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Halloween – The Beginning (2007): Un buon remake di Venerdì 13

Non manca poi molto al nuovo “Halloween” prodotto dalla
Blumhouse e diretto da David Gordon Green, ma prima bisogna affrontare anche le
precedenti incarnazioni di Michael Myers con il nuovo capitolo della rubrica… I
remember Halloween!

Se c’è una cosa che ho imparato grazie a questa rubrica, è
che Michael Myers, più degli altri suoi altrettanto celebri colleghi horror, è
destinato a reincarnarsi più e più volte. La saga di Halloween ha provato a
cambiare pelle (senza riuscirci) con il terzo capitolo, per poi ricominciare
ancora dall’inizio con il contributo di Steve Miner. Avendo ormai toccato il fondo (e iniziato a grattare) con
l’inguardabile Halloween – La resurrezione, l’unico modo è far tornare Michael Myers, ancora una volta.

Nei piani originali del produttore esecutivo dietro a tutti
e otto i precedenti capitoli della saga, Moustapha Akkad, c’era l’idea di
sfornare un prequel, ambientato durante gli anni passati in manicomio da Myers,
il titolo avrebbe dovuto essere “Halloween: the Missing Years”, ma con la morte
del produttore avvenuta nel 2005, durante un attentato terroristico in
Giordania, i capoccia della Dimension Films erano pronti a provare altro, chi
abbiamo di veramente caldo in circolazione? Facile, Rob Zombie!

Roberto Non-Morto nella cameretta di casa sua.

Penso che conosciate tutti Roberto Non-Morto, ma siccome da
grande voglio diventare biografo (non è vero!) diciamo che il nostro inizia la
carriera come cantante del gruppo industrial White Zombie, che fin dal nome
ispirato ad un film con Bela Lugosi mette in chiaro la sua passione per
l’horror. I suoi pezzi come solista li avete sicuramente sentiti come parte
della colonna sonora di tutti i film, e dopo essersi diretto tutti i suoi video
musicali, nel 2003 esordisce alla regia con “House of 1000 Corpses” (che poi è
anche il titolo di una sua canzone) che da noi, in uno strambo Paese a forma di
scarpa diventa “La casa dei 1000 corpi” e soprattutto il più riuscito seguito “The
Devil’s Rejects”, da noi storpiato in “La casa del diavolo” (2005).

“Carino sembri uno degli Slipknot” , “Tu comunque non somigli a Donald Pleasence”.

Parliamoci chiaro senza girarci troppo attorno, perché il
biografo non lo so fare, però se vedo uno che dirige con Tobe Hooper nella
testa lo riconosco, e possiamo tranquillamente dire che senza le atmosfere
malsane e sudaticce degli stati del Sud dell’America, e i “Redneck” dalla dieta
del tutto non vegana di Non aprite quella porta, Rob Zombie avrebbe continuato
a fare il cantante, il tempo e il resto della sua carriera ha dimostrato che quello è il cinema che Roberto Non
Morto sa fare, ma nel 2007, Zombie era convinto di poter dire la sua su un
classico del genere horror, pareva pronto per regalarci la sua versione di
“Blob” (il fluido mortale, non il programma di Ghezzi) quando è arrivata la
notizia: Assunto come nuovo regista per il remake di Halloween.

Come si può conciliare uno che sarebbe stato perfetto per il
remake di “The Texas Chainsaw Massacre” (invece nel 2003 si è fatto scippare il
lavoro da quel cagnaccio di Marcus Nispel) con l’assassino slasher creato da
Carpenter? Se escludiamo la carriera musicale, non sembra ci siamo davvero
molto in comune tra il Maestro che nel 1978 non mostrava nemmeno una goccia di
sangue, e lo Zombie che invece dell’emoglobina fa la sua cifra stilistica.
Eppure all’inizio pare andare tutto bene, Carpenter con il suo solito piglio
pragmatico invita Roberto e fare il suo film («Vai Rob, fai il tuo film!»), ma
lasciatemi l’icona aperta che su questo punto ci torniamo.

Già da questa foto avremmo dovuto capire le intenzioni di Zombie.

Zombie da buon metallaro mette sul tavolo la sua passione
per la storia dei Serial Killer d’America, secondo il regista Michael Myers
doveva essere una personalità dissociata, incapace di provare sentimenti per
chiunque, per lui “Halloween” doveva essere qualcosa di completamente nuovo,
non un semplice riciclo di vecchi stilemi, peccato che secondo me quello che
soffre di sdoppiamento della personalità è proprio il nostro Robertino. La sua
intenzione di cavalcare “Halloween: the Missing Years” sfornando un film sulle
origini del personaggio non convince in pieno la Dimension Films, che invece
vorrebbe una classica rivisitazione del film di Carpenter del 1978. Reazione di
Roberto Non-Morto: Che problema c’è signò! La vuole cotta? La facciamo cotta?
La vuole cruda? La facciamo pure cruda!

Prima Hayden Christensen, poi questo qui, siamo sicuri di voler sapere come sono i cattivi sotto la maschera?

“Halloween” esce nei cinema americani nel fine settimana del
Labor Day, incassa bene subito, scontenta quasi tutti gli appassionati della
serie ma diventa comunque il quarto più grosso incasso della saga, giustificando
così un seguito che arriverà la prossima settimana qui sopra. Penso che l’unico
modo per apprezzarlo sul serio sia non aver mai visto l’originale di Giovanni Carpentiere, e probabilmente nel 2007 erano
ancora tanti (purtroppo) a non averlo fatto, dal canto mio non odio la versione offerta da Rob
Zombie, ma come Clubber Lang, compatisco gli stupidi.

“Non sono grasso, ho le ossa grosse”.

“Halloween – The Beginning” (un sottotitolo in inglese per
tradurre un titolo inglese, bellissimo!) si divide in due metà nette, la prima
ci fa conoscere un po’ meglio il ragazzino dietro la maschera bianca
dell’assassino di Babysitter, quando capiremo cosa ha passato, cosa ha sofferto,
sarà più facile capire perché ora è un Cristone alto due metri (il wrestler Tyler
Mane svetta su tutti gli altri attori che hanno indossato maschera e tutta da
camionista del personaggio) che uccide senza rimorso chiunque? La risposta è un
clamoroso: No, perché se non fosse per personaggi chiamati Laurie Strode e il Dott.
Samuel Loomis, se non fosse per il 31 ottobre e la cittadina di Haddonfield,
questo potrebbe essere uno dei migliori capitoli di Venerdì 13 mai diretti!

“Vieni con noi Jason ti riportiamo in stanza”, “Non mi chiamo Jason”.

Pensateci, un ragazzino vessato dai bulli per la sua
diversità, un rapporto morboso con la madre e un futuro da silente massacratore
di adolescenti, Rob Zombie sbaglia completamente mira e firma uno slasher con
sangue a secchiate, caratterizzato da un primo tempo non male, che però va zampe
all’aria nel suo intento di discostarsi dal modello originale, riuscendo per
altro a sbagliare un numero ragguardevole di momenti chiave tutti insieme.

Il suo Michael Myers decenne, ha i capelli lunghi biondi e il
faccione pienotto a luna piena di Daeg Faerch, i suoi passatempi sono ascoltare
“God of Thunder” dei KISS, indossare una maschera da Clown e uccidere piccoli
animali per il proprio piacere personale. Ma secondo me avrebbe tutto da
guadagnarci se lasciasse in pace i topastri di nome Elvis e si dedicasse ai
componenti della sua famiglia, appena appena disfunzionale, vediamoli nel
dettaglio!

La maglietta di “Destroyer” dei KISS però è bella.

Mamma Deborah Myers (la guardabile Sheri Moon Zombie) è
amorevole quanto volete, ma si guadagna la pagnotta come spogliarellista,
dettaglio che non ti aiuta a scuola con i bulli, ma offre la possibilità a suo
marito Rob di dedicarle la solita inquadratura “A posteriori”, una specie di
marchio di fabbrica del regista. La sorella maggiore è campionessa mondiale
dello sport principale degli adolescenti Yankee nei film horror: Il mambo del
materasso. Ma il numero uno resta il patrigno, interpretato da uno
stropicciatissimo William Forsythe, un gentiluomo attraverso cui Rob Zombie può
scatenarsi con i suoi soliti dialoghi raffinatissimi («Di un po’, sei invidiosa
del culetto di tua figlia?»).

In compenso a scuola quando lo psicologo, con la
capigliatura da Hippy, il Dott. Samuel Loomis (Malcolm McDowell che eredita
ruolo e cappotto da Donald Pleasence) fa chiamare la signora Myers preoccupato
per gli animaletti ritrovati uccisi nello zaino del ragazzo, la donna vince il
premio madre dell’anno rispondendo: «Un gatto morto non è una tragedia». Poi
chiedetevi perché Mickey sbrocca e la notte di Halloween fa fuori tutti,
risparmiando solo sorellina minore e la mamma, fuori a fare primi piani con del suo lato B.

“Ok Sheri sorridi, perfetta così bravissima”.

In questa prima parte Rob Zombie si assicura di utilizzare
tutti i pezzi musicali che erano già stati parte del primo Halloween di
Giovanni Carpentiere, da “Love Hurts” a “(Don’t Fear) The Reaper” dei Blue
Oyster Cult, ma poi evidentemente ci distrae andando a cercare i vinili giusti
nei negozietti e manda a segno una serie di svarioni nella sceneggiatura.

Sybil Danning ricca, la forchetta ci si ficca.

Il
mio passaggio preferito non è la famigerata forchetta fornita agli ospiti di un
manicomio no, per me il meglio resta il dialogo chiave tra Sheri Moon e Daeg Faerch, che
guarda il paffuto bambino dicendogli: «Michael sei così sciupato devi mangiare». Insomma una grande verità, anche se sei il più famoso assassino del
grande schermo, sicuramente pure tu hai avuto una madre che ti vede come un
bambino denutrito del Biafra anche se pesi 96 kg!

“Ecco, lo sapevo che avrei dovuto portarti da mangiare, due melanzane fritte almeno”.

Ma Rob Zombie non ha fatto solamente pasticci, bisogna
riconoscere al regista diversamente vivo di aver regalato al mitico Danny Trejo
un ruolo importante nella sua carriera, lo vediamo entrare in scena come
inserviente del manicomio che ospita Michael con una frase quasi meta
cinematografica, un consiglio per il ragazzo: «Devi vivere nella tua testa, io
lo so, non c’è muro che possa intrappolati» considerando gli anni passati nelle
patrie galere, Trejo sembra alle prese con il ruolo della vita, infatti così è,
proprio grazie ad “Halloween” il mitico Danny ha potuto esibirsi in una tappa
fondamentale delle vita di un attore: Il ruolo drammatico intimista!

“Mira cómo soy dramatico Y intimista”.

Senza spiegazione alcuna gli anni passano, il ragazzino con
il faccione tondo (eh sì, si vede che è sciupato) dopo aver fatto sbroccare
tutti con la sua ira furiosa e i suoi decennali silenzi, è diventato un
cristone fatto a forma di Tyler Man con la passione per le maschere,
evidentemente ha seguito i consigli materni, non ha saltato nemmeno una merenda
ed è diventato grande (e grosso). Qui non è chiaro, Rob, stai cercando di dirci che è la
rabbia del ragazzo ad averlo fatto diventare gigantesco? No perché se fosse
solo per quello, ogni adolescente avrebbe un futuro nella NBA! Insomma non è
molto chiaro, pare però che per giustificare un ruolo nel film a sua moglie, che
nei piani originali avrebbe dovuto essere una delle amiche adolescenti di
Laurie (una che è nata nel 1970? Vabbè), Robertino Non Morto si sia giustificato dicendo che
siccome mamma Sheri Moon è alta, suo figlio deve aver ereditato questo tratto
genetico, mi viene da sperare solo quello Rob! Non ci tengo proprio a scoprire
che sotto la tutta da camionista, Michael Myers ha anche due perfette chiappe da
spogliarellista, avrebbe già il nome d’arte: Magic Mike!

Ecco svelato cosa fa Michael Myers, gli altri 364 giorni dell’anno.

Bisogna dire che se non altro la prima parte del film riesce
a intrattenere e coinvolgere decentemente, peccato che poi Rob Zombie faccia un
errore mortale, quando vediamo Michael uccidere l’inserviente interpretato da
Danny Trejo, viene istintivamente da urlare allo schermo: «Ma perché!?». Tutto quello che pensavamo di aver capito del personaggio
crolla come un castello di carte, la svolta è talmente fuori luogo da risultare un
errore, però un obbiettivo lo raggiunge comunque, regalate a Danny Trejo il
ruolo drammatico intimista che mancava alla sua lunga carriera!

Siamo al minuto 50 del film, e la pellicola è ufficialmente
finita, perché da qui in poi il ritorno di Michael ad Haddonfield è una copia
carbone (ma con sangue) del film di John Carpenter, le poche differenze ancora una
volta, risultano uno sbaglio, la dimostrazione che la tanto sbandierata
conoscenza della saga di “Halloween” da parte di Zombie forse è un pochino superficiale. Laurie Strode
(Scout Taylor-Compton) è rappresentata come una ragazzetta alternativa con gli
occhiali da brava ragazza, ma sessualizzata esattamente come le sue coetanee, infatti al
pari delle sue amichette si esibisce nei soliti dialoghi raffinatissimi scritti
da Rob Zombie, un vero signore.

“Quel maniaco ci sta guardando “No quello è il produttore della Dimension Films, si chiama Weinstein mi pare”.

Può sembrare una cosetta da poco ma è un errore grave,
perché nella versione di Carpenter sia Laurie che Michael erano repressi
sessualmente, un elemento importante che qui venendo a mancare, conferma ancora
una volta che questo film, se fosse ambientato a Crystal Lake e non ad Haddonfield, al massimo potrebbe essere un buon remake di Venerdì13, non di Halloween.

Non aiuta nemmeno che una delle amiche di Laurie sia
interpretata da Danielle Harris, che essendo nata nel 1977 ci conferma che
Zombie ha in idea dell’adolescenza piuttosto allungata, ma per di più è la
stessa attrice che nel quarto capitolo aveva interpretato la nipote di Michael
Myers! Bravo Robertino complimenti davvero una scelta arguta!

Michael alle prese con una strana sensazione di dejà vu.

L’ultima parte del film non è affatto male, le musiche di Tyler
Bates sono un omaggio al cinque quarti più famoso della storia del cinema
composta dal Maestro, una variazione sul tema che non aggiunge poi molto, che
poi forse è anche il commento migliore che avrei potuto fare sul film. Si
perché tutto il finale è giocato sull’imponenza fisica di Tyler Mane dietro la
maschera di Myers, e su continue strizzate d’occhio a chi il film di Giovanni Carpentiere lo conosce e pure molto bene, dai andiamo, non puoi usare quello
stratagemma per rifare la leggendaria (e spaventosissima) scena dell’armadio,
dimenticandoti di spiegare come mai la tua versione di Michael Myers sia
impossibile da uccidere.

In tutto questo tentativo di allontanarsi, ma allo stesso
tempo di essere identici, all’iconografia creata da Carpenter, oops! Zombie ci
dimentica di spiegarci perché niente pare fermare Myers, che di fatto non è l’incarnazione
del male, che indossa una maschera per camminare tra gli uomini ma
semplicemente un tizio molto grosso, silenzioso e impossibile da uccidere,
insomma è Jason Voorhees!

“Senti ma tu lo sai chi è ‘sto Jason di cui tutti parlano?”.

Come dicevo io non odio questa versione di Halloween, ma la
pigrizia e la sciatteria con cui il film è stato scritto, dimostrando di non
aver capito quasi niente del personaggio di Michael Myers mi urta, non credo
sia un caso se a distanza di anni, lo stesso Carpenter, di solito piuttosto
pacato nel parlare dei colleghi, è riuscito a mandare allegramente a fanculo
Rob Zombie (Storia vera). A mio avviso una visione più estrema del personaggio
sarebbe stato molto meglio di questo film che si finge nuovo senza davvero
esserlo, ma per quello, avremmo modo di discuterne tra sette giorni, con l’ultimo
capitolo della rubrica!

Non perdetevi lo speciale di Halloween di Non c’è paragone

… Ma nemmeno quello del Zinefilo!

Perché nella blogosfera, ogni giorno è Halloween!

Invece, per notizie e informazioni quotidiane sul Maestro John Carpenter, fate un salto sulla pagine del Faccialibro de Il Seme Della Follia – Fan Page italiana dedicata a John Carpenter.

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