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His house (2020): una casa piena di fantasmi (del passato)

La casa, ci sono pochi tòpoi narrativi più classici nel cinema horror della casa, basta prendere ad esempio beh La Casa. Quanti horror avete visto che iniziano con un trasloco? Qualcuno potrebbe sostenere che il concetto stesso di trasloco è qualcosa di degno di un horror, nei film ci sono famiglie che traslocano solo per scoprire che la loro nuova casa sorge su un cimitero indiano ad esempio. Il concetto stesso di una nuova casa rappresenta un nuovo inizio per chiunque, ancora di più per chi dalla propria casa o dal proprio Paese nativo è dovuto fuggire.

In questo 2020 strano, anche lui molto horror per certi versi, in cui ci è stato ripetutamente chiesto di stare a casa, molti di noi hanno dovuto fare i conti con queste quattro mura e il loro contenuto, mentre Netflix di film a tema ne ha pescati molti, da Il Buco passando per #Alive, quasi dei “film istantanei”, ma nessuno valido quanto “His house”, che è un horror che inizia con un trasloco, con una nuova casa simbolo di ripartenza per una famiglia, ma lo fa tirando in ballo un altro argomento molto caldo del 2020, quello dell’immigrazione, raccontato da un punto di vista che di sicuro non piacerà ai sovranisti sui social, ovvero quello di chi la loro casa e il loro Paese lo hanno dovuto lasciare, quei famigerati “inmingrati” (cit. Simpsoniana) a cui è facile addossare tutte le colpe per raggranellare due voti in più.

Our house (in the middle of the street)

“His house” parla di due rifugiati, costretti a fuggire dal Sudan dilaniato dalla guerra, la loro speranza di libertà e democrazia li porta dopo un viaggio – quello sì davvero horror – nel Regno Unito. Bol (il Sope Dirisu di Gangs of London) è un ex impiegato di banca che con sua moglie Rial (Wunmi Mosaku) ha affrontato il mare su un barcone pieno di disperati come loro, il loro nuovo Paese ospitante offre loro una nuova casa e un periodo di prova: fate i bravi, rigate dritto, integratevi e non lasciate mai l’appartamento e in cambio avrete la cittadinanza. Avete presente quegli horror in cui i protagonisti potrebbero semplicemente abbandonare la loro casa infestata e andare a vivere altrove, facendo finire subito il film ma risolvendo il loro problema di infestazioni? Ecco “His house” non è uno di quelli, perché Bol e Rial la loro grande casa, come ci tiene a sottolineare il pubblico ufficiale che li segue (Matt “Eleven” Smith, indimenticato “Doctor Who” che si sta facendo una carriera con i ruoli da bastardone), non la possono lasciare, anche se oltre alla carta da parati marcia, ai topi, gli insetti e i locali che la utilizzano come bagno pubblico, hanno anche il problema degli spettri.

Geronimo! (mamma mia che brutta fine da Dottore a passacarte)

Ci sono due modi per affrontare una storia così, quello sbagliato, trasformando la storia in una parodia degna di “Scary Movie”, oppure quello giusto, che però è anche il più difficile: mantenere l’equilibrio tra l’elemento sociale che è alla base della storia e le apparizioni horror, che sono tante, sinistre e davvero ispirate.

Molto Fulciano (questo film ha fatto bene i compiti)

Remi Weekes al suo esordio azzecca tutto, un bellissimo film che riesce a trattare il tema sociale con intelligenza, umanità, sensibilità e senza mai perdersi dentro “METAFORONI” facili e grossolani, un film interamente raccontato dal punto di vista di due di quegli “immigrati” a cui troppi addossano le colpe di tutto dipingendoli come mostri da film Horror.

Bol e Rial sono due personaggi sfaccettati lontani dal santino dei poveri immigrati, lui viene accusato di ammirare coloro che gli hanno teso la mano per dovere, quei grigi burocrati che fiaccati dal loro mestiere, l’umanità sembrano un po’ averla persa. Lei invece non dimentica le sue origini, ma soprattutto non dimentica quanto è costato quel disperato viaggio in mare, in cui hanno sacrificato e perso tutto, in nome del lumicino della speranza di una nuova possibilità di vita serena.

Il tema del 2020: tutti a casa, volenti o nolenti.

“His” house” diventa quindi una storia davvero riuscita sul rimorso e il senso di colpa del sopravvissuto, in cui ad essere infestata non è la casa, ma le persone che si ritrovano dentro a viverci, costrette ad affrontare i propri fantasmi, che Remi Weekes riesce a rappresentare come variegati, originali nel loro essere sinceramente spaventosi, dimostrando di aver fatto anche i compiti, quando ho visto la palla rossa rotolare verso la protagonista, ho pensato subito a “Changeling” (1980). Cinque alto per te Remi, sei uno che questo genere lo conosce bene e con questo esordio hai dimostrato di saperlo reinterpretare in modo personale e originale, bella giocata.

Paura eh?

Per certi versi “His house” sembra un Get Out inglese, in cui gli elementi di genere emergono dalle ombre del passato dei personaggi, per sottolineare gli orrori del loro viaggio della speranza e i tormenti del loro tentativo di allinearsi allo stile di vita Europeo. Visioni spaventose come gli incubi che ancora torturano i personaggi, la dimostrazione che il cinema di genere utilizzato con sale in zucca, tante volte può trattare argomenti sociali con sensibilità e maestria. Fantasmi del passato, rifugiati, la difficoltà di integrarsi e dimenticare gli orrori affrontati, a mani basse Netflix è riuscito a proporre uno dei titoli più riusciti e notevoli di questo strambo 2020, fossi in voi non lo perderei perché potrebbe essere una delle poche cose buone uscite fuori da questo anno disgraziato.

You see, you don’t have to live like a refugee, don’t have to live like a refugee.

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