Ormai sul terzo capitolo di “Hellboy” diretto da Guillermo Del Toro ci avevo messo una pietra sopra, allo stesso modo ero abbastanza sicuro che sarei morto rimpiangendo i tempi in cui Neil Marshall era un regista cinematografico, e non solo quello che ha diretto i migliori episodi di Giocotrono, di Black Sails e di un sacco di altre serie tv meritevoli.
L’antologico “Tales of Halloween” (2015) e “Centurion” (2009) credo siano piaciuti solo a me, ormai ero rassegnato all’idea che “Doomsday” (su cui mi sono in parte già espresso) sarebbe stato il mio B-Movie del cuore di Marshall, almeno fino a quando, in un tripudio di rock e parolacce è arrivato “Hellboy”, che è così ignorante che si sarebbe dovuto intitolare “Ellboy”.
Il dubbio principale che avevo intorno a questo reboot cinematografico del diavolone di Mike Mignola, era legato all’impostazione data al film, la scelta di David Harbour (lo sceriffo di Stranger Things) sommerso dal trucco, sembrava l’alternativa a basso costo a Ron Perlman. Inoltre tutto il progetto, aveva un po’ troppo l’aspetto dell’ultima occasione per Marshall per tornare a giocare in serie A, altri compromessi da accettare dopo il tempo passato a fare a capocciate con la HBO, per le scene di nudo infilate a forza in “Giocotrono”.
Insomma non era molto convinto, ma ancora prima di uscire questo film, aveva già fatto storcere parecchi nasi, tanto che alcuni articoli pubblicati in rete – guarda caso pochi giorni prima dell’uscita del film nelle sale – sembravano una mossa paracula per giustificarsi, ma in ogni caso hanno confermato quello che già sapevo: Neil Marshall con i produttori non è fortunato.
Andiamo per gradi, perché qui i distinguo da fare sono molti, partendo proprio dal modo in cui sembra che gli “Hellboy” di Del Toro siano diventati di colpo i film preferiti di tutti. Come vi ho già raccontato, sono un fanatico del diavolone di Mignola della primissima ora, quello che ho sempre sostenuto è che i film di Guillermone fossero una buona interpretazione dell’iconografia creata da Mignola, ma in quanto tale, non l’unico modo per guardare al personaggio, che parliamoci chiaro, nel fumetto è anche parecchio diverso dalla via scelta da Del Toro.
Pare che questo “Hellboy” (in amicizia “Ellboy”) abbia dovuto fare subito i conti con l’effetto «Tu non sei Guillermo Del Toro!» amplificato dai social-cosi. Ma io come lo Zingaro solo una cosa voglio sapere: Dove cazzo erano tutti i fan di Del Toro quando The Golden Army era in sala? Erano tutti a vedere Il cavaliere oscuro? Oh! Poi non mi pare proprio che alla loro uscita, i film di Del Toro siano stati accolti dalla critica e dal pubblico stendendo tappeti dello stesso colore della pelle di Hellboy. Sbaglio oppure qui in tanti si sono esibiti nell’antica specialità nota come il salto sul carro del vincitore?
Trovo incredibile che due registi che apprezzo molto come Del Toro e Marshall, abbiano avuto entrambi l’occasione di offrici la loro interpretazione di uno dei miei personaggi a fumetti preferiti di sempre. Com’è andata? Il risultato finale è un clamoroso casino, i problemi di budget e di compromessi che temevo per Marshall, sono tutti lì da vedere. Eppure questo gran bordello ha il suo fascino, al netto di difetti evidenti, rendere il film su “Hellboy” un grosso B-movie pieno di mostri, è un modo sensato per rendere omaggio alle origini di un fumetto che è nato, pensate un po’ gente, perché Mike Mignola voleva disegnare mostri!
Oh detto questo, i difetti del film sono così tanti che si esce frastornati dalla visione, la CGI è utilizzata in modo abbondante con risultati spesso imbarazzanti, ad esempio nella scena dei tre giganti, Marshall muove la macchina molto bene, sembra quasi di poterlo vedere mentre si impegna tantissimo, ma le tre creature sono veramente una poverata in grado di far rimpiangere i giganti di Terry Gilliam, uno che in quanto a casini produttivi e budget ridicoli è campione del mondo.
Il terzo atto poi zoppica vistosamente, lo scontro finale è ancora più frettoloso di quello del primo Hellboy di Del Toro, i mostri giganti spuntano in una scena e spariscono in quella dopo, giusto il tempo di vedere un paio di scena in cui distruggono la Bulgaria (intenta ad interpretare la città di Londra, come se fossimo nel peggior DTV di Steven Seagal), e poi spariscono nel nulla. Ancora mi sto chiedendo perché i bulgari gli inglesi, andassero in giro per le strade a farsi sbudellare malamente, quando era stato imposto loro il coprifuoco per la peste, misteri degni del B.P.R.D.
Inoltre la storia, nel tentativo di cercare la sua strada e di contenere il budget, diventa il classico caso di davvero troppa carne messa al fuoco, capisco perché Mignola sia arrivato a definire questo film il VERO adattamento del suo fumetto. A ben guardarlo ci sono almeno due o tre cicli di storie a fumetti che sono stati utilizzati come canovaccio per la trama (“La caccia selvaggia” e “La tempesta e la furia”) uscendone entrambi depotenziati dai momenti di pathos, il secondo in particolare.
In compenso la trama scritta da Andrew Cosby, non si nega davvero nulla, nemmeno infilare personaggi iconici della mitologia del “Mignolaverse”. Badate bene non troverete nessuno più felice di me di vedere sul grande schermo Baba Yaga (da “Il Richiamo delle Tenebre”) oppure il mitico Lobster John – interpretato da Thomas Haden Church, al suo secondo personaggio a fumetti dopo l’uomo sabbia di un altro film sfortunato, Spider-Man 3 – ma davanti a film come questo, cerco sempre di valutarli come se non avessi mai letto mezzo fumetto in vita mia. Vi assicuro che in certi momenti, pur avendo tutti i mezzi per cogliere anche le più piccole citazione (l’occhio di Hellboy ad esempio) ero in difficoltà a tenere il passo con una trama che si dipana a colpi di continui flashback, molti dei quali infilati già per il gargarozzo al pubblico con l’imbuto, come a voler dire: Oh cacchio non ti abbiamo raccontato il passato di Ben Daimio (Daniel Dae Kim direttamente da Lost), beccati un bel flashback!
Questa ansia di raccontare, crea una frenesia che si traduce in un montaggio veramente sincopato, a tratti all’limite dell’epilessia. Per un po’ ho temuto che Neil Marshall abbia dovuto pasticciare le immagini per fare i conti con il visto censura, ma considerando che tra sangue, lingue strappate, teste mozzate e parolacce il film non ha di queste limitazioni (negli Stati Uniti è uscito vietato ai minori di 17 anni), è chiaro che ci siano stati numerosi rimaneggiamenti.
Tanto che a film abbondantemente iniziato, Neil Marshall pare costretto a infilare anche le origini di Hellboy, come raccontate nel suo fumetto d’esordio Il seme della distruzione, trovandosi così a rifare una scena che a del Toro era venuta fuori piuttosto bene, con l’aggiunta giusto del già citato Lobster Johnson e degli occhialoni 3D dei nazisti, che mi sembrano una buona indicazione sul come vada preso questo film: Un B-movie che fa della caciara la sua cifra stilistica.
Se tutto il film fosse stato davvero come il suo notevole inizio (lasciatemi l’icona aperta, più avanti ci torniamo) sarebbe stato tutto più facile, purtroppo l’ansia di infilare dentro roba, crea dei buchi nella trama anche piuttosto clamorosi: trovo assurdo che Hellboy per tutto il tempo si lamenti del fatto che i mostri come lui vengano trattati male dagli umani, quando di fatto non vediamo mai umani comportarsi davvero così. Cavolo! Nel flashback ambientato nel 1992, una giovane coppia fa entrare in casa un cristone diavolone alto due metri con le corna limate, senza porsi il minimo problema, vuole vedere nostra figlia? Si prego venga, la culla è da questa parte.
Per non parlare del rapporto tra Hellboy e il padre che campa di rendita dei film precedenti e di fatto non ha il minimo senso, nemmeno per il fatto che non è chiaro come faccia Ian McShane a non invecchiare mai, visto che era già anziano durante la seconda guerra mondiale.
Vi ho già elencato una marea di difetti, ma uno dei mostri più grossi con cui “Hellboy” (detto “Ellboy”) deve fare i conti è il nostro doppiaggio, che sarà pure il migliore del mondo ma questo film lo ha ammazzato. Hellboy sembra doppiato da Maccio Capatonda (sul serio!) per non parlare della miriade di termini inglesi non tradotti, occasione di adattamento in italiano che per un film di base Fantasy come questo, non avrebbe stonato. Capisco che il termine “Changeling” sia legato al folklore scozzese, ma dubito che tutti quanti, in uno strambo Paese a forma di scarpa, conoscano la leggenda originale, se va bene hanno visto il film con la Jolie!
Eppure in tutta onestà questo enorme casino non riesco ad archiviarlo come un disastro totale, sarebbe anche troppo facile fare paragoni verso il basso con altri film meno riusciti, non è una strategia che apprezzo di solito. Va riconosciuto però che così com’è il film, sembra destinato a trovare estimatori solo tra gli ultra trentenni, fanatici di Horror e magari del fumetto originale. In quanti siamo? Venticinque? Io ci sono sicuramente!
Mi mordo le nocche perché la chiave giusta Neil Marshall l’aveva anche trovata, l’inizio del film mi ha fatto davvero sperare che tutto potesse andare per il meglio. No non mi riferisco alla scena della strega Milla Jovovich, dove la voce narrante ci spiega quello che le immagini già ci stanno raccontando, una soluzione che mi fa sempre sanguinare occhi e orecchie. Fatemi chiudere quell’icona aperta lassù parlando del VERO inizio del film: un omaggio ad “Hellboy in Messico”, un piccolo ciclo di storie che Mignola deve aver scritto dopo averne bevute un paio (di troppo) ma che funziona ancora alla grande per far avvicinare le persone al mondo di Hellboy.
Luchadores, vampiri e un tasso alcolico alterato sono il modo migliore per ripresentare al grande pubblico un personaggio che è prima di tutto un investigatore del paranormale (scusa Dylan Dog) in giro per il mondo dalla seconda guerra mondiale. Uno che il più delle volte, il potenziale mostro destinato a sottomettere l’umanità, lo sconfigge prendendolo a clamorosi cazzottoni in faccia, senza andare troppo per il sottile.
David Harbour diventa ingiudicabile a causa del doppiaggio orripilante, saprò dirvi di più quando finalmente riuscirò a vedere il film in lingua originale. Per ora sono sicuro che ha il fisico e il piglio giusto, per un personaggio che, come dice il suo nome è un Hell Boy, un ragazzo infernale che sfugge dalle sue responsabilità e dal destino avverso (Anung Un Rama). Un adolescente troppo cresciuto, capellone e rockettaro che in cuffia si ascolta “Welcome to my nightmare” di Alice Cooper e sfotte tutti, dal porco gigante a cui fa – letteralmente – il verso, fino al padre («Poi? Poi? Pooooooooi? Poi?»). Un cazzaro a tratti fastidioso ma spesso adorabile, insomma un adolescente! Che per altro somiglia più alla sua controparte cartacea giovane, vista in serie recenti come Hellboy & B.P.R.D. piuttosto che a quella più cresciuta, di cui Ron Perlman è ancora il miglior interprete.
Facile capire anche perché Neil Marshall sia stato attratto da questo materiale, per lui non è soltanto un ritorno al genere Horror, ci vedo anche dei segni di continuità con la sua filmografia. Uno spudoratamente Inglese come lui, guarda caso ha scelto di adattare per il grande schermo, proprio le storie del – passatemi il termine – filone Britannico di Hellboy.
Inoltre Marshall non è un regista a cui è stato chiesto di sforzarsi di girare qualche scena grondante sangue, lui è nato con l’horror e la gioia di mostrare mostri (scusate il bisticcio linguistico) è tutta da vedere. Non è un caso se le scene migliori sono quelle in cui Hellboy svolazza con corna, corona e “Spada de foco!” su un drago gigante a spaccare tutto.
Oppure gli ultimi minuti, quel «benvenuto nel B.P.R.D.» sulle note di “Kickstart My Heart” dei Mötley Crüe, per una scena che vorrebbe essere un gancio ad un seguito che non vedremo mai, ma strizza l’occhio a quel personaggio che qui è stato sostituito da Ben Daimio per motivi di budget, ma che avremmo tutti voluto vedere nella versione di Marshall.
Lo so perché io questo HEllboy non riesco ad odiarlo, è grande la gioia di rivedere Neil Marshall giocare con i mostri in lattice, le capocce mozzate («Sei fuori di testa») e un po’ di sanissima caciara, tutta al servizio di un personaggio che ha le spalle abbastanza larghe da potersela permettere.
Il vero motivo di dispiacere non sono i mille milioni di difetti del film, ma la consapevolezza che è andata esattamente come per The Predator, poteva essere il grande ritorno del cinema – e di un autore – giusto, invece niente. Ma per assurdo un film così fuori tempo, fuori posto e anche un po’ fuori di testa (ah-ah!) mi fa stimare ancora di più uno come Neil Marshall, che non a caso si chiama come una marca di amplificatori, infatti ha fatto un film Rock ‘n’ Roll!
Non perdetevi la recensione di questo film di Omniverso e vi ricordo lo speciale dedicato al Diavolone di Mike Mignola!
Sepolto in precedenza martedì 23 aprile 2019
Creato con orrore 💀 da contentI Marketing