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Hanno ucciso l’Uomo Ragno – La leggendaria storia degli 883 (2024): forse quelli della Bara, senza la pubblicità

Francamente mi sono anche stufato di iniziare i miei commenti qui sulla Bara parlando dei commenti su “Infernet”, eppure mai come questa volta la puzzetta sotto il naso di tanto pubblico mi torna utile come gancio da cui partire.

È lampante che una serie dedicata alla genesi del primo album degli 883 abbia un pubblico di riferimento preferenziale, quelli che finalmente anche i nostrani giornalisti hanno iniziato a chiamare “Millennials” nel modo corretto, meglio tardi che mai. Ma è anche vero che una buona parte di pubblico, quando si tratta di biografie dei cantanti si sente in dovere di enunciare la propria posizione socio-etico-politica nei confronti, in questo caso del gruppo, prima di procedere, ma d’altra parte lo fanno anche con i registi, prima di arrivare ad un bel «… mi fa cagare» perché tanto la maggior parte dei pareri in rete vertono tutti in direzione del cesso.

Non voglio fare il Sigmund Freud della bassa padana però è abbastanza chiaro che la maggior parte del pubblico non abbia mollato le menate da ragazzini, ma non si senta la schiena abbastanza dritta da ammetterlo, lo vediamo accadere con tutta la roba tratta da fumetto su base puntuale. Questa mia dissertazione per arrivare ad un punto, che qualcuno potrà anche intendere con la mia posizione socio-etico-politica nei confronti, in questo caso del gruppo, ma anche questo mi serve per analizzare l’opera a modino.

Quanta adolescenza in una foto sola.

Gli 883 li ho scoperti grazie ai miei cugini, con qualche anno più di me, ad attirarmi, quasi ridicolo sottolinearlo trattandosi del vostro amichevole Cassidy di quartiere, ma ovviamente era questa canzoncella sull’Uomo Ragno chiaramente scritta da uno che non aveva mai letto un fumetto del suddetto in vita sua, insomma, Max Pezzali padre nobile di tutti i fanatici di Cinecomics del pianeta, vedete che tutto torna nelle mie premesse lisergiche? Quello che mi piaceva oltre ai pezzi così orecchiabili, erano i riferimenti alla vita vera vissuta in cui di lì a pochissimo, mi ci sarei ritrovato dentro anche io, anzi, in alcuni casi erano già storie, dalla metrica discutibile quanto vogliamo, che però già parlavano anche di me, sto pensando a titoli come Jolly Blu. Canzone, non film, per quello ci arriveremo.

La cassetta (sono così vecchio, ma gioco a carte scoperte) del secondo album degli 883 addirittura la comprai alla Standa originale, devo ancora averla da qualche parte e la ascoltavo nel mio walkman, che per i più giovani alla lettura è quella cosa che usa Star-Lord all’inizio di Guardiani della Galassia.

Quello in mano è un Walkman, nella cesta invece ci sta un rospo (non fate domande)

Tutto questo per dire che nella terra di mezzo tra le canzoni dei film, le sigle dei cartoni animati e la scoperta del Grunge che avrebbe coinciso con la mia adolescenza, gli 883 hanno avuto il tempismo giusto di coinvolgere anche me, non li ho mai mitizzati (sempre pescando dal loro vocabolario), ma ricordo ancora molti dei loro pezzi a memoria perché sono canzoni divenute parte della nostra cultura popolare, che poi voi siate parte di quella porzione di pubblico (che non esiste ma si atteggia) che a otto anni guardava L’esorcista e ascoltava gli Slayer, bravi, continuate a spararvi le pose, se invece siete come me, semplicemente passati ad altro con i propri ascolti in cuffia ma senza paranoia e l’ansia di passare per i più fighi della classe sempre, allora non solo ora possiamo parlare di [Cassidy inspira forte] Hanno ucciso l’Uomo Ragno – La leggendaria storia degli 883 [Cassidy espira forte], ma molto probabilmente potreste godervela per quello che è, un’ottima serie, con un certo quantitativo di difetti ma una spanna sopra la media della nostrana produzione, basta il paragone diretto con “Qui non è Hollywood” (a breve su queste bare), sempre prodotta da Groenlandia per il confronto diretto.

Va detto che “La leggendaria storia degli 883” è un (sotto)titolo acchiappone ma onesto, il vero scandalo consiste che per problemi di pessimo tempismo, io sia riuscito a scrivere di un solo film di Sydney Sibilia quando invece ho apprezzato il 100% della sua produzione, nelle mani di chiunque altro avrei temuto la GIEI GIEIabramsata potente, invece è stato proprio il (cog)nome di Sibilia a farmi venire voglia di vedere questa biografia che ehi! Non ha pretese di realismo o di riscrivere la realtà, è chiaro che “Hanno ucciso l’Uomo Ragno” (la canzone) non sia stata scritta nel tratto di strada tra Pavia e Milano e registrata buona la prima, ma è molto più cinematografico raccontarlo così e per nostra fortuna Sibilia in questo crede e professa.

One, two, three, quattro… Adattare!

Infatti ha senso la trovata, a suo modo ardita, di fare di Claudio Cecchetto (Roberto Zibetti) quasi un villain, o per lo meno una sorta di J. Jonah Jameson della situazione (io lo leggo ancora oggi l’Uomo Ragno), è chiaro che il fatto che Pezzali abbia da tempo scazzato con il produttore abbia influenzato il punto di vista, ma “The offer” parlava di Albert Ruddy non di Francis Ford Coppola, e come la serie di Sibilia non è un documentario, capito questo è tutto in discesa, o quasi.

Il quasi consiste nel fatto che Sydney Sibilia dirige solo i primi due episodi di una – per ora – miniserie da otto puntate, in cui le prime quattro sono frizzanti, con un gran ritmo e piene di trovate visive, dopodiché la regia si appiattisce lasciando che sia la storia a dominare e che l’auto celebrazione arrivi inevitabilmente a bussare alla porta. Ci sta, visto che questa storia “From zero to hero” come direbbero i nostri cugini Yankee deve finire con la celebrazione, è inevitabile perché la storia deve essere “leggendaria”, per la sua mancanza di volontà di realismo ma anche perché il pubblico Millennials sarebbe qui anche per questo.

Eppure io i Beastie Boys me li ricordavo diversi.

Spogliata di tutto e con abbondante musica del periodo non per forza solo degli 883 (conferma che Sibilia ha studiato e ha buon gusto), “Hanno ucciso l’Uomo Ragno” è la storia di due amici che partono da una provincia italiana, identica a tutte le provincie di uno strambo Paese a forma di scarpa e realizzano il loro sogno incontrando personaggi che ora, fanno parte anche loro della cultura pop nostrana, specialmente del piccolo schermo: dall’unica altra abitante di Pavia celebre, quella Maria (il cognome dovete leggerlo sul citofono) che riceve rose da uno spasimante mai citato fino a Rosario, per altro l’unico con l’accento giusto malgrado il suo esordio da Alfred Pennyworth della situazione. Sì, io sono sempre quello che li legge i fumetti.

Quello che ho apprezzato di questa serie, oltre a Cisco (Davide Calgaro) che è palesemente il migliore di tutti, l’amico che tutti vorremmo avere e che se non lo abbiamo avuto è solo perché eravamo noi il Cisco di qualcuno, resta che per una volta mi sono trovato davanti ad un prodotto italiano con un audio finalmente chiaro, alla faccia della maledetta presa diretta e dei dialoghi tutti bofonchiati, tanto da poter fare valutazioni sul modo in cui Elia Nuzzolo, si sarà anche dovuto sottoporre a chissà quante ore di trucco e parrucco per sfoggiare la stempiatura e il ciuffo del Pezzali di allora, ma mi ha impressionato il modo in cui questo giovane attore sia riuscito a replicare, non tanto l’accento, ma la cadenza con cui il vero Max Pezzali pronuncia le frasi, se avete il coraggio guardatevi il film “Jolly Blu” per i paragoni, io l’ho visto almeno due volte quindi ho già dato (storia vera).

Guardare la serie sugli 883 is for boys, vedere più volte “Jolly Blu” is for men.

“Hanno ucciso l’Uomo Ragno” rende finalmente giustizia al “ballerino” degli 883, per decenni ci siamo chiesti cosa facesse Mauro Repetto oltre a saltare, questa serie nel suo essere il più lontano possibile da un documentario lo spiega bene, Matteo Oscar Giuggioli è perfetto nel rendere questa sorta di agente del caos a tanto così dal suo sogno, in fissa con l’estate e la voglia di arrivare.

Questa serie funziona perché è un lungo “Buddy movie” dove il preciso della coppia (Max) viene sconvolto dal Martin Riggs di turno, forse anche più che da Silvia (Ludovica Barbarito), sorta di donna semi angelicata riassunto di chissà quante fidanzate (o desiderate tali) che ad ogni azione, genera il testo di una canzone che Sibilia non ha nemmeno bisogno di citare apertamente, perché fanno talmente parte della cultura Pop italiana che si intuiscono al volo.

Noi eravamo lì, il giorno in cui Mauro Repetto si è messo a ballare.

Se chiedete a me, gli anni ’90 si portavano in pancia molte più sostanze e scene di nudo che una produzione 2024 non solo non può permettersi (per questioni di censura) ma che a mio avviso in “Hanno ucciso l’Uomo Ragno” avrebbero anche stonato, il bello di questa – per ora – miniserie consiste nella sua capacità di rendere omaggio a quelle canzoni piene di sfigati di provincia come noi, che si divertivano con poco e sognavano in grande, con cui tanti si sono immedesimati, senza alcuna volontà di realismo o ambizioni da documentario, questa serie riesce nell’impresa non solo di non risultare ruffiana, ma invece piuttosto divertente.

Erano anni che non trovavo una serie italiana (e mesi, per una serie in generale) che a casa Cassidy ci siamo divorati a tale velocità, complice anche quella tossicoteledipendente della Wing-woman che se apprezza una serie ciao! Me la fa finire in un attimo. Eppure “Hanno ucciso l’Uomo Ragno” con i suoi dialoghi che filano via alla grande e l’ottima chimica tra i protagonisti si mette in tasca tante biografie sui cantanti ben più (e anche troppo) blasonate, ora ho solo una speranza: se ai tempi il disco aveva ridato popolarità al personaggio, spero che ora altri oltre al sottoscritto riprenderanno la buona abitudine di chiamarlo Uomo Ragno, Spider-Man è arrivato dopo, ma qui sono io che parlo da vecchio lettore.

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