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Hereditary (2018): non puoi scegliere la tua famiglia (ma gli horror da vedere si)

Bisogna saper distinguere tra la qualità di un film e la campagna pubblicitaria messa su per convincere il grande pubblico a correre in sala a vederlo, ma se c’è una cosa che ho imparato è che per qualche oscura ragione, paragonare un film a L’esorcista è ancora uno degli assi nella manica del reparto marketing.

L’esperienza m’insegna che il più delle volte gli strombazzati “Il film più spaventoso dai tempi de l’esorcista”, sono esagerazioni che raramente si traducono in buoni film e per quanto riguarda “Hereditary” potrebbero fare l’effetto del boomerang che torna indietro sì, ma sulla nuca di chi lo ha lanciato. Perché la frase “L’horror più spaventoso dai tempi dell’ultima volta che vi abbiamo detto che era l’horror più spaventoso, ma questa volta è vero” porta in sala una certa tipologia di pubblico, tendenzialmente giovane che non si aspetta due ore di Toni Collette con il volto deformato dalle urla.

Però, in fondo, chissene, perché nel giro di pochi anni la casa di produzione A24 è riuscita mandare a segno film come The Babadook e poi The VVitch, tutti diretti da esordienti, tutti abbastanza validi da arrivare a vedere il buio delle sale di uno strambo Paese a forma di scarpa (il che non è affatto poco), ma anche di colpire l’immaginario del pubblico, segnate pure tre sul referto, perché ora abbiamo anche questo “Hereditary” che sta magari un gradino sotto i due titoli citati, però chissene (secondo estratto) perché il suo regista Ari Aster ha delle cose da dire e lo fa lanciando addosso al pubblico tutto quello che ha, un approccio con il coltello tra i denti che mi piace.

«Non me frega niente a me del futuro! Vattene via! Adriaaaaaaaaana!» (Cit.)

Non so voi, ma personalmente i film dell’orrore a tema famigliare mi toccano dei nervi scoperti, la famiglia è il posto dove dovresti essere protetto e amato, invece trovo che ci siano poche cose più spaventose di un male che nasce dalle persone che dovrebbero volerti bene e che, invece, ti lasciano in regalo un oscuro malessere ereditario, come accade in questo film. Per anni Poltergeist è stato il modello su cui sono stati basati tutti gli horror del tipo “Famiglia vs Presenza maligna” (James Wan lo sa molto bene, ci ha messo su una carriera sfruttando l’idea), poi arriva “Hereditary” in cui gli schiaffoni più grossi i protagonisti li prendono proprio dai loro stessi famigliari: la famiglia non puoi scegliertela, al massimo puoi scegliere se essere picchiato con la mano sinistra o quella destra… Stacce!

Non è proprio un gran momento per la famiglia Graham, facciamo la loro conoscenza mentre si recano tutti al funerale della matriarca, nonna Ellen, non proprio una tenera nonnina almeno a giudicare dall’elogio funebre messo su dalla figlia Annie (Toni Collette). Il resto della famiglia? Papà Steve è un Gabriel Byrne in versione Totem, guarda, ma non favella per buona parte del film, i figli, invece? Quella con cui va meglio è la piccola Charlie (e occhio al nome mascolino che nella trama ha il suo peso) interpretata da Milly Shapiro, brava e perfetta per la parte quanto volete, ma diciamo non bellissima, ecco… E questa è quella buona! Sì, perché il figlio adolescente è Peter (Alex Wolff) è un debosciato che verrebbe voglia di prendere a schiaffi finché non esce dal torpore solo per poi ricominciare, così, per il gusto di farlo. Ci credo che poi Annie ha sviluppato un gran talento nel creare dettagliati diorami che rappresentano scene di vita famigliare idilliache, in cui magari rifugiarsi dentro, cosa che il regista Ari Aster fa letteralmente fin dalla prima inquadratura.

«Forse sarebbe stato meglio nascere orfani»

Istruzioni per l’uso. “Hereditary” pare diviso in due netti tronconi, o meglio, per vedere qualcosa di davvero soprannaturale farsi largo nella storia, dovrete attendere parecchio, il ritmo va di pari passo, quindi molto, ma molto (ma molto molto) calmo, ve lo dico così lo sapete. Detto questo, tenete gli occhi aperti, perché l’esordiente Ari Aster ha gusto per il dettaglio, non voglio rivelarvi troppo sulla storia, però collane identiche, strani segni sulla testiera del letto e anche su un certo palo, ma anche i piccoli indizi, solo citati che trovano un loro senso nel finale. Il ragazzo (classe 1986) semina indizi e lo fa con inquadrature ricercate, ad esempio la macchina da presa che segue la discesa della bara di nonna Ellen giù nella tomba, ma è solo un esempio, la regia è davvero curata.

Per tutta la prima parte “Hereditary” riesce ad essere un film spaventoso prima che un film horror, se la campagna pubblicitaria ha martellato con i paragoni con “L’esorcista”, la stampa un po’ più accorta ha scomodato “Rosemary’s baby” (tenetemi l’icona aperta che dopo torna buono questo titolo), sarà… Ma il primo tempo del film è un discreto calcio sui denti. Sì, perché prima ti fa affezionare a questi poveri cristi, poi con un’abile mossa e un buon numero di formiche, elimina un personaggio che a vederlo così, sarebbe sembrato quello chiave di tutta la vicenda, chiamiamolo per comodità il protagonista, dandoti il primo pugno alla bocca dello stomaco.

Mi rifiuto di raccontarvi ulteriori dettagli, ma la scena più spaventosa del film, quella che ti smuove tutte le interiora, prevede un primo piano su un personaggio inespressivo ed un altro che sentiamo solo urlare in lontananza e, siccome sappiamo perché sta urlando, l’aggettivo spaventoso questo film se lo merita.

Spaventosa è anche Toni Collette, io non so perché quando si parla di bravi attrici, l’australiana non venga mai tirata in ballo, certo, l’ultima volta che l’abbiamo vista in un horror, era di natura tutta diversa e bisogna dire che ha una certa predisposizione per i personaggi tormentati interiormente, ma qui è davvero bravissima ad impersonare un personaggio che deve fare i conti con una serie di lutti brutti, a distanza ravvicinata uno dall’altro. Il momento in cui sclera, ma proprio malamente a cena con il figlio, non è solo un pezzo di bravura di un’attrice che nel corso del film letteralmente si trasfigura, ma è proprio il momento in cui non puoi non patteggiare per lei, a confronto con quel debosciato del figliolo.

«Maestraaaaa! Cassidy mi ha detto che sono un debosciato!»

Vi avevo promesso un’icona da chiudere sul Roman Polański? Eccola che arriva! Nel film sopra citato, Polański introduceva l’elemento sovrannaturale poco a poco, svelando le carte con più grazia, qui, invece, Ari Aster, ad un certo punto, dopo aver sparso gli indizi ci dice: “È tutta colpa del demonio”, se vi piace è così, altrimenti è così lo stesso, mannaggia al diavoletto che c’ha fatto litigare, tiè.

Per quanto mi abbia stupito veder proliferare in rete articoli su articoli che “Spiegano” il film e il suo finale, ad un certo punto Ari Aster utilizza i dialoghi del film (l’ultimo è clamoroso in tal senso) come cartelli stradali per essere sicuro che anche l’ultimo spettatore capisca quello che sta succedendo e tutti gli indizi sparsi trovano una collocazione logica, tutti tranne uno: la scena nel libro lanciato tra le fiamme. Ci penso e ci ripenso, ma continuo a pensare che non abbia alcun senso, se non quello di provocare una reazione inattesa nel pubblico giocando sporco e “barando” sulle regole interne della storia, altre spiegazioni non ne ho e questo mi aiuta ad arrivare al prossimo punto: i jump scare, meglio noti come “Salto paura”.

«Un paragrafo sui Jump Scare scritto da Cassidy è troppo, non leggerlo ti prego!»

Un altro tasto su cui la pubblicità di questo film ha battuto forte sono i jump scare e la capacità del film di far cambiare colore alle vostre mutande, premesso che la paura è soggettiva e che alzare a palla il volume è un trucco da poco, devo dire che Ari Aster in una scena mi ha quasi colto alla sprovvista, ma perché il ragazzo è abile e “Hereditary” si gioca bene le sue carte.

Quanti film abbiamo visto dove c’è gente che svolazza in aria posseduta, oppure si arrampica in modo strano sulle pareti cantando «Spider Pork, Spider Pork, il soffitto tu mi sporc…», ok magari anche senza cantare, però avete capito il concetto, vi rispondo io: circa un centinaio di film a volersi contenere. Eppure, “Hereditary” ha l’abilità di restituire la forza anche agli elementi sovrannaturali abusati. Il cambio di direzione della seconda metà del film, funziona grazie a quanto di buono fatto nel primo tempo che a livello di cattiveria verso i protagonisti, secondo me, è anche più spaventoso.

Occhio ai dettagli, questo film fornisce parecchi indizi sparsi qua e là.

Menzione speciale per il montaggio sonoro, lo schiocco di lingua di Alex Wolff è una trovata ricorrente ed una delle scene horror più riuscite, quella in cui l’eredità tra personaggi si conferma essere una questione di… Ehm, testa. Si svolge fuori campo, ma è proprio l’audio ancora una volta a farci capire chiaramente cosa sta accadendo, risultato finale: gli ultimi dieci minuti di “Hereditary” sono una bella tirata, sperate solo di non avere ragazzini sghignazzanti attorno, o magari quella fetta di pubblico che poi ha bisogno di una recensione che spiega per filo e per segno ogni passaggio, perché sennò: “Oh, ma non si capisce niente di ‘sto film oh!”.

Alla fine “Hereditary” non è una metafora famigliare lineare e riuscita come Babadook e la butta più in caciara rispetto a The VVitch, inoltre non è sicuramente “Il più spaventoso horror dai tempi dello spaventosissimo horror che vi avevamo già venduto come il più spaventosissimo del mondo”, però fa la sua porca figura. Che bello vedere un film che ti ricorda che l’orrore peggiore puoi averlo in famiglia e poi si diverte a trattare male lo spettatore, regalandogli qualche momento da portarsi anche oltre i titoli di coda, non succede spesso, quindi quando accade, specialmente con un horror, tenetevelo stretto. Mica male riuscire a restituire un minimo di attributi anche a scene viste a straviste e attenti ad Ari Aster, abbiamo un altro nome da tenere d’occhio per il futuro.

Sepolto in precedenza martedì 11 settembre 2018

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