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Hell or high water (2016): Texploitation

Credo che sia
ormai un fatto noto che al sottoscritto il genere Western piaciucchia e non
poco, mai come in questo disgraziato 2016, sto vedendo tanti titoli di questo
glorioso genere, non tutti hanno i cavalli, quindi sono dei Western moderni,
almeno uno è bellissimo, tipo questo “Hell or high water”.

Toby (Chris
Pine) ha un’ipoteca sul ranch di famiglia da pagare e ben poco tempo per farlo,
il piano per procurarsi soldi in fretta è rischioso e totalmente illegale, lo
aiuterà sua fratello maggiore Tanner (Ben Foster) che ha l’esperienza, i
trascorsi criminali e la follia giusta per rapinare tante banche in pochi
giorni, portando via solo le banconote sicure.
Sulle loro
piste un’altra coppia di personaggi a loro modo fratelli, due ranger del Texas,
Alberto (Gil Birmingham) non propriamente un pischello, mezzo Indiano e mezzo
Messicano, cosa che non manca mai di fargli notare il suo compare, l’anziano e
prossimo alla pensione Marcus (Jeff Bridges, toglietevi lo Stetson!).



“In the eyes of a ranger, the unsuspected stranger” (Cit.)
Inutile girarci
attorno, solo il genere Western sa rendere epica un’attesa e colossale una
sparatoria, basta ambientare una storia tra distese a perdita d’occhio e
polverose stradine di cittadine americane per far schizzare in alto li livello
del coinvolgimento dello spettatore e, per quello che vale, far guadagnare
punti presso il sottoscritto.
“Hell or high
water” nato con il titolo purtroppo cambiato di “Comancheria”, è in assoluto un
film di genere al cento per cento, anche perché di fatto è anche un Heist movie, un film
di rapine, in questo caso in banca, che sono un topoi classico del Western. Non
stupisce che il responsabile di questa sceneggiatura sia Taylor Sheridan, uno
che ha scritto un sacco di roba per la tv, tipo episodi di “Walker Texas Ranger”
e “La signora del West”, tanto per stare in tema, ma anche di “Sons of Anarchy”
ed, in effetti, il personaggio di Ben Foster avrebbe potuto indossare il
giubbotto di SAMCRO.
Indiani e
Cowboy, guardie e ladri, per chi fare il tifo? Il bello di questo film è
proprio il labile confine morale che separa le due categorie, il dialogo chiave
arriva per bocca dell’Indiano Alberto, che puntando il dito verso la banca dice
senza mezzi termini che oggi, i banchieri stanno facendo al mondo quello che i
bianchi 150 anni fa hanno fatto ai pellerossa, esagerato? Forse, ma se i due
rapinatori novelli Robin Hood rubano ai ricchi, è davvero così insensato non sperare
che se la cavino, in fondo la storia del West è piena di affascinati banditi.



“Ho come l’impressione che i signori non siano qui per un deposito”.

Non mi sono
stupito più di tanto di scoprire che “Hell or high water” è un film pienamente
nelle mie corde, nemmeno del fatto che sia diretto alla grande, visto che il
regista è David Mackenzie, lo stesso che aveva già firmato quella bombetta
carceraria di “Starred Up” (2013) con Jack O’Connell, film che non ha
avuto la giusta visibilità, ma che consiglio.

Il Texas di Mackenzie
è decadente, prosciugato dalle banche più che dai pozzi di petrolio, gli
Indiani non ci sono più al massimo sono relegati ai tavoli da gioco dei Casinò,
anche se nello spirito sono molto presenti, ad esempio i Comanche, il cui nome
vuol dire “Nemici di tutti” sono citati più volte e proprio ai “Signori della
praterie” s’ispira Tanner. Ora, Ben foster è un attore che generalmente
apprezzo, è bravissimo ad andare sopra le righe, certo alcune volte sbraga
malamente e finisce subito in zona macchietta, qui no, qui è perfetto, quello
sguardo da pazzo che si ritrova è perfetto per il personaggio, infatti la sua
prova qui è magnifica, è lui il vero Indiano del film ed io guardando i Western
ho sempre fatto il tifo per gli Indiani.



“Scusi, dov’è il West?”.

Il personaggio
Toby è molto più sottile, ma non meno risoluto del fratello, forse dei due
quello veramente cattivo nel midollo è lui, anche se cerca di rigare dritto, un’altra
tacca alla cintura di Chris Pine, uno che di film in film migliore, lo ammetto
non lo avrei detto qualche anno fa.

Le menzioni
speciali sono due, la prima per Goffredo Ponti, che sotto uno Stetson bianco s’inventa un Ranger del Texas che è un po’ Roger Murtaugh visto che è a pochi
giorni dalla pensione (“I’m too old for this shit”) e un po’ il Tommy Lee Jones
di “Non è un paese per vecchi” dei Fratelli Coen. Poi, vabbè, io sono
schifosamente di parte, Jeff Bridges è uno dei miei attori preferiti, se mi
metto a dirvi che è bravissimo almeno come nei panni dello Sceriffo “Rooster”
Cogburn (detto Il Grinta) non sono credibile, ma la sua prova è lì, vedere per
credere.



“Non mi divertivo così dai tempi della Light Cycle di TRON!”.

Visto che li
ho (due volte) nominati, gli echi Coeniani sono anche nell’umorismo sparso qua
e là nel film, i battibecchi tra i due Ranger, il testa a testa con la
cameriera Katy Mixon, sono piccoli tocchi che stemperano e avvicinano la storia
alle atmosfere di un romanzo di Joe R. Lansdale, più che a quelle del
seriosissimo Cormac McCarthy, ma lasciatemi l’icona aperta che su questi due
signori ripasso tra poco.

La seconda
menzione speciale va alla colonna sonora composta da Nick Cave con il suo socio
Warren Ellis, due che hanno già bazzicato il genere western componente per
parecchi film (specialmente quelli diretti da John Hillcoat) e che qui regalano
un’altra serie di perle, ma non perdetevi nemmeno la clamorosa “Outlaw state of
mind” di Chris Stapleton, che si sente sui titoli di coda, ciliegina sulla
torta di una colonna sonora davvero fenomenale.



All he said was “Folks, my name is Outlaw Pete.” (Cit.)

Dico sempre
che il western è la cifra stilistica con cui ogni filmaker americano deve prima
o poi confrontarsi, eppure è incredibile come un Inglese come David Mackenzie
sia riuscito a fare immediatamente suo il più americano dei generi, 
certo il film non è originalissimo, ma non pretendo nemmeno che lo sia, visto che sa utilizzare così bene elementi western e i personaggi della storia.



Evidentemente, ogni tanto qualcuno ha la sensibilità giusta per spiegare il
Western anche agli Americani, per restare più o meno dalle parti dell’isola da
cui viene MacKenzie, mi viene in mente il lavoro fatto da Garth Ennis sulla
pagine di Preacher, o per restare in
campo cinematografico, un certo regista romano con la passione per i sigari
(Saluti Maestro Leone, sempre sia lodato).



Basta un porticato e siamo subito in odore di John Ford.

Chiudo l’ultima icona lasciata aperta e poi me ne vado cavalcando verso il tramonto, per essere un genere dato spesso per morto, il Western sta benissimo, specialmente nel 2016, “Hell or high water” sembra un lavoro tratto da un romanzo di Lansdale o di McCarthy e considerando che i lavori di questi due scrittori, vengono adattati sempre più spesso per il cinema e la televisione, è troppo presto per parlare di una Texas exploitation? Vedremo, sicuramente sarei molto contento, dovesse mai succedere, se in futuro sentirete parlare di Texploitation, ricordatevi dove avete letto il termine per la prima volta.

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