui ingoiare un rospo simile? Un po’ come McFly non accettava di farsi chiamare “fifone”, Franco non
può ammettere di essere inferiore a Santelia e pure a Lele e a Ugo che da
vigliacchi si sono ritirati prima di lui. No, Franco vede e “muore”
trafitto al cuore dal poker di donne dell’avvocato. Lele e Stefano sono basiti
ma è nulla di fronte alla faccia di ghiaccio di Franco che prima realizza di
aver perso e di essere rovinato e poi vede Santelia e Ugo spartirsi la vincita.
Il pollo da spennare non è mai stato l’avvocato che di professione fa il baro.
Il pollo è sempre stato Franco. Gli “amici” lo hanno fatto venire a
Bologna da Milano per spennarlo convinti che avesse denaro quando in realtà è
un poveraccio tanto quanto loro.
…And don’t forget the joker! (Cit.)
Alla fine il film è di un amaro e di una cattiveria senza
eguali dove la notte di Natale e tutti i buoni sentimenti che di solito porta,
vengono stuprati senza pietà. L’amicizia finisce nel cesso assieme all’amore e
alla bontà e Pupi Avati ci fa capire che aria tira quando l’albero di Natale
della villa viene inquadrato sullo sfondo, lontano, sfocato, mentre le carte,
il denaro e i vizi sono in primo piano. Come ci si può fidare di persone che
lasciano la famiglia da sola la notte di Natale per giocare a poker? Come ci
può essere bontà se rovini nuovamente la vita al tuo ex migliore amico? Come si
può mettere l’orgoglio davanti a tutto tanto da rovinarsi con le proprie mani?
Il film si chiude all’alba di Natale con un Franco distrutto che se ne torna il
albergo, incrociando, senza minimamente notare la sua ex moglie.
Zio si è dimenticato di scriverlo, comunque… Fine dello SPOILER!!
Se Carlo delle Piane da vita ad un avvocato Santelia da
studiare a scuola di cinema (e per il quale ha vinto la Coppa Volpi a Venezia),
non è da meno Diego Abatantuono che nel 1986 abbandona i panni del
“terrunciello” per la sua prima interpretazione drammatica. Si
trasforma da “Il Ras del quartiere” a imprenditore milanese in
maniera assolutamente perfetta. Parlantina sciolta ma anche sguardo di pietra soprattutto
nel drammatico finale quando scopre la sconfitta al tavolo verde e il
tradimento di Ugo. Bravissimo Pupi Avati a tirar fuori una parte drammatica da
un attore che mai si era cimentato in ruoli seri fino a quel momento. Il bis
Avati lo farà nel 2010 quando prenderà Cristian de Sica e gli regalerà il suo
ruolo migliore da… sempre ne “Il figlio più piccolo” (altra
pellicola di Avati da guardare assolutamente). Curioso il fatto che il ruolo di
Carlo era stato pensato appositamente per Lino Banfi il quale fu molto
lusingato ma dovette rifiutare perché impegnato in ben 3 set differenti
(“Scuola di Ladri”, “Grandi Magazzini” e “Il
Commissario Lo Gatto”). Visto il risultato finale mi sa che ci è andata
meglio così…
“Reghèlo di Natele, porca puttena!”.
Ah, dimenticavo. La pellicola nel 2003 ha avuto pure un
seguito: “La Rivincita di Natale”. Stesso cast tecnico e attoriale,
buon risultato di critica e pubblico ma per me lontanissimo parente del
precedente. Superfluo.
P.S.
Un milione di grazie a Zio Portillo per aver recensito il
film. In questo periodo avrei potuto tirare giù la serranda del blog se non
fosse stato per te!
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