Lo avete visto Jason Blum? Non intendo se lo conoscete, oggi come oggi è uno dei maggiori produttori di film Horror, con la sua Blumhouse sforna successi al botteghino ottenendo anche meritate pacche sulle spalle. Intendo proprio dire se lo avete guardato bene. In cerca di tutte le interviste possibili al Maestro John Carpenter ho realizzato che Jason Blum è uno di quei quasi cinquantenni in ottima forma, dà l’idea di uno che faccia arrampicata o qualcosa così, inoltre il suo metodo di conquista globale utilizzando il cinema pare funzionare e pare pure disporre di capitali infiniti, insomma sono giunto alla conclusione che Jason Blum è Hank Scorpio, parodia di un cattivo alla James Bond che arriva dritto da una celeberrima puntata dei Simpson. Si è solo tagliato la barba per non farsi riconoscere.
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Da uno così cosa ti aspetti? Ha già dimostrato di poter far soldi anche con i soggetti più semplici e mentre chi detiene i diritti di Grosso guaio a Chinatown si becca i vaffanculo di John Carpenter (STORIA VERA), il nostro Giasone chiude idealmente il cerchio, coinvolge Giovanni nel progetto nel ruolo di produttore esecutivo (traduzione: a differenza delle altre volte è stato ben un giorno sul set, invece che incassare solo gli assegni) ottenendo, per giunta, una colonna sonora composta dal Maestro in persona. Ve l’ho detto è Hank Scorpio, guardatelo bene.
La Blumhouse mettendo le mani sulla saga di Halloween, è destinata a fare un ulteriore salto di qualità, il piano per la conquista del pianeta di Hank Scorpio Jason Blum passa dalla mossa intelligentissima di ammettere l’ovvio, quello che per quarant’anni tutti hanno negato: tra i tanti meriti di John Carpenter, aggiungete pure quello di aver inventato l’horror che ancora oggi, quarant’anni dopo, è quello che fa più di moda e che, soprattutto, incassa.
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Nella foto: Un figo. Lo era già prima di tutti. |
La formula Blum per il successo “Ti do cinque milioni di ex presidenti spirati stampati su carta verde e fatteli bastare” non è altro quello che Carpenter aveva già fatto nel 1978: spendere circa 300 mila bigliettioni, per portarne a casa quasi 80 milioni. Avere Carpenter come “padrino” di tutta l’operazione e azzeccare un nuovo film su “Halloween” è, come detto, la chiusura del cerchio e secondo voi il diabolico (ma lo dico con ammirazione, credetemi) Jason Blum Scorpio, poteva sbagliare un film così? Mai nella vita.
Forse l’unico vero errore è aver deciso di intitolarlo “Halloween”, scelta assolutamente illogica dal punto di vista della continuità, perché di fatto abbiamo “Halloween” che è un seguito di Halloween, ma che può essere giustificata solo da logiche commerciali: vuoi mettere per il pubblico poter dire «Un biglietto per Halloween» e non «Un biglietto per Halloween qualchecosa»? Per questo il film diretto da David Gordon Green (da qui in poi “Halloween 2018” per non creare confusione) nasce con l’ambizione giusta, anche se metà della stampa giornalista mondiale (traduzione: pagata per scrivere di cinema, quindi in teoria più competente di che so… Me!) si sta affannando a chiamarlo “Il seguito approvato da Carpenter”, dimenticando che Halloween II – Il signore della morte e Halloween III – Il signore della notte erano entrambi scritti e prodotti da Giovanni. Ma il punto è questo: “Halloween” è scritto, pensato e diretto per essere il seguito, anzi IL seguito dell’unico film diretto da Carpenter.
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«Ti piace Michael, puoi usarla per andare a fare dolcetto o scherzetto, come ti sembra?» |
Ci riesce? “Halloween 2018” è il miglior seguito mai diretto del capolavoro di John Carpenter, bah! Direi abbastanza, anche perché, ammettiamolo, non aveva concorrenza (nove titoli tra seguiti e remake e forse ne tiriamo uno e mezzo almeno buono) e poi perché Jason Blum su questo film ci ha scommesso molto e non voleva certo sbagliare, ma di certo non è un film eccezionale, quello bisogna dirlo, ma tranquilli, pro e contro arrivano, mettetevi comodi, non sarà una cosa breve!
“Halloween 2018” è un seguito che tiene conto delle conseguenze del primo film e fa i conti con il fatto che, nel frattempo, sono passati quarant’anni, mentre lo guardavo ho notato che la maschera di Michael Myers, ha sul lato sinistro del collo un buco, lo stesso che gli ha procurato Laurie Strode colpendolo con il ferro da maglia nel 1978, davanti a dettagli così è chiaro che no, questo film la Blumhouse proprio non lo avrebbe sbagliato.
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«Giorno, è il quinto piano questo?» |
Di fatto, è un buonissimo film, perché l’unico difetto di Halloween di John Carpenter è quello di aver marchiato a fuoco per sempre i canoni dello slasher come ancora lo intendiamo oggi, non è un caso se il pubblico che si approccia al film del 1978 oggi (specialmente quello più giovane) lo trovi una pellicola con dinamiche viste e riviste, bisognerebbe avere la lucidità di rendersi conto che se TUTTI gli slasher movie negli ultimi quarant’anni hanno replicato quelle dinamiche, vuol dire che siamo di fronte ad un classico, un archetipo a cui David Gordon Green guarda con rispetto, dimostrando di essere andato a rivederselo prima di dirigere anche un solo secondo del suo nuovo film.
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Da che film è presa questa scena? Non vale rispondere solo “Halloween”, voglio la data! |
“Halloween 2018” è un omaggio al lavoro di Carpenter, in un paio di momenti Davide Gordone Verde replica identiche un paio di sequenze mitiche del primo film inserendo, però, volutamente Laurie Strode al posto di Michael Myers (su questo tenetemi l’icona aperta che più avanti ci torno), in alcuni momenti sembra quasi di assistere ad un’operazione di svecchiamento, proprio per evitare di perdere quel pubblico giovane di cui parlavo qui sopra. Quindi, aspettatevi lenzuola da fantasma, babysitter biondine, una scena (anzi due) che prevedono un armadio a muro, strizzate d’occhio che ci sono, riescono a non risultare troppo urticanti e servono a mettere in chiaro in maniera lampante che Carpenter è sempre stato il più avanti di tutti, il cinema horror del 2018 lui lo faceva già nel 1978. Ma bisogna anche dire che a ben guardare, alcuni momenti ricordano anche i tanti seguiti “negati” da questo ennesimo rilancio, ma parliamo di lui: Michael!
Michael Myers è ancora lui, anzi, mi viene da dire è di nuovo lui, perché dopo tanti seguiti inutili che lo hanno trasformato, di fatto, in una fotocopia sbiadita di Jason Voorhees, abbiamo di nuovo il Bogeyman, The Shape (o l’ombra della strega, qualunque cosa voglia dire), un assassino silenzioso bravissimo a nascondersi, non gigantesco nel fisico, ma minaccioso nella presenza, Nick Castle ancora una volta si ritrova su un set a fare quello che quarant’anni fa, il suo amico con i baffi gli ha detto: «Nick, just walk!».
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«Sono quarant’anni che cammino per tornare a casa. Ho male ai piedi e non ricordo più la strada» |
Per quarant’anni Myers è stato rinchiuso, Loomis è andato ed ora il dottore ossessionato dal silente assassino è il Dr. Sartain (Haluk Bilginer) che Laurie Strode etichetta senza nessuna pietà e grande capacità di sintesi come «Il nuovo Loomis», niente lo ha convinto a parlare, almeno fino al momento in cui rivedere la sua maschera in qualche modo evoca nuovamente il male, in una scena d’apertura piuttosto efficace anche grazie alle musiche composte da Carpenter che arriva poco prima dei titoli di testa che, ovviamente, hanno lo stesso identico font arancione di quelli del 1978 e recuperano anche una zucca in bella vista che da schiacciata che era sì “gonfia” per tornare alla sua forma originale (in pratica una dichiarazione di intenti da parte della Blumhouse). Da qui in poi il film si prende il suo tempo per aggiornarci anche su Laurie Strode: cos’è successo all’impacciata babysitter dopo la notte di Halloween peggiore della sua vita? Facile: è diventata Sarah Connor! E visto che nessuno ha dato un sottotitolo a questo film, gliene do uno io: Halloween – Il giorno del giudizio.
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«Sei tu che vivi in un sogno Silberman Loomis! Perché io so già quello che succederà! E ti giuro che succederà!» (Quasi-cit.) |
Quando un assassino mascherato ti aggredisce senza alcun preavviso, puntando su di te come farebbe uno squalo affamato e, soprattutto, mosso dalla stessa tenacia, sopravvivere è molto complicato, ma accettare perché una cosa del genere è successa proprio a te potrebbe essere ancora peggio. Laurie Strode qui è identica a Sarah Connor in Terminator 2, la prima volta è sopravvissuta promettendo a sé stessa che la prossima volta (perché ci sarà una seconda volta) sarebbe stata pronta e ha reagito nel modo più americano possibile: Panic Room, una casa piena di armi e corsi su corsi per imparare ad usarle. Mai una volta che si veda uno Yankee fare che so… Un corso di autodifesa. No, la prima risposta sono sempre armi e fucili, infatti “Halloween 2018” ne è pieno, persino il ragazzino che assiste all’inevitabile fuga di Michael Myers, invece di seguire il consiglio del poliziotto ferito e scappare cosa fa? Prende il fucile dal pick up del padre!
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It’s the American way! (con musichina) |
Aspettavo al varco questo film per due questioni fondamentali: ero curioso di capire come avrebbero gestito il legame di parentela tra Michael Myers e Laurie Strode e, soprattutto, volevo capire se avrebbero cavalcato davvero il finale del film di Carpenter, quello che funzionava alla grande perché metteva in chiaro che Michael Myers era la personificazione del male che per mescolarsi tra noi umani indossava una maschera. Se scaricargli addosso un intero revolver non lo ha fermato, una potenza di fuoco superiore potrà davvero servire? Americani, sono gli unici che abbiamo, ci tocca tenerceli così come sono.
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Ecco dove avevo già visto quei capelli, Laurie è diventata la corrispondente di Rai Tre da New York Giovanna Botteri! |
Ecco su questi due punti “Halloween 2018” fa spallucce e procede come a dire “vedi sopra”, la questione della parentela è sbrigata molto frettolosamente, Green si è liberato di tutta la faccenda con una scrollata di spalle, lasciando di conseguenza molto vage le motivazioni che spingono Michael, il tutto per dare più attenzione alla figlia e alla nipote di Laurie, mentre sulla natura maligna di Myers, il film si assesta più o meno sul primo dei seguiti negati Halloween II – Il signore della morte (quando vedrete il finale capirete il perché) e giocandosi un non colpo di scena (molto molto scarso, legato al “Nuovo” Loomis) che non vi rivelo per non rovinarvi la visione, una grossa forzatura che serve a portare il film dove vuole arrivare: il ribaltamento di ruoli tra Michael e Laurie, il predatore che diventa preda.
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«Facciamo una bella inquadratura su questa e poi possiamo subito ad altro ok?» |
Mi fa sorridere che la stessa stampa specializzata (sempre quella pagata per scrivere di cinema e quindi più competente di un dilettante allo sbaraglio come il vostro amichevole Cassidy di quartiere) si stia lanciando in loti sperticate, descrivendo “Halloween 2018” come l’horror del movimento #MeToo, perché tra la voglia di non essere più una vittima di Laurie e l’aiuto ricevuto da altre due generazioni di donne (la figlia e la nipote), di fatto, abbiamo tre donne che lottano contro il peggiore stalker della storia del cinema. Tutto vero, se non per il fatto che l’horror (e lo slasher in particolare) è sempre appartenuto all’altra metà del cielo, Laurie Strode, la Sidney Prescott di “Scream”, il concetto stesso di “Final girl” che sconfigge il mostro finale esisteva ben prima che il movimento #MeToo avesse un nome ed un cancelletto e non mi riferisco a quello che diventa protagonista negli ultimi minuti del film. Quindi, cari amici, prima di scrivere di cinema, qualche film, guardatelo, grazie.
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La stampa specializzata prende sotto assedio la Bara Volante (fatevi sotto, ho visto i film giusti io!). |
“Halloween 2018” è un film di ottima fattura che regala una serie di scene efficaci (come quella dei denti) e ha più gusto per il sangue di quanto non ne avesse il suo predecessore, David Gordon Green ha dimostrato con “Joe” (2013) di non essere solo un regista di commedie sceme, ma di certo non è un Maestro del cinema come John Carpenter, ecco perché anche se dedica un paio di mezzi piani sequenza a Michael Myers, fa un paio di scelte chiare, ad esempio mettere proprio l’assassino mascherato al centro delle scene, girando piuttosto bene, bisogna dirlo, Davide Gordone Verde segue con la sua macchina da presa Michael Myers, come una volta Carpenter faceva con Laurie Strode, il risultato, quindi, è opposto, se nel film di Carpenter non sapevamo mai dove si trovasse l’assassino (e per questo rappresentava una minaccia), qui lo sappiamo sempre e lo vediamo in azione, lo dico con gioia visto che mi è molto simpatico, per fortuna nemmeno in un momento Nick Castle (classe 1947, non proprio un pischello) sembra un anziano con una maschera, ma conferma che quel qualcosa di inquietante che solo il suo amico Carpenter vedeva in lui, è ancora lì dopo quarant’anni. Effetto Michael Myers in versione Umarell, passato da fissare belle ragazza e guardare i cantieri, per fortuna scampato!
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«Mi sento tutti gli occhi addosso, poi mi agito e mi tocca uccidere qualcuno» |
Certo David Gordon Green non è Carpenter e ogni tanto sporca un po’ il foglio (alcuni flashabck sono un abbastanza didascalici), ma in generale firma un film pensato per omaggiare il classico e aggiornarlo al nuovo pubblico, anche scherzandoci un po’ sopra, in questo senso il contributo di Danny McBride in fase di sceneggiatura si nota, ma non influisce negativamente sul tono, come la filmografia del comico avrebbe lasciato pensare e cerca di esporre la sua tesi concentrandosi sulla reazione di Laurie Strode.
Jamie Lee Curtis qui è piuttosto intensa, la sua Laurie è una donna che si è barricata nella sua paranoia, crescendo la figlia Karen (Judy Greer, gran scelta di casting, perfetta quando hai bisogno di un’attrice capace di risultare antipatica subito ed apprezzabile sulla lunga distanza) come se fosse la prescelta nella lotta contro il male, salvo poi perderla perché quarant’anni a sentirsi ripetere «Tornerà» potrebbero essere troppi per chiunque. La nipote Allyson (Andi Matichak) le ricorda che si è preparata per tutto questo tempo, sacrificando la famiglia ed invece no, lo ha fatto proprio per loro.
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«Vieni qui John, tu guiderai la resistenza contro le macchine un giorno» , «Mamma, ma io non mi chiamo John» |
Infatti, Laurie qui eredita la capacità di Loomis di manifestarsi sempre nel posto dove Myers sta per colpire, ma prende qualcosa anche dal suo avversario, fatemi chiudere l’icona che ho lasciato aperta lassù. David Gordon Green mette in chiaro che il ribaltamento tra predatore e preda è avvenuto ben prima che gli eventi (un po’ forzatamente) mettano fisicamente “The Shape” e la sua ex vittima del cuore nuovamente uno contro l’altra, nello scontro per cui Laurie Strode si sta preparando da quarant’anni.
«Say Something» che poi è anche il titolo di uno dei pezzi composti da Carpenter per la colonna sonora, è la frase che due personaggi nel corso del film dicono a Michael Myers per tentare di razionalizzarlo, come se mai emettesse un suono, sarebbe più facile da accettare. Laurie ha passato quella fase, al suo storico nemico non chiede niente, i tempi in cui si interrogava se quella minaccia maschera fosse davvero “L’ombra della strega” sono andati, al massimo si rivolge a lui con frasi lapidarie, di chi vuole tagliare corto possibilmente per sempre («Buon Halloween Michael»).
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«Dolcetto o buchetto nel petto?» |
Se Carpenter mostrava Haddonfield come un posto tranquillo dove, però, se gridavi aiuto per strada nessuno veniva a salvarti, David Gordon Green lo rende anche un posto colorato dove i giovani fanno feste rumorose, ma alla fine tutto ruota attorno a Laurie che è l’unica che ha capito che il male quando ti colpisce non prende prigionieri, non tratta, non gli puoi chiedere di «Dire qualcosa» puoi solo rispondere, proteggere quelli a cui vuoi bene e cercare di farti trovare pronto, Laurie è l’applicazione dei “L’arte della guerra” di Sun Tzu, per conoscere il suo nemico è diventata il suo nemico. Può sembrare reazionario tutto questo, ma per Laurie Strode ha comportato una solitudine che solo l’ultimo abbraccio in parte può alleviare, fino alla prossima volta, perché per Laurie e Michael ci sarà sempre una prossima volta, l’ultima inquadratura del film scelta da Davide Gordone Verde parla chiaro.
Alla fine forse questo “Halloween” di David Gordon Green, non ha bisogno di un numero nel titolo o di sottotitolo aggiuntivo ad effetto perché, omaggia il classico e cerca di adattarlo rispettosamente ai gusti del pubblico moderno, riuscendo ad essere un seguito ben fatto, forse un po’ troppe pensato a tavolino e senza cuore, ma anche migliore della media degli horror mainstream che escono in sala. L’essenza dell’Halloween di John Carpenter, viene omaggiata, e i personaggi si muovono in un mondo in cui il male è sempre dietro l’angolo, come se fosse la Haddonfield mostrata da Carpenter.
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Solo a me ricorda una scena di uno dei seguiti negati da questo film? |
Certo lo fa con la differenza che intercorre tra un regista motivato e un grande Maestro del cinema, ma il risultato resta apprezzabile perché se vuoi fare cinema, devi conoscere il cinema, mentre se vuoi conoscere Halloween, devi diventare Halloween. Ma con un po’ più di cuore, meno pianificazioni aziendali e qualche motivazione solida per i personaggi, sarebbe stato ancora migliore, ma sono abbastanza sicuro che per ora potrebbe bastare, almeno a Jason Blum per portare avanti i suoi piani di conquista mondiale.
Non perdetevi lo speciale di Halloween di Non c’è paragone…
… Ma nemmeno quello del Zinefilo!
Invece, per notizie e informazioni quotidiane sul Maestro John Carpenter, fate un salto sulla pagine del Faccialibro de Il Seme Della Follia – Fan Page italiana dedicata a John Carpenter.