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Hard target 2 (2016): Colombe, mitra, bambole & bastardi

Il mondo dei
sequel di film famosi, usciti direttamente in home video è sconfinato, se avete
la pazienza di cercare a volte anche un seguito di un film di Walter Hill può darvi della grande gioie. Se possiamo
smuovere un mostro sacro come Ruggero Collina, perché non un altro come John
Woo?

Hollywood ha
corteggiato a lungo il genietto del cinema d’azione di Hong kong, che ha ceduto
alle sirene americane solo nel 1993, quando ereditò da Sam Raimi (rimasto come
produttore) la regia di “Hard Target”, da noi “Senza tregua”, soggetto scelto
perché considerato abbastanza action per il regista, che fino a quel momento
dagli Americani aveva ricevuto proposte solo per film di arti marziali puri e
semplici.
Woo voleva
(Wooleva) Kurt Russell, che sfiga! Era in altre faccende affaccendato, in
compenso si è fatto avanti Jean-Claude Van Damme, il risultato è che “Senza
tregua” resta un gran bel fimetto, un western contemporaneo che va bene, ha una
trama fin troppo simile a I cacciatori della notte (1986), ma ha il quantitativo
minimo di John Woo da renderlo mitico, anche se è stato pesantemente
sforbiciato dagli Americani paganti nel montaggio finale.



Anche Usain Bolt si allena così, risultati garantiti.

La notizia di
un sequel in home video di “Senza tregua” è rimbalzata in rete soprattutto
grazie al casting composto da tutte le facce giuste, in particolare Scott
Adkins e Rhona Mitra (yeah!), il regista è un super specialista di DTV, ovvero Roel
Reiné, che ha già diretto “Death Race 2”, “Death Race 3”, “The Scorpion King 3”
e The Man with the Iron Fists 2, se
ha un numero dopo il titolo, molto probabilmente è diretto da Reinè.

Il film inizia
con Scott Adkins che sul ring uccide per eccesso di calci volanti il suo
migliore amico, dopodichè per espiare si reca in Thailandia dove vive di
sussistenza e combattimenti illegali, i primi quindici minuti di film sono uno
showcase del talento marziale di Adkins, che mena come un fabbro senza versare
una stilla di sudore e gestisce la parte drammatica più che decentemente, anche
se fa più fatica a spremersi una lacrima a lutto, piuttosto che a sollevare
chili alla panca.



Scott, facci di nuovo la tua imitazione di Jean-Claude Van Damme!

“Hard Target
2” inizia davvero attorno al ventesimo minuto, arriva Robert Knepper (il T-bag
di “Prison Break”) che è la migliore alternativa possibile al mondo se non puoi
far venir giù Lance Henriksen, da cui eredita il ruolo (e il fucile che
utilizza nella scena finale) direttamente dal primo film.

“Ho fatto ‘Prison Break’ allora? Non vorrai dirmi che era meglio ‘Lost’ vero?”.
Robert Knepper
organizza costose battute di caccia (all’uomo) per ricconi annoiati, incastrato
con la scusa di un combattimento a cui partecipare, Scott Adkins fa il coniglio
alla corsa dei levrieri, ma anche un po’ il MacGuyver della situazione, quello
che si rifiuta (finché può) di utilizzare le armi e al posto del coltello svizzero usa calci e pugni, se non altro non è pettinato con il mullet del
biondo aggiusta tutto, era già più che sufficiente l’inguardabile mullet di Van
Damme nel primo film.
Tra gli
inseguitori troviamo due clichè di Texani padre e figlio, un clichè di torero spagnolo e Rhona Mitra che torna da dove ha cominciato regalandoci un’altra
Lara Croft, peccato che nel frattempo sia diventata amica intima del botox,
ovvero come rovinare qualcosa che era già perfetto di suo. Rhona non ha ancora
imparato a menare, ma finché si tratta di buttare lì due “frasi maschie” a caso
e sparare con balestre e balestrine fa ancora la sua figura.

La sempre guardabile Rhona sulle tracce del suo chirurgo plastico.
In fuga nella
giungla Birmana Scott Adkins fa la conoscenza di “Personaggio femminile di
turno” che ha lo scopo di portare al film il minimo sindacale di motivazioni
per il protagonista (aiutare i Thailandesi vessati dai militari
collaborazionisti del cattivone), entra in scena tra gli elefanti, facendomi
pensare al Tony Jaa dei tempi migliori (“voglio il mio elefante!”), ha il volto
della guardabile Ann Truong e, a proposito di personaggi femminili, per qualche
minuto si vede Jeeja Yanin a tirare un paio di calci, peccato, anche questa volta utilizzata poco e male.



Pensavo che Tony Jaa avesse l’esclusiva sugli elefanti nei film d’azione.

Un attimo
prima di raggiungere la metà del film, arrivano le motociclette, marchio
di fabbrica fin dal primo “Senza tregua”, qui Scott Adkins ci regala la SUA
versione della spaccata alla Van Damme e il resto è un tripudio di motociclette
che sparano razzi, moto che sparano reti trappola, Rhona Mitra usa i mitra
sulla sua moto per sparare ad Adkins a sua volta in moto e con i mitra, non
fanno più moto, in effetti vanno solo in moto, ma ora si sono comprati i mitra.
Insomma, serie B al suo meglio, che poi se io vedo una motocicletta che spara
penso a due cose: i G.I.Joe e “Delta Force”, in entrambi i casi mi esalto.



Bravi ragazzi, Chuck Norris sarebbe orgoglioso di voi.
Purtroppo, la
parte centrale del film è un po’ moscia, il calo di ritmo si nota pure troppo
e in generale Roel Reiné oltre a giocarsi troppi rallenty (non sei John Woo mi
spiace) si prende anche fin troppo sul serio per un film con moto armate di
mitra guidate da Mitra.
Quando il
film supera le rapide del game designer che partecipa alla caccia in cerca d’ispirazione per il suo nuovo spara tutto in soggettiva (eh?), si
riprende e le scene d’azione funzionano. Adkins è clamoroso averlo in tutte le
scene d’azione in prima persona è un valore aggiunto enorme, l’unica
annotazione che posso fare riguarda l’arco che utilizza come arma, ma quanto
cacchio la tende quella corda!? Le cose sono due: o quel compound ha una corda
tipo elastico di mutanda, oppure Scott Adkins ha fatto troppa palestra.

Piano Scott! Se mandi la freccia in Russia, il cattivo di “Hard target 3” sarà Vladimir Putin.

Sorvolo un
attimo sul catfight finale per non rovinarvi la visione più di quanto non abbia
già fatto, parliamo, invece, della scena finale sul ponte, anche questa una
strizzata d’occhio al primo film e nemmeno l’unica, per altro, perché Adkins fa
l’entrata in scena da super duro, circondato da un volo di colombe, che poi
sono il marchio di fabbrica e l’ossessione di John Woo.

Who are you? John Woo, Woo, Woo.
Come detto, l’arma
utilizzata da Robert Knepper è identica a quella che usava Lance Henriksen, ma
soprattutto, i due si piantano le armi in faccia nella classica posa (il
Mexican Standoff) di tutti i film di Woo, insomma: Roel Reiné si gioca tutti gli
omaggi insieme nel finale.



“Sono io il più grande fan di John Woo”, “No, ti ho detto che sono io!”.
Ecco poi forse
nel farlo si sfianca troppo, perché il finale in sè è un’infilata di momenti MACCOSA.
Scott Adkins uccide il cattivo di botte e vince? No, perché lui è il buono (eh
va beneee), preferisce lasciarlo andare, in tutta risposta Robert Knepper
dimostra di aver capito la lezione e gli manda subito contro cinque tipi a
menarlo, stesi con irrisoria facilità dal nostro protagonista. Tutto finito? No! Arriva l’esercito che fucila Adkins e determina il trionfo del male? Ma va!
Insomma, tutto così! Godetevi gli omaggi a John Woo e non cercate
troppa logica, dev’essere volata via con le colombe.
In soldoni “Hard
Target 2” è la conferma sullo stato di forma di Scott Adkins, un ottimo modo
per tenere a bada la scimmia che anche lei aspetta di vedere “Undisputed 4”, in
generale, però, non mantiene tutte le premesse, resta un film che si lascia
guardare, ma era lecito aspettarsi qualcosa, per la prossima volta meno
chiacchiere e più mitra, in tutti i sensi.
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