Il problema di quando sganci sulla cultura popolare il più grande film di menare moderno, quello che ha fatto fare un salto quantico al genere, sono poi i paragoni diretti. Dalla descrizione dovreste aver già capito che parlo di The Raid, dopo vedersela con i cinefili diventa la vera lotta.
Quelli che non guarderebbero i film d’azione nemmeno con gli occhi di un altro, ma di stare zitti non sono capaci, quindi avendo fatto così tanto rumore, The Raid è il titolo citato sempre e spesso a caso, un po’ la situazione di chi non ha mai letto un fumetto di super eroi ma ha letto Watchmen, semplicemente troppo famoso per non leggerlo, ma senza impegnarsi a capire il perché quel titolo sia diverso dagli altri. Lo dico sempre che la mancanza di curiosità e la voglia di dare aria alla bocca, sono un’accoppiata letale.
In parte questo spiega perché Gareth Evans i suoi film abbia dovuto girarli sempre laggiù in Indonesia, a lui il mondo occidentale dell’intrattenimento ha concesso al massimo un horror targato Netflix e una serie tv, molto bella e molto poco citata come Gangs of London, anche perché lo stesso “The Raid” è stata un’anomalia che solo un gallese in trasferta in Indonesia avrebbe potuto generare, in un certo senso l’industria occidentale ha provato a “normalizzare” la rivoluzione, ecco perché oggi come oggi, nello stesso fine settimana, su due piattaforme opposte ci troviamo “Havoc”, la nuova regia di Gareth Evans e “Ash”, in cui recita in una parte piccina picciò Iko Uwais, di questo magari ne parliamo, ma ora concentriamoci sul film di oggi.
Ho fatto l’errore di provare ad annusare l’aria intorno a questo film, ovviamente la sensazione generale da parte delle penne stipendiate è: Non è “The Raid”, frase che vince il premio G.A.C. ovvero Grazie Al Cazzo più o meno dal 2011, inoltre pare che abbia una trama complicata. L’unica spiegazione che ho è che davanti ad un film d’azione con un minimo di intreccio – per altro ultra generico legato al gener – molti vorrebbero solo l’azione, ma poi con un film solo azione, tanti sentono la mancanza della trama, insomma, soliti commenti precotti.
La difficilissima trama di “Havoc” è presto riassunta: in un’oscura città americana che potrebbe essere New York, dove non si vede mai la luce del sole e il più pulito c’ha la rogna, la criminalità fa il bello e il cattivo tempo, in particolare quella cantonese che ha il controllo sul traffico di droga. Tutto inizia con tre sicari che facendo irruzione in una delle basi gestita dal Boss (Yeo Yann Yann), nella strage che segue ci scappa il morto illustre, il figlio del capo, si salvano solo Mia (Quelin Sepulveda) e Charlie (Justin Cornwell), quest’ultimo è il figlio di Lawrence Beaumont (Forest Whitaker), politico locale influente che ha basato tutta la sua carriera sulla volontà di ripulire la città, ma in questa storia di occhio per occhio e figlio morto per figlio morto, ci finisce in mezzo il più trucido e zozzo dei poliziotti locali, non a caso interpretato dall’uomo allergico all’uso della doccia, Tom Hardy, nei panni di Walker Mackey.
Uno che condivide un passato più che torbido con i suoi colleghi sbirri, Vincent (Timothy Olyphant) e Jake (Richard Harrington). A tutto questo poi, aggiungete la recluta Ellie (Jessie Mei Li), nuova partner di lavoro di Walker, forse l’unico personaggio che ancora non ha avuto il tempo di sporcarsi nel torbido di questa città perennemente notturna, mamma mia che trama complicata eh? Impossibile da seguire!
Secondo le solite penne stipendiate a cui voglio molto bene, la colpa – che tale non è – di “Havoc” è il suo essere cadenzato da scene d’azione dirette con il solito piglio da Gareth Evans, l’inseguimento iniziale tra camion in fuga e macchine della polizia si gioca già ottimi movimenti di camera perfetti per dare dinamismo, e siamo solo all’inizio di un film Netflix, che non ha nulla della solita produzione Netflix, se escludiamo un monologo prima del gran finale di Whitaker, comunque del tutto funzionale alla trama, i 105 minuti di “Havoc” filano via lisci come l’olio, con tutte le facce giuste assegnate al ruolo giusto. Ormai se una produzione Netflix, non somiglia alla solita produzione Netflix, diventa il nuovo punto di forza da pubblicizzare.
D’altra parte, se il tuo piano originale è quello di firmare un neo-noir volutamente muscolare, chi prendi a far lo sbirro trucido della situazione che sia migliore di Tommaso Resistente? Nessuno al mondo. Se poi vuoi montare su un duello a distanza con un altro sbirro dall’aria poco santa, allora l’eterno pistolero Timoteo Olifante è proprio quello che stai cercando, risultato finale? Un film che mi sono divorato, considerando che le ultime tre produzioni Netflix che ho visto (numero scelto a caso per non esagerare) mi hanno fatto combattere con la noia come qui i personaggi fanno con gli sgherri della criminalità cantonese, un ottimo affare.
No, “Havoc” ovviamente non è The Raid quindi per questo il 90% dei cinefili lo etichetterà velocemente come dimenticabile per correre frettolosamente ad ignorare altri titoli, ma siccome punto al 10% di spettatori in grado di cogliere la differenza, posso dirvi che qui ci muoviamo agevolmente in territori che sarebbero cari a John Woo, a cui Evans aveva già dimostrato di rifarsi con The Raid 2, inoltre quel tocco di brutalità nell’azione, rende tutto ancora più sporco, in questo Neo-Noir senza speranza.
A metà del primo atto, Gareth Evans orchestra una lunga sequenza d’azione costruita alla grande, per accumulo, la lunga sparatoria nel locale per altri film, sarebbe la scena madre, per “Havoc” è il primo quarto di gioco. Lo stile del regista si riconosce subito, non avendo più cascatori indonesiani incuranti della loro vita, enfatizza ogni colpo “accompagnandolo” con il movimento della macchina da presa, il bello è ritrovarsi ancora una volta a pensare che il gallese (o il suo operatore) fosse di nuovo lì, macchina da presa alla mano, al centro dell’azione, per riprendere tutto nel modo più dinamico possibile.
L’altra maxi sequenza d’azione è un classico, una sorta di assedio in cui Evans può tornare in quei territori che aveva esplorato nel miglior episodio della prima stagione di Gangs of London (si, proprio quello a cui state pensando, se avete visto la serie sapete di che parlo) in versione se possibile ancora più ampliata, espansa e decisamente cazzuta. Mi fa impazzire il modo in cui Evans riesce a gestire classiche sparatorie alternandole a combattimenti corpo a corpo grondanti sangue, in cui tutto diventa un’arma e rigorosamente, le armi da taglio vengono usate “a strappo”, perché neutralizza l’avversario prima e risulta più doloroso anche per chi è sul divano a guardare Netflix.
Tutto il pre-finale, fatto di «Tu hai ucciso mio figlio, io uccido tuo figlio» è davvero la parte più John Woo della faccenda, per non dire proprio canonica, con tanto di persone che saltano per mettersi sulla traiettoria dei proiettili e la vicenda passa dal grande – la trama, la vicenda principale – al più piccolo – gli scontri tra i vari personaggi – senza perdere il fuoco e neppure l’enfasi.
Infatti “Havoc” alla fine si porta dentro nel suo DNA un po’ di quelle vecchie storie con sbirri uno contro l’altro o con duelli finali lungo i binari (un esempio cliccabile) che mettono in chiaro come Evans non abbia mai cercato di imitare nessuno, al massimo ha capito la lezione dei grandi Maestri del cinema d’azione del passato e ha elaborato tutto alla sua maniera, in un cinema che è fuori tempo, perché del tutto privo delle battutine e dell’ironia a cui i film occidentali oggi, sembrano non poter rinunciare. Il fatto che un talento come lui, sia relegato a produzioni televisive o quando va bene, come in questo caso, ad un film Netflix, è la vera misura di quanto sia stata grande la rivoluzione che ha portato nel 2011, tanto da dover per forza essere ingabbiata all’industria in qualche modo.
Date subito soggetti e fondi per il grande schermo a quest’uomo, anche se oggi come oggi sarebbero flop annunciati perché il mondo del cinema è andato in una direzione molto ma molto bizzarra, nel dubbio, se volete passarvi 105 minuti a vedere qualcosa che ha il sapore di tutti i film d’azione con gli sbirri che avete sempre apprezzato, ma con un retrogusto più ferroso, di sangue e pallottole, sapete cosa fare.
In più, gratis, ve ne aggiungo un’altra: “Havoc” è ambientato pochi giorni prima di Natale, quindi sì, è un film natalizio, perché se vi dico che Gareth Evans ha studiato i classici è li ha assimilati, è perché lo ha fatto per davvero.
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