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Heroes shed no tears (1986): gli eroi di John Woo non versano lacrime

Ultimo giro di riscaldamento, anche se il titolo di oggi per
certi versi ha un ruolo chiave, ma non perdiamo tempo, benvenuti al nuovo
capitolo della rubrica… Who’s Better, Woo’s Best!

La filmografia di John Woo si divide in B.ABT. (Before “A
better tomorrow”) e A.ABT. (After “A better tomorrow”), uno dei pochi titoli
arrivati anche qui da noi in occidente che fa parte di quella prima tornata di
titoli, dopo il wuxia Last hurrah for chivalry,
è senza ombra di dubbio questo “Gli eroi non versano lacrime”, titolo per il
mercato anglofono dove è possibile reperire una copia del film, datato 1986 sì,
ma con una postilla non da poco.

Proprio il successo di “A better tomorrow” nel 1986 ha dato
il via alla corsa agli armamenti, con un solo film John Woo è diventato il nome
più caldo in circolazione, quindi è cominciata la corsa al recupero di tutti i
suoi lavori precedenti, proprio come questo “Heroes shed no tears” uscito nel
1986 ma girato due anni prima, nel 1984.

Gli eroi di Woo non versano lacrime, ma il sangue quello invece si.

Dopo aver finito di girare “Plain Jane to the rescue”
(1984), il regista nato a Wu Yu-sen era ai ferri corti con la società di
produzione Golden Harvest, la stessa che lo aveva relegato alle commedie per
anni, oltre ad impedirgli di girare i film come il nostro John desiderava per
davvero. Il piano del regista era semplice, trovare un soggetto facile facile da
dirigere velocemente, in modo da poter dichiarare concluso il suo contratto con
la Golden Harvest, proprio per questo buttò giù il copione di un film di guerra intitolato “The
Sunset Warrior”, anche quello modificato in corsa dalla produzione, ma fosse
stata l’unica ingerenza!

Ancora una volta, comodamente in due lingue come da tradizione.

La trama è drittissima: il governo cinese assolda un gruppo
di mercenari capitanati da Chan Chung (l’attore Eddy Ko) per catturare un
potente signore della droga che opera nel triangolo d’oro, la zona compresa fra
Vietnam, Laos e Thailandia, una polveriera a cielo aperto dove entrare è
impossibile e uscirne vivi un’impresa per pochi folli. Il risultato sono 94
minuti dove gli unici cali di ritmo guarda caso, coincidono con le parti che
John Woo non aveva minimamente intenzione di girare, quelle che gli sono state imposte
dalla Golden Harvest.

Anche perché parliamoci chiaro, le condizioni di lavoro non
erano delle più rosee, Woo si è ritrovato sul set in Thailandia, a capo di un cast
e una troupe che non parlavano inglese, ma molti di loro nemmeno il cantonese, visto
che tra le sue fila poteva contare su tre attori coreani, due attori francesi
(Phillippe Loffredo e Cécile Le Bailly) e un cameraman e direttore della
fotografia giapponese. Le premesse sembrano quelle di una barzelletta, ma per
Woo c’è stato davvero poco da stare allegri.

«L’ho già sentita e non faceva ridere nemmeno la prima volta»

L’inizio di “Heroes shed no tears” è scoppiettante, in tutti
i sensi, visto che pronti via, arriva subito una grandiosa scena d’azione, l’estrazione
del boss della droga da parte di Chan Chung e i suoi uomini è uno sfoggio di
talento da parte di John Woo: M60, granate, colpi di bazooka e addirittura un
lanciafiamme. Quella che per qualunque altro film potrebbe essere la scena
madre, la sparatoria finale, per “Heroes shed no tears” è la premessa, il
riscaldamento. Si parte da qui e poi, una volta ammanettato il loro obbiettivo
utilizzando un intrappoladita cinese, il film può cominciare davvero, visto che
Chan Chung e i suoi uomini dovranno uscire dai confini il più velocemente
possibile, inseguiti dal viscidissimo colonello vietnamita interpretato da Lam
Ching-ying, lungo il percorso, una doverosa tappa per recuperare anche la
famiglia di Chan Chung, in particolare suo figlio, un bimbo che per mimica
facciale e credibilità nel ruolo potrebbe essere la vera sorpresa del film, visto
che si rivela essere uno degli attori più intensi di tutto il film.

Black face! Scandalo! Vergogna!

Il recupero del figlio di Chan Chung è un’altra scena dove Woo
può sfoggiare tutta l’esperienza accumulata nella prima porzione della sua
filmografia, con le capanne di paglia prese a colpi di Benelli calibro dodici e
il ragazzino che sfoggia già tutta la grinta paterna, per personaggi che non
hanno tempo, ma sono costretti a fortificare le loro dinamiche e i loro
rapporti di gruppo in corsa, come si fa nei migliori film d’azione.

Fino a qui tutto bene, se non proprio benissimo, purtroppo
le brusche frenate di ritmo (e di tono) in “Heroes shed no tears” si notano e
anche parecchio, ad esempio il posto di blocco, con i due giornalisti francesi
fermati dai soldati vietnamiti è una scena che stona, anche solo per ritmo, non
solo perché i cattivoni se la ridacchiano per tutto il tempo come se fossero il
cane Muttley, ma soprattutto per la scena dello stupro della ragazza, fastidioso per più di un
motivo, ma anche solo per come risulta infilato giù per la gola alla storia,
pur di mostrare un po’ di epidermide.

Nanananananana (cit.)

Questa scena, pare nemmeno diretta da uno schifato John Woo, sembra girata con gli occhi chiusi e utilizzando la
mano non dominante, ma più che altro anche in ottica futura: il cinema del
genietto di Hong Kong, come vedremo anche nei prossimi capitoli della rubrica,
è sempre stato carico di passioni, ma scevro da sessualità, figuriamoci da
scene di stupro girare con tale voyeurismo. Facile comprendere perché Woo
ormai, vedesse la Golden Harvest come fumo negli occhi.

Certo, non mancano siparietti “leggeri”, come i soldati
affamati che si dividono il poco cibo, ma fanno comunque parte di quell’amicizia
virile che è alla base del cinema del regista nato a Wu Yu-sen, infatti Last hurrah for chivalry viene
considerato a ragione, il primo vagito di quell’heroic bloodshed che Woo ha
largamente contribuito a fondare insieme a Ringo Lam, ma a ben guardare “Heroes shed no tears” potrebbe essere il prototipo,
le ultime prove generali prima del salto, rigorosamente eseguito con un’automatica
calibro 45 in ogni mano.

«Guerra e sei il protagonista!» (cit.)

Gli anti-eroi che non versano lacrime di Woo sono fratelli d’arme
a cui è molto facile affezionarsi, una banda di sacrificabili, molti dei
quali non arriveranno vivi ai titoli di coda, come pistoleri di un Western di Sam Peckinpah porteranno avanti la loro
missione malgrado tutto, morendo a rallentatore crivellati dalle pallottole
nemiche o per vendicare un amico, insomma per certi versi sembra già che Woo, in
testa e negli occhi, abbia una bozza di quelli che farà di più e ancora meglio
nella porzione bellica del suo “The Killer”, di cui non vedo l’ora di scrivere.

Quando le cose si fanno pesanti, ci vuole il caso vecchio M60.

Un film sfortunato, non solo per le ingerenze della
produzione che balzano agli occhi, ma anche per il fatto di essere uscito dopo
lo schianto di quel meteorite che ha cambiato lo scenario dei film d’azione per
sempre intitolato “A better tomorrow”, ovviamente nel confronto diretto “Heroes
shed no tears” ne esce con le ossa rotte, ma di suo è un onestissimo film di
guerra con già molte delle tematiche care al regista, dentro possiamo trovarci
tutti i valori con cui Woo ama tratteggiare i suoi personaggi e un occhio per
le scene d’azione che non si discute.

Ancora oggi è considerato roba per completisti del regista,
ma rivederlo oggi, nell’ordine giusto in cui sarebbe dovuto uscire, sembra
davvero la fine del riscaldamento, il titolo con cui John Woo si toglie di
dosso la zavorra e forte di qualcosa come sedici titoli da regista, tra
commedie e film d’azione, è finalmente pronto a regale al mondo la sua idea di
cinema. Rivoluzionaria come vedremo la prossima settimana.

Adesso capite perché lo chiamano “Spargimento di sangue eroico”.

Il John Woo che ha onorato il suo contratto con la Golden
Harvest dirigendo “Heroes shed no tears”, era un artista che per se stesso
sognava un domani migliore, io invece non mi trattengo più, perché la prossima
settimana, si inizia per davvero a fare sul serio, non mancate!

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