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Hellraiser – Non ci sono limiti (1987): un oscuro scrigno di orrori

Un eterno ed infinito dolore da cui non esiste speranza di fuga alcuna, perché anch’essa è stata seviziata a sottomessa, un inferno di sofferenza talmente lancinante da lasciare attorno a se solo urla di dolore e morte, il tutto per mano di Supplizianti la cui stessa esistenza è votata al provocare patimenti… Ok, questo per descrivere le mie giornate al lavoro dovrebbe bastare. Ora parliamo di “Hellraiser”.

Già, il caro vecchio “Hellraiser” che proprio oggi, 29 gennaio, però di trent’anni fa, usciva nelle sale di uno strambo Paese a forma di scarpa, immagino facendo esplodere più di un giovanile cervello, perché scrivere del film di Clive Barker, vuol dire confrontarsi con un’icona, un mostro sacro (nel vero senso della parola!) del genere horror, una tappa obbligata per ogni amante del genere più sanguinolento e dotato di budella di tutti.

Per festeggiare il compleanno come questo titolo merita, ci siamo messi d’impegno, esploratori dei più remoti angoli dell’esperienza e della Blogosfera!

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Se più o meno, anche voi come me, siete cresciuti nell’epoca delle videoteche e del formato VHS e vi divertivate a cercare titoli sempre più lugubri da consumare con il vostro videoregistratore, sono sicuro che il faccione puntaspilli di Pinhead ha fissato anche voi negli occhi e qui mi fermo, ma ci starebbe un’abusata citazione a Friedrich Nietzsche.

Sì, perché se Freddy Kruger, Jason e Michael Myers erano la sacra trinità dello Slasher e Chucky l’amichetto pazzoide con cui farsi anche qualche risata, Pinhead e soci sono tutto un altro paio di maniche, la prima volta che mi sono portato a casa la VHS ho pensato: «No, ma cos’è sta roba?» perché una roba così non l’avevo mai vista prima. Devo ammettere che l’infinita (sta per uscire il nono film della serie!) saga di Hellraiser ho imparato ad apprezzarla con il tempo, mentre il nome di Clive Barker era ultra noto anche allora.

Un bel ritratto padre e figlio, guarda che bellini che sono.

Lo scrittore si era fatto notare con i celebri “Book of blood” antologie di storie cruente ed erotiche, per certi versi è stato sempre opposto a Stephen King, un po’ per una specie di rivalità in stile Beatles e Rolling Stones che credo esistesse più nelle teste dei rispettivi editori che nella realtà, un po’ per le tematiche, perché se King a suo modo riesce a essere anche rassicurante (e parliamo di uno che ha creato un pagliaccio assassino) Barker, beh, non prende proprio prigionieri.

“Hellraiser” è nato come moto d’orgoglio dello stesso Barker, schifato da due precedenti adattamenti cinematografici di sue opere, il ragazzo ha pensato: “Beh, tanto peggio non posso fare, no?”. Quindi ha pensato di portare al cinema il suo romanzo “Schiavi dell’inferno” (The Hellbound Heart, 1986) che non è uno dei più celebri, ma forse quello che meglio incarna la poetica di Barker, il suo romanzo (e film!) migliore doveva ancora essere scritto (si sto parlando di Cabal o “Nightbreed” fate voi), ma da quella storia Barker ha saputo tirare fuori quintali di iconografia horror.

Clive Barker e il suo, ehm, è il direttore della fotografia quello? Uno che da il sangue per il suo lavoro!

Pensare che all’inizio nemmeno il titolo convinceva la produzione, “The Hellbound Heart” è stato bocciato perché considerato troppo caramelloso, ah sì? Non va bene come vi suona, invece, “Sadomasochist from Beyond the Grave”. Non sto scherzando, Barker ha proposto davvero questo titolo (storia vera) dalla mediazione alla fine, ha avuto la meglio il più canonico “Hellraiser” sul perché da noi sia diventato “Hellraiser – Non ci sono limiti” non lo so, forse per spaventare i vigili urbani.

Armato di meno di un milione di ex presidenti morti stampati su carta verde, forniti da una casa di produzione specializzata come la New World Pictures, Barker non si perde d’animo e sforna un film che, davvero, era qualcosa che nessuno aveva mai visto, una roba incredibile anche considerando che lui e metà della sua troupe sul set era sotto gli effetti dei fumi dell’alcool durante le riprese, almeno stando alle affermazioni dello stesso Barker (storia vera). Nel racconto originale ci viene narrata la storia di Frank Cotton, nel film interpretato da Sean Chapman, un simpaticone con un solo vizio: TUTTI!

«Il fumo fa male alla pelle lo so, ma smetto quando voglio»

Parliamo di un tale edonista, così votato alla ricerca del piacere totale, da provare ogni singola esperienza possibile viaggiando in lungo e in largo sul pianeta, vi rendete conto da soli che uno così, dopo aver provato tutto, ma pure quella posizione che a voi non riesce nemmeno dopo mezz’ora di stretching, potrebbe essere un tantinello annoiato, quel tanto che basta dal lanciarsi alla ricerca della scatola di Lemarchand, una versione gotica del cubo di Rubik, con la differenza che il celebre cubo ungherese ti fa bestemmiare mentre cerchi di risolverlo, mentre con quello di Lemarchand parolacce e bestemmie partono a coppie dopo che lo hai risolto, rivelando il suo oscuro contenuto.

«Prima tutta una faccia di uno stesso colore poi… ma come cacchio si risolve sto coso!?»

Sì, perché una volta risolto il rebus, la scatola apre un varco per il paradiso, o per l’inferno, questo non è chiarissimo, ma per Barker sembrano essere la stessa cosa, una dimensione dominata dal dolore e dalle esperienze fisiche più estreme del mondo. Insomma, Frank era alla ricerca delle professioniste del sesso estremo dallo spazio profondo e si è ritrovato vittima di un’idea di “piacere” un tantino diversa da quella che sperava.

Il film inizia con un classico: papà Larry (Andrew Robinson) e mamma Julia (Clare Higgins) si trasferiscono nella case del fratellino di Larry, quel vecchio porcellone di Frank, con cui Julia aveva avuto una segreta storia. Infatti, è proprio Julia che ancora ricorda di quella volta in cui Frank le ha spiegato come si accoppiavano i mufloni degli appennini durante la stagione degli amori, a ritrovare la scatola di Lemarchand che ha risucchiato dentro Frank, ma non nel modo in cui sperava lui, ecco.

«Cara ti amo» , «Mi sento confusa» , «Cara ti amo» , «Devo stare un po’ da sola» (Cit.)

Un piccolo incidente domestico a base sangue fa tornare Frank in questo mondo, solo che quello che torna è una specie di cadavere ambulante a cui mancano parecchie parti anatomiche (una a cui Julia era molto legata in particolare), in una scena che, comunque, dice ancora il fatto suo, il mostruoso Frank che urla alla donna: «Non guardarmi!» è molto efficace.

Per restituire sembianze umane all’amante Julia dovrà procacciare nei bar locali dei volontari da portare a casa con la promessa della citata posizione del muflone in amore, da dare in pasto a Frank che una vittima alla volta recupera strati di pelle. Ma la sua fuga non è passata inosservata e i guardiani della dimensione del dolore sono sulle sue tracce…

A tutto questo aggiungete la bella Kirsty, nipote di zio Frank che, piombata a casa, si ritroverà per le mani prima la scatola e poi presa in ostaggio dai veri protagonisti del film, i Cenobiti (o Supplizianti) i demoni abiti di pelle che hanno il compito di dare la caccia ai fuggitivi dell’inferno.

Poi senza preavviso, spuntano questi gotici della morte qua, ed il cervello va in pappa!

“Hellraiser” sembra un horror piuttosto lineare, con un primo tempo molto curato ed angoscioso, che utilizza alla grande l’ambientazione della casa ed un secondo tempo forse un po’ troppo frettoloso ma sicuramente riuscito. Clive Barker non è un virtuoso, punta tutto su movimenti di macchina da presa semplici ed un montaggio lineare, ma è sicuro del materiale che ha creato e pare cavare sangue da tutto, non solo dai suoi protagonisti, ma pure da effetti speciali di orgogliosa vecchia scuola che fanno ancora il loro dovere, anche perché il livello dello splatter nel film è bello alto, tra ganci che sventrano la pelle e creature mostruose da dimensioni infernali si sta belli allegri.

Ma sono le letture di secondo livello ad elevare il contenuto di “Hellraiser”, l’idea di Barker era molto chiara, secondo lui il sesso nei film Horror era sempre fiacco e di poco conto, adolescenziale, giusto un elemento dell’insieme, due teenager fanno sesso e boom! Morti, fine del sesso. Mentre con questo film la sua idea è quella di mettere il sesso al centro di tutto, i personaggi sono mossi dalle loro pulsioni (come Frank ad esempio) e i sotto testi si sprecano.

«Un groFFo Faluto a FuFFi i leFFori della BaFa VoFante!»

A ben guardare, Kirsty e suo padre sono sempre ad un sinistro mezzo passo dall’incesto, mai consumato, ma sempre nell’aria, tutti i rapporti sessuali sono brutali, quasi tutti finiscono nel sangue, come i vari approcci di Julia agli amanti e non manca nemmeno una certa chiave omosessuale che resta sullo sfondo della storia, il tutto in pieni anni ’80, quando ancora l’omosessualità era vista come una malattia, non di certo come adesso, che siamo tutti di larghe vedut… Vabbè, lasciamo perdere.

Il film è così pieno di carne e sangue che uno specialista di questi due argomenti come Paul Verhoeven lo ha omaggiato chiaramente, in Basic Instinct, Michael Douglas risvegliandosi da un incubo alcolico con la tv accesa, si ritrova a guardare proprio una scena di questo film, giusto per far capire l’impatto culturale dell’esordio alla regia di Barker.

Tra registi “carnivori” ci si riconosce subito.

Gli stessi Cenobiti sembrano sacerdoti di una sessualità esplicita e insana, con i loro abiti in pelle nera aderente e gli evidenti segni di tortura su volti e corpi, sembrano preti con l’hobby del BDSM, compaiono oltre la metà del film, ma davvero fanno svoltare la storia, immaginatevi un horror piuttosto truculento che diventa una follia con echi Lovecraftiani quando in scena arrivano alcuni loschi figuri, guidati da un tizio che al posto della faccia ha un punta spilli… No, sul serio, come potevo aver mai visto qualcosa di lontanamente paragonabile a questo quando, incauto, noleggiai la VHS.

Con la loro frase d’esordio, “Siamo angeli per alcuni e demoni per altri”, in un attimo i Cenobiti diventano icone Dark e Goth e Mr. Puntaspilli con il suo look in grado di mandarti in tilt il cervello, è il più figo di tutti, i fan iniziano a chiamarlo Pinhead, anche se nel film (e nei titoli di coda) non ha un nome, è indicato solo come il capo dei Cenobiti, ma è così stiloso che non può non essere un pezzo grosso, infatti è finito dritto sparato lassù tra le più grandi maschere dell’horror di sempre.

«Bacia la mano e porta rispetto ai classici umano»

Infatti, i vari sequel di “Hellraiser” hanno cercato di elevare Pinhead a vero protagonista della storia, non sempre benissimo, ecco, seguendo la moda di Freddy Kruger, nei film successivi Pinhead, parla, parla, parla un casino, mi ricorderò per sempre quella volta che un mio amico, telefonando ad una radio per chiedere un pezzo, si fece prendere dall’ansia, attaccando con una parlata a mitraglietta che a fine telefonata, il DJ radiofonico etichettò: «Ma chi era al telefono? Hellraiser?» (Storia vera e no, non ero io, era davvero un mio amico).

A distanza di anni, un film capace di generare così tanto culto risultando “malsano” ad ogni visione, qui alla Bara Volante di solito viene premiato, un po’ di rosso sangue e il logo dei Classidy!

In alcuni passaggi poi “Hellraiser – Non ci sono limiti” richiede anche un buon grado di sospensione dell’incredulità, ad esempio, quando Frank indossa la pelle del padre di Kristy impersonandolo e la ragazza non si accorge di nulla malgrado il trucco sia ben visibile. Problema da poco se posso dirlo, perché Clive Barker è talmente bravo ad inclinare il pavimento sotto i piedi degli spettatori che, a quel punto della storia, la povera Kristy è una specie di “Alice nel paese dei sadomasochisti infernali” e lo stesso Barker è così abile a creare un’atmosfera angosciante che, davvero, ad ogni nuova combinazione di quel cacchio di cubo, ti aspetti potrebbe cicciare fuori chissà quale oscena schifezza.
«Preferito di gran lunga la Regina di Cuori, almeno voleva solo tagliare teste»

Una delle mie scene preferite è quella con Kristy in ospedale, quando la parete si apre rivelando un corridoio da cui esce un orrido mostro che insegue la ragazza che pare correre per un’ora. Non so se Barker volesse rievocare quegli incubi che uno fa (magari dopo aver cenato con la peperonata) in cui qualcosa t’insegue e tu non riesci a seminarlo per quanto forte tu corra (tipo Equitalia ecco), però il risultato finale è proprio quello, superiore alla somma della messa in scena generale.

Insomma, “Hellraiser – Non ci sono limiti” è uno dei film più importanti degli anni ’80, una pellicola che da sola ha portato l’horror in un territorio del tutto nuovo e a rivederlo oggi, nel giorno in cui compie i suoi primi trent’anni risulta pure invecchiato bene, è ancora un oscuro scrigno di orrori pronti ad uscire fuori alla giusta combinazione. Per certi versi, io Kristy ancora la capisco, in parte comprendo quello che ha provato aprendo la scatola e lasciando che i suoi mostri venissero fuori, a me è capitato quasi lo stesso con la custodia in plastica della VHS… Auguri Hellraiser!

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